sabato 14 novembre 2015

C'era una volta in Francia 3: Il piccolo giudice di Melun

Si conclude la saga del signor Joseph e tutti i nodi vengono al pettine, strigliati con pazienza dal giudice Jacques Legentil che impiegherà quasi vent’anni per ottenere la sua vendetta.
Il primo dei due volumi qui raccolti ha un inizio farraginoso in cui si procede come in un legal thriller a raccogliere testimonianze e dossier e a stabilire una tattica di attacco per demolire il protagonista sempre in bilico tra opportunismo e fatalismo, tra calcolata crudeltà e slanci disinteressati. Dopo una ventina di pagine, però, la storia si fa coinvolgente.
La molla che porterà alla caduta di Joseph Joanovici è l’esecuzione del giovane partigiano Robert Scaffa, ammazzato nello scorso volume perché aveva visto troppo degli intrallazzi del protagonista. Ma ci vorrà un sacco di tempo prima che il giudice di Melun possa intravedere una possibilità di colpire la sua nemesi (e come per Al Capone il pretesto sarà una questione di frode fiscale) e nel percorso verso la fine Nury mette a nudo la varia umanità che compone questa tragedia con tutte le sue piccolezze, i suoi opportunismi e i vorticosi cambi di campo, non risparmiando praticamente nessuno dei protagonisti al suo sguardo che ne rivela le bassezze.
Il ritmo della storia è nettamente cinematografico, praticamente senza didascalie ma con inquadrature dinamiche e occasionalmente ardite (penso principalmente a quella dell’aggressione a Eva) e un montaggio molto narrativo e anch’esso dinamico delle vignette, in cui Nury fa ricorso al sistema di produrre senso smentendo quello che succede nella vignetta immediatamente precedente o contrapponendo situazioni opposte.
Cedo alla tentazione e mi sbilancio a dire che C’era una volta in Francia oltre a essere un ottimo fumetto dalle grandi ambizioni pienamente soddisfatte diventa anche un apologo sulla condizione umana, coi suoi personaggi che escono praticamente tutti sconfitti dalla vicenda. È andato vicinissimo a diventare un capolavoro, ma un fumetto è composto anche della parte grafica.
Sgombro il campo da eventuali equivoci: Sylvain Vallée è un bravo disegnatore e un ottimo fumettista, uno che sa sicuramente raccontare per immagini. Purtroppo, però, ha anche delle derive caricaturali molto marcate che secondo non lo rendono affatto adatto a questa storia cupa e rigorosa. I suoi personaggi sono sicuramente molto espressivi ma come si fa, per dire, a prendere sul serio il giudice Legentil con quel suo mento spropositato? Francamente io non me lo ricordavo così grottesco nelle sue prove precedente. È vero che la componente gros nez è presente nel DNA di quasi tutti gli autori di BéDé, ma qui si è esagerato e per me non è stato facile empatizzare con questi personaggi che risultano poco credibili nelle loro fattezze grottesche. Come se Watchmen lo avesse disegnato Sandro Angiolini (altro grande professionista, ma anche lui nettamente caricaturale): non sarebbe stata la stessa cosa.
Comunque bando alle remore: C’era una volta in Francia è stata una delle migliori letture del 2015, che la pubblicazione ravvicinata da parte della RW Lineachiara ha reso ancora più avvincente.

2 commenti:

  1. In effetti non avevo riflettuto abbastanza sul fatto che Gibbons è un disegnatore assolutamente realistico, (quasi "noioso", in senso buono) e sull'importanza che ciò ha avuto nel descrivere efficacemente un universo desolato e spietato come quello di Watchmen (molti si fermano al contributo di Moore, quello di Gibbons viene notato di meno). Un realismo impietoso a volte è utile.
    Per quel che vedo in rete, non mi da' troppo fastidio il mentone di Legentil. Mi pare un mezzo per sottolinearne la "tenacia". Uno che non si arrende.

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    1. Eh, ma ci sono pure le donne un po' mostruose, gli uomini-orso e altre piacevolezze... Vallée è bravo ma per disegnare questa storia io ci avrei visto meglio un altro tipo di disegnatore.
      Storia eccezionale, comunque.

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