Coerentemente col titolo felliniano (ché tanto gli altri due registi non se
li ricorda mai nessuno) il sedicesimo Dylan
Dog Color Fest presenta materiale dalla forte impronta autoriale. Dalle
quattro storie per numero si è scesi a tre, forse per coerenza col titolo o
forse perché nel panorama italiano attuale è difficile trovare altri fumettisti
che soddisfino i requisiti di questo Color
Fest, anche se più probabilmente la foliazione ridotta è stata adottata per
ritoccare al ribasso il prezzo della testata e renderla più appetibile ai
potenziali acquirenti che adesso ne troveranno un numero in uscita ogni tre
mesi. Dai 5,50 euro si è passati a 4,50€: alla fin fine non è questo grande
risparmio. E sicuramente al contenimento del prezzo ha contribuito la scelta di
adottare una carta nettamente più povera rispetto alla patinata lucida usata in
precedenza (da quel che mi ricordo io). Quella della carta è comunque l’unica
nota negativa in un volume che ho trovato abbondantemente soddisfacente.
In Sir Bone – Abiti su misura Ausonia
racconta i retroscena della creazione della “divisa” di Dylan Dog, sempre
uguale negli anni (anche se ricordavo che in alcune copertine la camicia era
bianca). Ovviamente ignoro se Ausonia abbia elaborato il soggetto in autonomia
oppure se sia nato a livello redazionale, ma è quasi miracoloso come si sia
riusciti a trovare un argomento nuovo e originale per una serie che ha decine
di migliaia di tavole alle spalle – poi magari lo stesso argomento è stato
oggetto di decine di altre storie che io non conosco non seguendo Dylan Dog ma il soggetto così come è
stato concepito e sviluppato mi è sembrato geniale.
Oltre che la citazione forse casuale di Robert Gligorov in apertura, di
questa storia ho apprezzato molto la struttura che farebbe pensare a un what if e invece non lo è (questo sì che
è un colpo di scena!), l’atmosfera malinconica ma non inquietante che mi ha
ricordato ABC dello stesso autore e
la libertà che è stata concessa ad Ausonia, tanto che si vedono addirittura i
genitali di un uomo, o quello che è, fatto a pezzi. Certo, data la qualità
della carta diciamo che più che altro si intravede, e forse la uso mano a bassa
grammatura è stata scelta anche per rendere meno evidenti questi dettagli
“sensibili” (ma almeno, avendo le tavole di Ausonia una cornice nera, non si
vede la tavola stampata dall’altro lato come succede nelle altre due storie).
Mi è sembrato inoltre che Ausonia sia riuscito a inquadrare molto bene il
protagonista, sottolineandone il pietismo/buonismo (quando nei dialoghi la signorina Claretta ricorda come ogni volta Dylan Dog sia
dispiaciuto per le “capre”) e giustificando anche la sua raffigurazione ipertricotica
non strettamente canonica: prima di incontrare la cliente di turno Dylan andrà
a tagliarsi i capelli, come se ciò a cui abbiamo assistito fosse un dietro le
quinte di quello che succede prima delle avventure ufficiali del protagonista.
Un tocco di metafumetto delicato e molto piacevole.
Sui disegni non mi soffermo: sono semplicemente ottimi. E poco importa se l’effetto
anticato è stato ottenuto con l’uso del computer.
Mi sa tanto che se faranno una versione in un formato più grande e su carta
dignitosa di Sir Bone la prenderò.
Grick grick è a un livello grafico molto più basso rispetto a
quello di Ausonia, anche se va riconosciuto a Marco Galli (mai coperto) che il
suo buon uso degli acquerelli nobilita molto il suo tratto stilizzato in cui
Dylan Dog è difficilmente riconoscibile come tale. Anche se non tocca le vette
di Sir Bone, anche questa storia è
una lettura piacevole, suggestiva e originale.
Dylan e la sua nuova fiamma Genny si trovano in casa un demone obeso
apparentemente innocuo che però, essendo costantemente affamato, digrigna i
denti producendo lo snervante rumore di cui al titolo, che pervade quasi
costantemente le vignette. Il buon samaritano Dylan Dog è impietosito dalla
povera creatura e spende una fortuna per nutrirlo mentre Genny ne è talmente
infastidita da arrivare all’esaurimento nervoso. Vietato dire di più, ma come
avranno immaginato i lettori più arguti non era di cibo materiale che aveva
veramente fame il demone.
Anche se occasionalmente scompagina le vignette quasi a manifestare una
volontà iconoclasta Galli è in realtà molto bravo a gestire il ritmo della
gabbia bonelliana e persino a usare l’alternanza delle tavole pari e dispari a
vantaggio del suo storytelling. Come ho detto in apertura, il suo lavoro sui
colori è molto buono e a testimonianza della tecnica usata si vedono
addirittura le piccole imperfezioni e la brunitura della carta per acquerello
che ha utilizzato. Ah, no, quella è la carta usata per questo Color Fest. Scherzi a parte (e comunque dato
per certo che Galli ha usato la carta per artisti mista a lana) è un vero
peccato che queste tavole non siano state riprodotte su carta patinata, o
perlomeno più pesante, perché le parti lasciate bianche dei disegni rivelano
quello che c’è nell’altra facciata anche senza metterle controluce. E intravedere
le vignette dell’altro lato della pagina sul volto di Dylan Dog o sul pancione
del demone va decisamente a scapito dell’atmosfera.
Claustrophia di Aka B (anche lui visto qui per la prima volta)
è un lungo ed estenuante monologo di Dylan Dog finito in un pozzo e in lotta
contro la montante disperazione. Aka B ci tiene a mostrare quanto conosce la
materia e inanella riferimenti su riferimenti alla continuity della serie. Il risultato è alquanto sterile e in
definitiva non si può nemmeno definire una storia vera e propria visto che non
c’è una trama che sviluppa la situazione di partenza. È un esercizio di stile
come se ne sono visti tanti altri, oltretutto con un tipo di disegno lontano
dai canoni della serie e anche abbastanza bruttarello, anche se con la scusa
della presunta artisticità Aka B può sollevarsi dall’incombenza di disegnare
Dylan Dog con lo stesso viso di vignetta in vignetta. Non continuo a infierire
perché l’alto livello del resto di questo Color
Fest non viene certo inficiato da questo scivolone finale. Così come glisso
sul copertinista tardo-mignoliano Arturo Lauria presentato con toni entusiastici
ma che, almeno da questa prova, mi sembra poco originale e ancor meno incisivo.
PS: in questo albo ho trovato forse l’unico refuso di tutta la storia della
Bonelli, nel colofon il titolo Grick
Grick è stato trascritto Gick Grick.
Dyd aveva la camicia bianca nelle covers dei numeri tre e sei. Bravo. Anche nelle ristampe fino alla Collezione Book dove un tennico che chiamerò Mister Costoletta ha deciso che il "suo" albo con cover rigida doveva essere coerente con il rosso delle altre uscite di CB. Cattivo.
RispondiEliminaNon credevo sarei vissuto tanto da vedere un film con Deadpool, ma sono incappato nel cartellone pubblicitario con il mercenario proprio stamane e non credevo che SBE avrebbe mai osato Ausonia, Marco Galli ed Aka B, ma la vita è bella perchè è tutto quel che abbiamo ed ora attendo un fumetto del mercenario chiaccherone scritto da Galli, disegnato da Aka B e colorato ed invecchiato da Ausonia.
Dimentichiamo Vadim e Malle semplicemente perchè la frazione felliniana è visionaria al punto che sarebbe un ottimo fumetto scritto da Aka B, disegnato da Ausonia e colorato da Marco Galli.
Non credo sarebbe pubblicato da SBE, ma non si sa mai.
Vadim lo ricordavo vagamente ma non ci avrei giurato, a Malle non ci sarei mai arrivato: dì la verità, hai consulatato Wikipedia o Imdb.
EliminaTrovo più congruente che commenti contenenti la parola "Deadpool" vengono inseriti in calce a un post che tratta di fumetto SBEllico (cit.) piuttosto che in uno che parla di classici più o meno moderni della BéDé.
Bene così, Crepascolo.
Non ricordavo Vadim. Non so perchè. E ho visto anche Barbarella. Mi pare di capire che quando ti sdrai sull'erba in cima alla collina e guardi le nuvole rapide che piacciono ai Subsonica e sogni il tuo fantafumetto non pensi alle dodici fatiche di Asterix con Deadpool al posto del piccolo Gallo.
RispondiEliminaPeccato. O forse no. Naturalmente esiste sempre il rischio che il mercenario picchiatello risolva tutto - compreso il rilascio del lasciapassare A-38 - a colpi di mitragliatrice. Testi di Jason Aaron e disegni di Roland Boschi.
Roland Boschi l'ho letto poco fa in treno (Hail Hydra 2). Nulla di eccezionale ma meglio di tanti altri.
EliminaIn coppia con Aaron ha disegnato alcune storie di Ghost Rider in cui sono è stata ripescata anche la Jane Cutter che Warren Ellis aveva creato quando al lavoro sulla effimera Hellstorm negli anni novanta
RispondiElimina( da noi nei 4 volumetti in formato bonellide nomati Inferno dalla Marvel Italia ).
Boschi ha un tratto stilizzato che potrebbe ricordare qualche cartoonist nostrano - diciamo il Cammo di Bonerest - e penso che potrebbe funzionare anche in b/n ed in formato quaderno. Sospetto che il disegnatore francese - come il suo collega inglese Jock- ami disegnare sul taccuino appoggiato al ginocchio al parco mentre tutto intorno scorre. Nelle orecchie Chi ha paura della notte della PFM.
Con un maggior controllo di palla , non atterrerebbe tanto distante dallo Adlard di X-Files ( non da quello odierno di The Walking Dead ) o dallo Sean Phillips di Hellblazer # 50 e di qualche numero seguente ( quindi prima della lunga run di Paul Jenkins ) e di Kid Eternity.
Non che mi spiaccia il Boschi di GR. Mi piace l'idea del cartoonist che estrae la matita dalla fondina ascellare e disegna. In treno o in bus non riesco a leggere fumetti e ti invidio. Di solito leggo prosa. Carver o Lansdale o altro ancora. Non importa. Riesco però a fissare x dieci minuti di fila la faccia di un/a tizio/a che legge un fumetto in treno o in bus e la trovo sempre bellissima .
Non considero Boschi molto stilizzato, almeno da quel poco di suo che ho visto io. Sean Phillips ti aggrada? Mah.
EliminaSean mi piaceva sui WildCats di Casey e sui primi Hellblazer. Ora è sicuramente + bravo nel gestire i bilanciamenti luce e ombra, ma trovavo la sua sintesi di qualche anno fa + utile all'economia del racconto e + gradevole da vedere. De gustibus.
RispondiEliminaA me piace anche il Mike Oeming dei raccontini degli Avengers che integravano qualche anno fa la ristampa dei primi numeri. Lo preferisco anche allo Oeming di Powers. Saranno gli anni che passano, sarà la overdose di cartoni amati da Lino, ma sto decisamente orientandomi per un disegno che sia segno e per un fumetto che non sia necessariamente realistico nel tratto. Se continua così, tra gli italiani leggerò solo Alessandrini e Ratigher.
e Werther Dell'Edera.
EliminaDell'Edera è come un Armando Rossi che sia riuscito a scendere a patti con la caffeina, assumendone la modica quantità che un cardiologo non punitivo potrebbe anche prescrivermi se mentissi senza ritegno sulle tazze che ho bevuto in 40 anni di dipendenza. Ha disegnato un graphic novel di John Constantine su testi di Ian Rankin. In b/n. Prima o poi sarà mio. Credo che abbia a che fare con un bizzarro reality show.
RispondiEliminaQuel romanzo grafico non venne pubblicato nella bella collana dalla Panini Noir perché il protagonista era di proprietà DC Comics/Vertigo. So goes life.
EliminaDavvero. Io sento che oggi uscirò dal bunker per la pausa pappa ed entrerò nel mio negozio di fumetti ed altro e troverò lo Hellblazer ederico. Lo sento. Ieri ho preso un Lansdale con cover di Zerocalcare. Cercavo altro. Il trucco è tutto lì. Oggi camminerò verso la porta con in testa l'immagine di una nuova ed inedita raccolta del Rocky Rude di Maramotti o il Kamandi della Planeta in /b/n reminder a metà prezzo e sicuramente troverò lo Hellblazer che "non" stavo cercando. It/s a kind of magic.
Eliminacurioso questo lapsus remainder/reminder.
EliminaDovrei rileggere ogni tanto, sorry.
Eliminaaltro lapsus: sono sicuro che volevi scrivere "Dovrei rileggere ogni tanto Sorry" (laddove "Sorry" era una delle prima proto-riviste di fumetto d'autore).
EliminaE come darti torto.
Ne ho letto un numero, tanti anni fa. Pagato pochissimo in un negozietto dove erano impilati a caso fumetti e riviste.
EliminaBeato te, mai visto uno. :(
EliminaSo goes life.
Armando Rossi sarebbe una scelta interessante x un Dyd. Non necessariamente a colori. Dubito però cghe sarebbe apprezzato da chi segue la ongoing.
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