Simpatico fumetto sopra le righe,
anzi decisamente esagerato, com’è nello stile e nello spirito di Geof Darrow.
Bourbon Thret/Shaolin Cowboy si riprende dal massacro di zombi in cui era
rimasto al termine della sua precedente avventura in cinemascope, ma i guai per
lui sono appena iniziati visto che in questa versione distorta dell’America (il
“Texis”) un suo arcinemico ha sollevato un mezzo esercito di assassini bizzarri
per farlo fuori.
Sfogliando il volume, e quindi
vedendo le caricature di Trump, ho pensato che in Chi fermerà il Regno? ci fosse un certo sottotesto di satira, cosa
evidenziata anche da Antonio Solinas nell’introduzione. In realtà non è così: i
vaghi rimandi alla contemporaneità sono solo elementi decorativi al pari degli
altri dettagli più o meno folli che Darrow usa come tappezzeria per le sue
“storie”. Più che altro, c’è una critica ossessiva alla dipendenza da device e
social network, tanto ripetitiva da diventare stucchevole.
Le tappe della marcia di morte
intrapresa dal protagonista sono punteggiate dalla stessa situazione di
partenza che si ripete immutata, variando solo l’animale protagonista: forse in
uno slancio nazi-vegano Darrow racconta di come la consapevolezza di essere
letteralmente carne da macello induca maiali e aragoste (e alla fine il ciclo
continuerà coi polli) a diventare gangster. Non ho capito se i riferimenti ai
ristoranti dello Iowa siano un omaggio alla sua terra natale o al contrario una
presa in giro.
Al di là della “trama” quello che
colpisce di questo fumetto sono ovviamente i disegni molto dettagliati, anche
se sacrificati nel formato comic book e a dirla tutta nemmeno poi così
dettagliati com’erano nelle opere precedenti di Darrow. Ogni tanto, e non serve
nemmeno passare le tavole ai raggi X per accorgersene, alcuni particolari non
tornano: certe scritte fuori dai locali cambiano di vignetta in vignetta, così
come gli orecchini di Pork Kong o i coltelli al posto delle zampe dei
cani-killer che tornano a essere zampe in una vignetta. Forse Darrow ha inserito
volutamente questi “errori” per suscitare il pinailleur che è in noi, o per vedere se stavamo attenti mentre
leggevamo il fumetto.
Alla fine della lettura, pur se
la trama è talmente esile da risultare impalpabile, rimane una piacevole
sensazione di appagamento per essersi riempiti gli occhi dei disegni di Darrow
(ben colorato da Dave Stewart) e per le sue folli trovate tra infantilismo
iconoclasta e Surrealismo – peccato che il formato renda meno godibili le
numerose tavole doppie. Anche il suo umorismo, per quanto macabro e di grana
grossa, riesce spesso a far sorridere. Inoltre Darrow ha svolto un attento
lavoro sul linguaggio dei suoi personaggio, infarcendo i dialoghi di giochi di
parole che deve essere stato un incubo cercare di rendere in italiano.
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