I protagonisti sono tre giovani
(che poi forse tanto giovani non sono) che vivono nella tranquilla e ovattata
provincia italiana, probabilmente emiliana giacché i cappelletti sono romagnoli.
Entrano in scena progressivamente: all’inizio uno di loro parla a un altro del
suo desiderio di fuga, bloccato dall’amore che comunque nutre per la sua città
– mentre l’altro partirebbe volentieri se ne avesse i mezzi, verso
un’irrealistica e idealizzata vita di ozi. Il primo evoca un episodio cui ha
assistito insieme al terzo protagonista (Frà, l’unico ad avere un nome) come
esempio dell’arretratezza e della stagnazione in cui versa la loro città. Una
volta che anche Frà si unisce a loro decidono di andare a provare una nuova
pizzeria dove avranno una sorpresa (e con loro il lettore), unico e simpatico
scossone di una “storia” più descrittiva che narrativa.
Lo stile grafico di Guido Brualdi
parte realistico ma diventa presto sporco e caricaturale, pur con un suo
rigore: può ricordare vaghissimamente Tuono Pettinato. Il risultato è gradevole
ed efficace e anche i colori sono dati con criterio e perizia. Forse in 24
pagine di fumetto avrebbe potuto mettere più carne sul fuoco, ma mi rendo conto
che Via di qui volesse essere più la
descrizione di certe suggestioni che non una “storia” vera e propria.
Come nel caso di Padovaland
la quarta di copertina annuncia con toni quantomeno seriosi («Il desiderio di
scoprire il mondo e la paura dell’ignoto si fondono in un racconto […]
sull’amicizia e la scoperta di se stessi.») quella che in realtà è una commedia
con al massimo qualche velatura agrodolce, che bisogna sforzarsi per cogliere.
Si è giovani fino ai quaranta anni circa. No kiddin. Strano al mio neurone di 52enne abituato a romanzi USA con personaggi di venticinquenni con alle spalle un divorzio difficile, una società in liquidazione, un passato nei corpi speciali ed un fastidioso problema di personalità multipla che nessuno dei dottori è riuscito a curare in quella struttura dai muri candidi dove l'estate è timida. I titoli di giornali in rete ed altrove spesso recitano cose come " ragazzo di 35 anni infila il dito nella crepa della diga ed arriva tardi al toga party ". Ho visto alcuni lavori di Brualdi nel tempo in rete e ho l'impressione che i suoi giovani siano Tuono Pettinato o Weird Al Yankovic e le ragazze Jane Birkin come le disegnerebbe Pendleton Ward di Adventure Time. Mi rendo conto che sia una ferita nel tuo nobile cuore di lettore di tascabili colle avventure di eroi dalla maschera di teschio e dal segno realistico e sintetico, ma noi giovani inside passiamo la notte leggendo Party Hard ( Feltrinelli Comics ) anche se dipendiamo solo dal caffè liofilizzato. Ciao ciao
RispondiEliminaO forse giovani non lo si è mai.
EliminaIo mai stato, ma ho sentito di altri che lo sono stati.
RispondiEliminaIo solo paese, anzi villaggio.
EliminaÈ il tipo di battute che fa mio fratello. Interessante
RispondiEliminaE pare le faccia anche Tiziano Sclavi. Mi è stato detto da chi lo ha frequentato almeno uno zinzino.
RispondiEliminaNon credo tu sia mio fratello quindi il cerchio si stringe Tiz...
RispondiEliminaAh, tuo fratello gioca a tennis?
EliminaQuindi sei DAVVERO tu Tiz! Pazzesco. E come scoprire che Alan Moore passa le fidaty cards in un minimarket di un comune della val seriana per studiare i personaggi della sua versione della Bovary. Resterà il nostro piccolo segreto, Tiz. Non lo dirò a nessuno, nemmeno a Graziano quando e se.
RispondiEliminaIn effetti avevo sentito anni fa di un progetto di Moore per trasportare il classico di Flaubert in un paesino della Valtrompia durante il Ventennio, ovviamente coi nomi cambiati.
EliminaCredo che il titolo di lavorazione del Cineromanzo o romanzo cinetico che dir si voglia sia "Emma Ayala: an Italian story".
Si parlava anche di un musical prodotto da Tobia Quantrill con coreografie di Don Lurio con Weird Al nella parte di Renato Pozzetto e Enzo Paolo Turchi in quella di Emma.
Spero sia un commento abbastanza insensato da tenere occupato per sette nanosecondi il Crepascolo-Samaritan.
Davvero era della Barbato...
EliminaNel crepascolaverso Don Lurio e Don Backy sono i due ghost writers di Don DeLillo, Lurio è bravo nella organizzazione dei materiali - pare danzare nella rete - e Backy scrive come Hugo Pratt ( lo so, nella vostra realtà ha disegnato anni fa un graphic novel in stile vagamente prattiano). Backy decide di piantare tutto per scrivere un remake di Oh, Serafina! come fosse Qualcuno volò sul nido del cuculo con Pannofino al posto di Pozzetto e Miriam Leone al posto della Di Lazzaro e Lurio, disperato, si maschera con una barba finta, entra nello studio di Backy e cerca le rough notes dell'ultimo romanzo. Backy lo sorprende. Una collutazione. Sembrano danzare, ma lottano. Sembrano cantare, ma urlano. DeLillo entra in quel momento e ha una epifania: torna a casa e scrive per la prima volta da decenni qualcosa di suo.
RispondiEliminaPreferisco Don Savio, pax all'animax suax.
EliminaMi rendo conto ora che il mio plot ricorda quello dell'episodio di Columbo/Colombo per l'Italia diretto da un implume Steven Spielberg in cui due soci - tipo i due cugini dietro lo pseudonimo Ellery Queen - sono autori di gialli, ma solo uno li scrive DAVVERO e l'altro si occupa delle public relations. Il primo decide di smetterla e di scrivere un romanzo non di genere e l'altro lo uccide. brr. Le note sono DAVVERO sette come mi fa sempre notare Tiz a.k.a. Luca Lorenzon.
RispondiEliminaPer quel che vale, penso che la Bovary nel ventennio funzionerebbe. Forse un film della Cavani più che un fumetto. Se fumetto deve essere, scritto da Max Bunker ( papà di Tobia Quantrill ora che ci penso ) e disegnato da Sara Colaone collo stile di Lupin Millennium o In Italia sono tutti maschi. Davvero una strana coppia. Tascabile in b/n. Olè
RispondiEliminaSamaritan è anche il Superman di Astro City ( Kurt Busiek/ Brent Anderson/ Alex Ross). Ci vuole talento di classe grantmorrisoniana per accostare un archetipo come quello a Tobia Quantrill, personaggio che deve stare nella Hall of Fames se non altro per il nome. Solo in Alan Ford ormai possiamo trovare creazioni come Beppa Giosef, Aseptik, Zippel o Turluk.
RispondiEliminaUno col talento di Tiz o di J_D_La_Rue_67 farebbe di Zippel Turluk un Nemo 2.0. Il comandante gender fluid di una posse di ex anacoreti che dopo anni di meditazione hanno capito che il limite esiste solo nelle nostre zucche è che il multiverso è il nostro cestino di fragole. Molto british. Dalle parti di Nikolai Dante etc. Direi matite di Martoz. Olé
RispondiEliminaPensandoci bene-bene, la cosa (fra tante) del multiforme geniaccio italico Max Bunker che mi risulta più incomprensibile, è come abbia potuto nomare Orestolo il Papero un regolarissimo Howard the Duck così battezzato da quell'altro genione lousiano di Gerber (Steve).
EliminaSono convinto che è stato lui.
Non oso ipotizzare una ispirazione da Eschilo.
Facciamoci 4 salti e tanti saluti.
https://www.youtube.com/watch?v=e0oeY1KMY9U
Non che Odoardo il Papero suonasse poi molto meglio.
EliminaD'altra parte tu mi raccontavi del Deathlok divenuto in italiano Cybernus, giusto? Ma in quel caso si poteva giustificare con l'incomprensibilità per il pubblico italiano del nome originale.
E persino l'Uomo Ragno rischiò di chiamarsi Arakno, se non ricordo male.
Complimenti per la memoria.
EliminaSì, alcuni nomi italiani dati dalla Corno (non so se da Bunker) sono in effetti più belli degli originali, come Cybernus o Licantropus (per Werewolf by Night), guarda caso tutti latineggianti e terminanti al nominativo, quindi forse escogitati dallo stesso cervello.
Pure Orestolo mi piace, vorrei solo sapere come venne escogitato. Era un caso in cui tranquillamente si poteva lasciare l'originale Howard.
Mi sembra che qualche anno dopo tradussero Nightcrawler con Lombrico, salvo poi tornare precipitosamente all'originale. In quel caso la traduzione era corretta, ma ripugnante.
Anch'io ricordo albi Corno con Lombrico, ma anche con... Ghiottone!
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