Leggere i primi due capitoli di questo fumetto
è stato un po’ arduo, con tutti quei personaggi e la sovrabbondanza di
sottotrame, ma necessario per godersi appieno il gran finale in cui tutti i
tasselli si mettono al loro posto, o per meglio dire si vedono i molti protagonisti
agire nella maniera più adatta a loro senza bisogno che il lettore che già li
conosce abbia bisogno di spiegazioni sul loro operato.
L’angelo nero di El Páramo, terzo episodio della serie, è in
sostanza il lungo scontro finale tra Orth e Mac Hilian, in cui ovviamente anche
Anna Lawrence, Lagarigue, Millard e gli abitanti della missione avranno il loro
ruolo (anzi, Orth non partecipa nemmeno al duello che è chiamato ad
affrontare). Gli Yamana se ne tengono invece alla larga, avendo ormai giustamente
le palle piene dei bianchi.
Il ritmo della storia è serrato e
molto avvincente, e Perrissin inserisce sapientemente verso la fine
dell’episodio qualche divagazione per seguire la sorte di altri personaggi, in
modo da rallentare il ritmo e invogliare ancora di più alla lettura di come
andrà a finire. In un paio di occasioni mi sembra che abbia azzardato qualche
tentativo di umorismo che si è rivelato però un po’ fuori luogo, ma la
narrazione funziona lo stesso benissimo. I personaggi sono resi con grande
umanità e realismo, ma per appassionarsi fino in fondo al loro destino bisogna
appunto aver letto il precedente volume.
Capo Horn potrebbe benissimo concludersi qui, ma ne è stato
realizzato un quarto capitolo, Il
principe dell’anima, che funge più che altro da dietro le quinte per
chiarire il mistero dell’identità e delle motivazioni di Orth e per sciogliere
i nodi di altre trame secondarie. Non solo: Perrissin conclude la saga
intrecciandola con la storia della nascente Argentina, facendo ancora una volta
sfoggio di grande rigore e documentazione. Anche l’architettura della trama è
molto ragionata visto che alla fine alcuni personaggi a cui era stato dato
abbastanza spazio si rivelano solo delle funzioni narrative, micce accese
qualche numero prima per poi deflagrare al momento opportuno.
I disegni di Riboldi sono ottimi,
molte sequenze de Il principe dell’anima sono
mute e funzionano a meraviglia. Ma avrebbero potuto essere ancora migliori:
probabilmente per imposizione dell’editore ha adottato un’inchiostrazione
pulita e senza molti tratteggi, così da demandare al colorista i dettagli come
le pieghe dei vestiti o le montagne sullo sfondo. Ma purtroppo i colori
digitali (a opera di Hélène Lenoble con un brevissimo intervento di Sébastian
Lamirand) hanno un retrogusto artificiale “plastificato” che toglie fascino
all’insieme. Nel complesso Capo Horn
si è rivelato un gran bel fumetto, sapientemente costruito tra fantasia e
Storia e soprattutto molto appassionante. Ma per goderselo bisogna affrontare
la lettura dei primi due capitoli, che apparentemente girano a vuoto. Per
fortuna la Mondadori ha pubblicato questo secondo volume dopo soli tre mesi dal
primo,
così il suo ricordo è ancora abbastanza fresco.
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