domenica 15 aprile 2018

Shaolin Cowboy: Chi fermerà il Regno?

Simpatico fumetto sopra le righe, anzi decisamente esagerato, com’è nello stile e nello spirito di Geof Darrow. Bourbon Thret/Shaolin Cowboy si riprende dal massacro di zombi in cui era rimasto al termine della sua precedente avventura in cinemascope, ma i guai per lui sono appena iniziati visto che in questa versione distorta dell’America (il “Texis”) un suo arcinemico ha sollevato un mezzo esercito di assassini bizzarri per farlo fuori.
Sfogliando il volume, e quindi vedendo le caricature di Trump, ho pensato che in Chi fermerà il Regno? ci fosse un certo sottotesto di satira, cosa evidenziata anche da Antonio Solinas nell’introduzione. In realtà non è così: i vaghi rimandi alla contemporaneità sono solo elementi decorativi al pari degli altri dettagli più o meno folli che Darrow usa come tappezzeria per le sue “storie”. Più che altro, c’è una critica ossessiva alla dipendenza da device e social network, tanto ripetitiva da diventare stucchevole.
Le tappe della marcia di morte intrapresa dal protagonista sono punteggiate dalla stessa situazione di partenza che si ripete immutata, variando solo l’animale protagonista: forse in uno slancio nazi-vegano Darrow racconta di come la consapevolezza di essere letteralmente carne da macello induca maiali e aragoste (e alla fine il ciclo continuerà coi polli) a diventare gangster. Non ho capito se i riferimenti ai ristoranti dello Iowa siano un omaggio alla sua terra natale o al contrario una presa in giro.
Al di là della “trama” quello che colpisce di questo fumetto sono ovviamente i disegni molto dettagliati, anche se sacrificati nel formato comic book e a dirla tutta nemmeno poi così dettagliati com’erano nelle opere precedenti di Darrow. Ogni tanto, e non serve nemmeno passare le tavole ai raggi X per accorgersene, alcuni particolari non tornano: certe scritte fuori dai locali cambiano di vignetta in vignetta, così come gli orecchini di Pork Kong o i coltelli al posto delle zampe dei cani-killer che tornano a essere zampe in una vignetta. Forse Darrow ha inserito volutamente questi “errori” per suscitare il pinailleur che è in noi, o per vedere se stavamo attenti mentre leggevamo il fumetto.
Alla fine della lettura, pur se la trama è talmente esile da risultare impalpabile, rimane una piacevole sensazione di appagamento per essersi riempiti gli occhi dei disegni di Darrow (ben colorato da Dave Stewart) e per le sue folli trovate tra infantilismo iconoclasta e Surrealismo – peccato che il formato renda meno godibili le numerose tavole doppie. Anche il suo umorismo, per quanto macabro e di grana grossa, riesce spesso a far sorridere. Inoltre Darrow ha svolto un attento lavoro sul linguaggio dei suoi personaggio, infarcendo i dialoghi di giochi di parole che deve essere stato un incubo cercare di rendere in italiano.

Nessun commento:

Posta un commento