Termina con il botto la trilogia
di Edson Paz. Il primo episodio
era una bella avventura con un bel retroterra archeologico, il secondo
un’indagine con qualche elemento sovrannaturale (che non ho gradito del tutto)
e in Edson Paz e la Ragnatela di Brasilia
siamo di fronte a una spy story
frenetica e appassionante, in cui si riallacciano alcuni nodi del passato.
Il Summit 2015 dei Brics a
Brasilia è l’occasione per furti d’antichità, scambi di persona e scontri fra
servizi segreti. In realtà alla base di tutto c’è un machiavellico piano: il
traffico di un nuovo esplosivo sperimentale che non ha bisogno di innesco. La
descrizione che viene fatta delle modalità di attivazione dell’arma (onde
sonore) è un po’ inquietante perché sembra avere delle basi scientifiche
piuttosto solide.
Edson si troverà coinvolto in
questa frenetica girandola di avvenimenti in cui ricompaiono anche il suo amico
archeologo Roland e il villain storico
Eriberto Guillon e fanno capolino nuovi personaggi molto affascinanti come
l’agente giapponese (!) del Mossad Kyoko, una vecchia fiamma di Roland passata
dalla capoeira allo spionaggio e un losco trafficante d’armi. La storia si
dipana frenetica, e con qualche inevitabile concessione alla convenzioni di
genere (dubito che sia così facile scappare dal quartier generale del Mossad!),
tra l’America Latina e l’Africa. Il lavoro di ricerca e documentazione è
evidente e dona alla storia una dimensione realistica.
Babich è cresciuto ancora, e la
sua linea chiara si è impreziosita di tratteggi e neri più profondi e
ragionati. Da segnalare che è riuscito in un compito non facile, anzi diciamo
pure un banco di prova da cui si capisce se un disegnatore è veramente bravo: quello
di far capire al lettore che un personaggio non è quello che sembra senza fare
ricorso a caricature o ad altri mezzucci ma anzi mimetizzando bene il
travestimento (qui si tratta di una donna che si spaccia per un uomo) agli
occhi degli altri personaggi del fumetto che lo guardano ignari, mentre il
lettore accorto può cogliere tutti gli indizi.
Anche dal punto di vista della
sceneggiatura c’è stato un ulteriore sviluppo qualitativo. La storia, come
dicevo sopra, è documentatissima, sia dal punto di vista iconografico che da
quello contenutistico (e se non lo è, PiElle e Marco Zovi hanno fatto un buon
lavoro a rendere tutto così credibile), inoltre stavolta affiora un po’ di
ironia nei dialoghi che rende la lettura ancora più gradevole.
Una storia tanto articolata e con
così tanti personaggi probabilmente avrebbe meritato un respiro più ampio,
tanto più che il finale sembra aprire nuove possibilità o far intravedere nuovi
squarci narrativi. Ma dopotutto è meglio che una storia lasci ancora la voglia
di leggere piuttosto che dia l’impressione di essersi trascinata troppo a
lungo.
Prossimamente un’intervista a
Fabio Babich su Fucine Mute.
Bella recensione, grazie mille!!
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