Visto che ho chi riesce a procurarmelo, così come mi ha procurato Mac Coy,
ho deciso di provare già che c’ero anche Ringo:
in fondo sono solo due numeri e poi è pur sempre William Vance. Tutto vero, ma da
questa prima uscita mi sembra di poter dire che questo fumetto ha molto
risentito del passaggio del tempo, e che probabilmente nemmeno all’epoca della
sua prima pubblicazione fosse tra le teste di serie.
Il primo episodio, La Pista di Santa
Fe, è interamente opera di Vance e non sarebbe nemmeno male: il
protagonista viene ingaggiato per scortare una carovana Wells Fargo con un
ghiotto carico d’oro che fa gola sia ai banditi locali che agli indiani coyotero. La svolta abbastanza originale
è che i due gruppi collaborano per appropriarsi del bottino e la storia viene
movimentata un po’ anche dalla suspence
di vedere dei personaggi ricorrenti minacciare il protagonista.
Purtroppo, inevitabili stereotipi del genere a parte, La Pista di Santa Fe soffre di un ritmo sincopato che alla lunga mi
ha sfibrato. Costretto nel formato obbligato delle due tavole per numero di Tintin, Vance crea delle situazioni di
forte tensione o sospensione nelle pagine pari per poi sgonfiarle
inesorabilmente nella prima vignetta delle pagine dispari. Alla fine questo
saliscendi finisce per vanificare il pathos che vorrebbe creare anche se
immagino che a leggerlo su rivista il risultato fosse diverso e più efficace.
Il primo episodio risale al 1965 e in effetti lo stile di disegno di William
Vance non è ancora quello con cui sarebbe diventato famoso in seguito. Il
tratto non è acerbo, se non in certi dettagli minori (gli occhietti piccolini e
posizionati un po’ troppo vicini tra di loro), più che altro si notano certe
scelte che poi Vance avrebbe abbandonato per strada, come le potenti campiture
a pennello secco. Molto belli i paesaggi, buoni (ottimi per l’epoca) i colori.
Mi è sembrato di cogliere qua e là qualche rimando all’iconografia classica del
genere, in particolare il protagonista mi sembra ispirato a Henry Fonda.
A seguire, l’episodio Tre Bastardi nella
Neve di cui Vance ha sceneggiato solo il primo dei cinque capitoli di cui è
composto, affidando gli altri nientemeno che ad André-Paul Duchâteau. Nell’introduzione
Fabio Licari sostiene che la differenza di sceneggiatore si vede ma
sinceramente a me questo episodio è sembrato soffrire degli stessi difetti del
precedente pur essendo stato realizzato dieci anni dopo – e inserito in questo
primo volume per volontà dell’autore. L’idea di partenza è anche in questo caso
carina: un irriconoscibile Ringo (Vance lo disegna in maniera diversa rispetto
al primo episodio) viene incaricato dalla Wells Fargo di recuperare una diligenza
che oltre al proverbiale carico d’oro trasportava anche la figlia di un
senatore, ma i tre bastardi del titolo (messicani ritratti con fattezze
lombrosiane) vengono fortuitamente a conoscenza del bottino e si lanciano anche
loro all’inseguimento.
Il tutto calato in un contesto invernale con una tormenta di neve che ostacola
l’avanzata dei vari personaggi e ne confonde le tracce. Ignoro se abbia mai
nevicato in qualche stato confinante col Messico, ma la suggestione funziona a
meraviglia. Quello che non funziona è il ritmo della storia, che nonostante le
premesse non ha saputo coinvolgermi. Le didascalie in prima persona singolare con
i pensieri di Ringo non bastano a rendere più appassionante la vicenda. Forse
perché frutto del rimontaggio da un altro formato (ben visibile in alcune
vignette), Tre Bastardi nella Neve ha
un andamento frammentario e in alcuni casi sembra che lo sceneggiatore abbia
voluto allungare il brodo. A tal proposito, è un vero peccato che la scena
potenzialmente splendida, e sicuramente originale, dell’intervento finale della
donna del capo dei banditi sia risolta come se fosse un battibecco tra Sandra
Mondaini e Raimondo Vianello.
A proposito di donne, Licari segnala giustamente anche l’abilità di Vance
nel disegnarle ma purtroppo in questi due volumi (per la precisione solo nel
secondo visto che nel primo non compare una donna che sia una) il disegnatore
non sembra affatto a suo agio con profili e altre inquadrature muliebri.
Nel complesso, quindi, nulla di irrinunciabile – e d’altra parte se Ringo in patria ha avuto una vita così
effimera ci sarà un perché. Da consigliarsi agli amanti del western e di Vance,
anche se per i secondi sarà più un’occasione di vedere come è evoluto il suo
stile piuttosto che di godere della sua arte qui non al top.
Cionondimeno io il prossimo volume lo prenderò per completezza, e magari qualcuna
delle storie brevi annunciate sarà pure simpatica.
L'ho sfogliato ieri in edicola e devo dire che mi ha ispirato praticamente zero. A parte un Vance un po' acerbo, a occhio le tavole si mostravano abbastanza farcite dagli stereotipi classicissimi del genere che citi anche tu.
RispondiEliminaPiù che altro sarei curioso di capire cosa pubblicheranno dopo RIngo.
Beh, un western senza stereotipi non è un western!
EliminaHanno messo in terza di copertina l'elenco di quello che pubblicheranno dopo e mi sembra (vado a memoria) che ci saranno Trent e Buddy Longway. Si vede che questi volumi funzionano.
Se cerchi un bel western, di stampo francese
RispondiEliminaIo non lo nascondo, non è un gran bel mese
Il ritmo è scarsino, disegni un po’ fiacchi
Ma questo ci danno, o lo prendi o ti attacchi.
Aspetta il secondo, lo dico e non fingo
Magari andrà meglio, parola di Ringo. ;-)
giuro, mentre leggevo sentivo la voce di Pino Insegno.
EliminaGrazie!, anche se la voce originale del Gringo anni 60 mi piace di più di InFRegno.
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