Può succedere anche questo:
quando venerdì mattina sono passato nell’edicola dove mi mettono da parte Historica non c’era il mio edicolante di
fiducia ma suo padre, ignaro di dovermi consegnare il nuovo numero. Tutto preso
da L’Isola del Tesoro,
non mi è venuto in mente di chiedere se fosse arrivato anche quest’altro e
quindi solo oggi ho potuto metterci le mani sopra.
Il Sangue dei Codardi ha un inizio coinvolgente e si sviluppa nella
lunghezza di due capitoli in maniera complessa e articolata, seguendo due linee
temporali diverse e solo casualmente convergenti, che oltretutto non seguono
necessariamente un ordine cronologico.
Nel 1641 a Giava viene commesso
un delitto e un ufficiale di Sua Maestà Britannica viene inviato a indagare sul
caso tra la reticenza e l’aperta ostilità degli Olandesi. Circa vent’anni dopo
(questa prima linea temporale si sviluppa nell’arco di due anni dall’aprile
1641 al luglio 1643) un graduato londinese del Royal Regiment of Horse di
stanza a York si trova coinvolto in una serie di macabri delitti compiuti da
qualcuno che ha smembrato delle persone spargendone i pezzi per la campagna
inglese.
Entrambe le vicende si sviluppano
in maniera macchinosa, accumulando elementi e personaggi nei rispettivi “casi”,
né mancheranno le false piste. Il fatto che i personaggi parlino ostentatamente
in maniera forbita non aiuta a calarsi nella storia, così come i rarissimi
tentativi di battute umoristiche risultano infelici e nessuno dei personaggi è
simpatico, limitando drasticamente il coinvolgimento del lettore verso le loro
sorti. Oltre ai limiti grafici di Delitte di cui dirò sotto.
La vicenda degli anni ’40 ha una
conclusione arzigogolata ma efficace, quella degli anni ’60 (la principale) si
basa interamente su un colpo di scena non banale ma già visto altrove (il colpevole è proprio colui che indaga), che in
questo contesto così storicamente accurato mi è sembrato fuori luogo, tra il
thriller postmoderno e lo sberleffo – pur se Delitte aveva seminato indizi che
portavano verso quella direzione. In sottotesto, comunque, sembra che l’autore
abbia voluto puntare il dito contro la VOC, la Compagnia Olandese delle Indie
Orientali, come causa di molti dei mali del XVII secolo connessi all’avidità e
alla sopraffazione che generarono i suoi colossali giri d’affari.
Dall’introduzione di Sergio
Brancato risulta che, nonostante il distico qui raccolto sia autoconclusivo, la
serie in Francia è continuata.
A livello grafico Jean-Yves
Delitte è spettacolare quando disegna panorami, architetture e ovviamente le
imbarcazioni che ne hanno decretato il successo, inoltre è l’unico colorista
digitale che conosco a ottenere col computer dei risultati accostabili alle
tecniche tradizionali, se non addirittura migliori. Per il resto è un disastro.
Come già avevo rilevato
le sue figure maschili (donne e bambini sono poco più che mostri) sono
praticamente tutte uguali, con qualche modifica minima ma racchiuse sempre in
quelle quattro o cinque inquadrature fisse, addirittura nella stessa vignetta:
alla lunga l’effetto è stucchevole. Solo due o tre personaggi, per ragioni
narrative, si discostano da questo standard, per il resto è veramente difficile
distinguere un personaggio dall’altro. Meno male che i due protagonisti sono
uno biondo e l’altro moro. Inoltre questo fumetto risale a pochi anni fa,
quindi l’ormai affermato Delitte presta ancor meno attenzione a certi
particolari: se di base i suoi uomini hanno tutti delle spalle piccole e delle
gambette secche, nel secondo capitolo sfoggiano anche degli occhi sproporzionati
e posizionati in maniera arbitraria quando sono di profilo. Le tavole doppie
panoramiche sono senz’altro uno splendore, ma non bastano a risollevare la
parte grafica de Il Sangue dei Codardi.
Per l’occasione (immagino
riprendendo un’edizione francese) i due volumi di 46 tavole l’uno sono
integrati da un’appendice con dei brevi saggi sulla storia della Batavia e
della VOC, che per il loro partecipato lirismo potrebbero anche essere opera
dello stesso Delitte che li ha illustrati con schizzi e studi vari.
Di sicuro non si tratta di un
volume banale e, vivaddio, non è nemmeno un fumetto di guerra; cionondimeno, Il Sangue dei Codardi mi ha lasciato più
perplessità che soddisfazioni.
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