venerdì 19 maggio 2023

Il Nome della Rosa 1

Ovviamente ne ero già a conoscenza, ma è stato comunque spiazzante vedere che la prima parte della riduzione del romanzo di Umberto Eco finisce bruscamente proprio sul più bello, quando l’azione ha pienamente carburato e la curiosità di arrivare al bandolo della matassa è tanta. Senza neanche un «fine della prima parte» o «continua» a testimoniare un punto fermo, per quanto sospeso.

Non credo che serva riassumere la trama de Il Nome della Rosa, probabilmente il romanzo più famoso e venduto di Eco, celeberrimo anche per la sua versione cinematografica a opera di Jean-Jacques Annaud – in cui per il ruolo del monaco deforme Salvatore era stato proposto inizialmente Franco Franchi. In breve, un francescano maturo ex-inquisitore e il suo giovane attendente benedettino giungono a un’abbazia dove dovranno indagare su una misteriosa morte che sarà il preludio di una strage di monaci, quasi tutti amanuensi.

Manara introduce la storia “fumettando” un’introduzione dello stesso Eco e per tutto il corso delle tavole riesce a mantenere un equilibrio perfetto tra la fedeltà al testo originale (spesso aulico e compiaciuto di esserlo) e la necessità di raccontare per immagini. Le posture e le espressioni dei personaggi rendono vivi anche i dialoghi più lunghi e bizantini, ma il testo di partenza presenta anche sequenze concitate e persino lisergiche che vengono rese con grandissima efficacia.

Al di là di questo le tavole sono uno spettacolo per gli occhi. Paradossalmente le rarissime donne che vi fanno capolino sono quasi un corpo estraneo, elementi un po’ stereotipati laddove gli uomini sono raffigurati con una grandissima naturalezza che li rende vivi. Non mancano ovviamente le citazioni: il protagonista Guglielmo da Baskerville è un giovane Marlon Brando, qua e là riaffiorano i volti dei caratteristi del cinema italiano e forse in Alinardo da Grottaferrata chissà che non ci sia un omaggio al Giuseppe della Paulette di Wolinski e Pichard. Le citazioni comunque non si limitano ai modelli su cui basare le fattezze dei personaggi, ma comprendono anche pittura e architettura. Non mancano inserti più o meno lunghi in cui i fatti (cioè il passato di alcuni personaggi) vengono riassunti e illustrati più che raccontati, ma l’effetto non è affatto didascalico, anzi mi hanno ricordato alcune parti analoghe dei primi Giuseppe Bergman.

Onore al merito, va segnalato che anche il lavoro ai colori di Simona Manara è ottimo, riuscendo quasi a simulare dei veri acquerelli – certo, ho visto che in alcune vignette il colore sbava debordando dai contorni, ma probabilmente è dovuto al fatto che Manara ha lavorato certi elementi a mezzatinta.

Oltre alle 60 tavole del fumetto il volume comprende anche un’appendice con schizzi e prove. Se non finirà nel Meglio del 2023 non sarà solo perché lascia il lettore in sospeso e so già come va a finire la storia, ma anche per una scelta bislacca di Oblomov/Nave di Teseo: perché non stamparlo su carta patinata?

6 commenti:

  1. Non mi risulta che Oblomov (e Igort in generale) abbia mai stampato su patinata. Se qualcosa c'è stato (forse un Tardi della Coconino) è un'eccezione a conferma della regola.
    Credo che la storia non sia nata per essere divisa in due parti, ma esigenze commerciali lo hanno imposto. Ho letto a puntate su Linus (dove mancano le ultime quattro tavole del libro, che spero vengano recuperate nella seconda parte), confermo le ottime impressioni, ma non grido al capolavoro.

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    1. Manara a Lucca aveva parlato proprio di due parti, ma ovviamente i motivi potrebbero essere quelli che hai detto tu. Simpaticissima questa abitudine del Linus di Igort di non pubblicare tutto un fumetto (una volta ne pubblicavano addirittura solo degli estratti), non mi pento di non acquistarlo più.

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    2. Peraltro, mi sembra che su Linus sia stampato in maniera abbastanza indecente.

      Confesso di non essere un fan di Manara: sfogliando la rivista, mi ero visto confermare il mio pregiudizio ("È proprio bollito"); guardando le stesse tavole sul volume in libreria, invece, ho dovuto rivalutare il tutto.

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    3. Il volume è stampato molto bene, in alcuni punti si intravedono le matite sotto le "chine" (scritto tra parentesi perché credo che Manara abbia usato la penna biro). Purtroppo con la carta non patinata e oltretutto non bianchissima il tutto viene un po' smorzato.

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    4. Non è tanto la patinata: su Linus la definizione era molto scadente, i colori mooolto smorzati, e c'erano perfino dei fuori-registro, in alcune puntate.

      Probabilmente non lo leggerò mai, ma l'albo mi ha dato tutt'altro impressione del suo lavoro, che sulla rivista mi era parso sciatto e poco ispirato.

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    5. Mah, i fuori registro non dicono che siano fisiologici ma possono capitare. Quando capitano nei volumi ovviamente ci si incazza di più!

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