Mark Millar, che vanta un pedigree da sindacalista, rappresenta per il
fumetto l’esempio perfetto di capitalismo selvaggio. È in grado di creare un
clamore intorno alle sue nuove produzioni notevole persino per gli standard
statunitensi e persegue con determinazione il mandato secondo cui le sue storie
devono programmaticamente essere incomplete, insoddisfacenti, in modo da
generare delusione nel pubblico e spingerlo a ritentare la sorte con il suo
prossimo fumetto, creando un circolo virtuoso di cui beneficiano i suoi editori
e il suo portafoglio.
La critica che più spesso viene mossa a Millar nell’ultimo periodo, oltre
al poco impegno, è che le sue storie a fumetti ricordano un po’ troppo delle
sceneggiature cinematografiche già pronte per l’uso, probabilmente perchè nelle
sue intenzioni sono solo il viatico per nuove e più redditizie produzioni
hollywoodiane dopo Wanted. In effetti
questo è particolarmente evidente in opere come 1985, Superior e persino
nel primo Kick-Ass, ma lo stesso si
può dire anche di Old Man Logan che
oltre alla struttura degli script hollywoodiani si basa pure su un argomento
forte e immediato come l’exploitation. Non so dove finisca la causa e dove
cominci l’effetto, ignoro cioè se la struttura delle miniserie (organizzate
molto razionalmente in 6 o 8 episodi di durata pressochè identica) abbia
fornito l’occasione per mettere in pratica con naturalezza il più classico
schema cinematografico oppure se questo tipo di struttura fosse già nelle intenzioni
di Millar e il formato delle miniserie l’abbia semplicemente resa più evidente.
Sta di fatto che una divisione in 6, 7 o 8 episodi (o anche nei 4 di Nemesis,
ma lì è meno evidente) si presta molto bene a un’organizzazione della storia
secondo lo schema “introduzione-ace-in-the-hole-risoluzione”,
addirittura pedissequo in 1985.
Con Kick-Ass 2 questo stato di cose è radicalmente
cambiato. La miniserie originale non mi era dispiaciuta (parlando sempre e solo
dei testi di Millar, chè i disegni di Romita Jr. erano inguardabili addirittura
più del solito). Si inseriva però in un solco tutto sommato classico, in cui
l’unico elemento originale era l’ambientazione tra nerd persi che si
travestivano da supereroi. E anche quello in realtà non era poi così originale.
Balls to the wall, questo il sottotitolo di Kick-Ass 2, inizia con un
flash-forward come da più banale tradizione dell’ultima wave hollywoodiana ma a
volerli cogliere ci sono segnali di rinnovamento sin dalla fine del primo
numero (intendo quello italiano, che raccoglie i numeri 1 e 2 dell’edizione
originale). Bisogna però attendere la seconda uscita per avere conferma che la
violenza gettata lì quasi con noncuranza o forse tanto per far ridere
nell’episodio precedente era il primo segnale di una svolta decisa che
dall’esecuzione di Sal Bertolini in poi si svilupperà tramite una spirale
centrifuga aumentando sempre di più la sua portata e rilanciando con ammirevole
coerenza quello che scopriamo essere l’assunto della storia.
È anche vero che al ritmato procedere di questo meccanismo corrisponde una
progressiva perdita di realismo e la bella sequenza coi real life superheroes
che fanno volontariato, le considerazioni di Dave Lizewski sulla necessità di
confondersi con la massa piuttosto che emergere e le sue patetiche ma
commoventi paturnie adolescenziali lasciano il posto a situazioni che mettono a
dura prova la sospensione dell’incredulità del lettore.
Sarà per questo che Marco Ricompensa nella rubrica «ass kicked» in
appendice agli ultimi albetti si premura di ripetere che ormai non è più
realistico, è tutto finto, ecc.? No, probabilmente è per prendere le distanze
dalla violenza dell’opera, ora che è presentata in versione popolare di più
facile consultabilità ai lettori più giovani, stesso motivo (immagino) per cui
il Mother Fucker è rimasto appunto il Mother Fucker senza che il nome venisse
tradotto.
Sappiamo già come finirà la storia. Ci è stato detto sin dall’inizio (e
ripetuto negli editoriali, e comunque lo avremmo intuito comunque) che ci sarà
uno spettacolare evento finale, la battaglia di Times Square verso cui è
spostato il baricentro della storia. A chiudere Kick-Ass 2 non sarà quindi una semplice risoluzione degli eventi, o
almeno non solo quella, ma una trovata spettacolare che costituisce il nocciolo
della vicenda e a cui la vicenda stessa tende freneticamente. E pare che ci
saranno due primedonne a condurre le danze, Madre Russia e Hit-Girl. Il tasso di
realismo della storia si fa sempre più labile a mano a mano che questa procede,
in un susseguirsi di trovate flamboyant che servono solo ad avvicinarci verso
il finale pirotecnico anticipandone il pathos.
Insomma, questo secondo capitolo delle avventure del nerd supereroe è a
tutti gli effetti un musical.
Come nei musical, infatti, il principale motivo d’interesse è l’esibizione
finale, e come nei musical la situazione di partenza è solo un pretesto, un
modo per dare una parvenza di background coerente con quello che si vuole
raggiungere. Il risultato mi sembra notevole, pur se all’altare dell’evento
finale vengono sacrificate le belle e suggestive pennellate di “realismo” che
Millar ha saputo regalarci fino a tre quarti del secondo comic book originale.
Un po’ dispiace perchè anche solo grazie a quelle questo sequel mi era parso
migliore del modello di partenza, ma evidentemente il dito indicava la luna e
io mi son fermato ad ammirare il dito. A questo punto non so nemmeno se
prendere l’ultimo dei quattro volumetti Panini, tanto è il piacere di avere
assistito a un progetto così originale nel panorama USA e soprattutto nella
produzione stessa di Millar. E francamente non so se prenderlo anche per il
timore che il buon Millar riesca a deludere anche lì pur con tutto questo bell’impianto
che già di per sè è una goduria.
Mi resta un dubbio: ma i mafiosi da operetta che compaiono in Kick-Ass sono un’esasperazione voluta di
un modello stereotipato (già grottesco di suo) o la cronaca nera newyorkese registra
veramente le malefatte di fenomeni da baraccone come questi?
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