La seconda parte, terzo volume originale francese, si concentra ancora a lungo (metà episodio) sulla Notte di San Bartolomeo, che probabilmente è uno di quegli argomenti come Napoleone o la Comune che coi Francesi funzionano sempre – non a caso veniva ricordata anche ne Le Sette Vite dello Sparviero che è ambientato anni dopo. La corsa verso l’inevitabile massacro è ben orchestrata, con la tensione che viene fatta sapientemente crescere grazie al confronto tra Caterina e i suoi consiglieri, mentre gli sceneggiatori danno anche conto delle varie possibili interpretazioni dell’evento e delle personalità che potrebbero averlo fatto deflagrare. È probabile che il loro intento sia anche quello di scagionare la protagonista dalle accuse di aver progettato ella stessa il massacro come hanno sostenuto alcuni storici.
Dopo questa prima metà molto avvincente e ben architettata la narrazione subisce un brusco rallentamento: torniamo al “presente” (fino a prima la storia era narrata da Caterina anziana) quando la regina ormai quasi in fin di vita mangia con la servitù riassumendo frettolosamente il resto del suo regno. Delalande e la Mogavino sono stati sicuramente efficaci nel riallacciare certi fili risalenti addirittura all’infanzia della protagonista, ma inevitabilmente lo spazio ridotto ha costretto a sfiorare appena certi argomenti e a far entrare in scena alcuni personaggi (in particolare il principe Francesco) come se uscissero dal nulla. Le frequenti scene in cui i personaggi delirano sopraffatti dalla loro coscienza sono un po’ esagerate ma tutto sommato funzionano bene. Nel complesso Caterina de’ Medici è un buon fumetto, decisamente migliore dell’altra prova degli stessi autori.
Sfogliando il volume mi era sembrato che Gomez fosse sceso a più miti consigli e avesse diminuito i dettagli maniacali con cui ha riempito le sue tavole. In parte è vero, ma ci sono ancora delle vignette in cui bisogna usare una lente d’ingrandimento per cogliere tutti i dettagli, e che “stonano” col resto perché evidentemente realizzati a parte col computer e inseriti successivamente dentro tavole impostate su un’altra scala. Tutti questi dettagli, poi, servono fino a un certo punto visto che il punto forte di Gomez è la grandissima espressività dei suoi personaggi. C’è un avvicendamento ai colori: l’ultimo episodio è stato colorato da Salvo e non più da José Luis Rio, anche se non ho avvertito alcuna differenza rilevante. Di sicuro i disegni di Carlos Gomez si gustano di più in bianco e nero e con un formato più grande, come confermano i dietro le quinte sul suo lavoro posti in appendice.
Nelle ultime pagine del volume c’è anche un’intervista alla Mogavino, da cui si evince che in Francia gode di grande stima e ha mietuto premi su premi.
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