...e come spesso accade uno non fa in tempo a lamentarsi che qualcosa è in ritardo, che quel
qualcosa finalmente esce.
Come si evince dal titolo, il terzo episodio di Colorado mette sotto i riflettori la storia del musicista di colore
della compagnia di Navaja ma è anche un importante punto di svolta nella serie
visto che viene rivelato come i protagonisti sono venuti a conoscenza della
montagna d’oro che li starebbe aspettando e che finalmente si mettono a
cercarla, riannodando alcuni fili rimasti in sospeso in precedenza.
Fossi un appassionato di western questo volume mi avrebbe probabilmente
entusiasmato. Non amo particolarmente il genere e sono rimasto un po’
perplesso. È giusto e sacrosanto che i generi consolidati vadano avanti grazie a
stereotipi e che il lettore non si impunti sulla verosimiglianza delle
situazioni più avventurose, ma questo benedetto Big Black Banjo va avanti solo
a forza di botte di culo, e lui è il primo a sottolinearlo nel resoconto della
sua vicenda a Wong Lee e Miss Mauren, infarcita appunto di quelli che lui
chiama «miracoli». Può darsi che l’intenzione di Mitton fosse proprio quella di
fare dell’ironia sui luoghi comuni del western, ma il dubbio se si prenda sul
serio o no persiste. Non mancano comunque delle scene divertenti o comunque ben
costruite.
Per quel che riguarda il reparto grafico c’è la gradevole sorpresa del
ritorno di Jocelyne Charrance che stavolta non ha usato il computer ma si è
affidata (mi par di capire) a matite e acquerelli, ottenendo delle piacevoli
tonalità pastello. Purtroppo il lavoro di Ramaïoli non merita tanto sforzo
visto che il disegnatore incappa spesso in imprecisioni anatomiche, soprattutto
nei volti e nelle mani, e in generale sembra essersi dedicato con scarso
interesse al lavoro, forse pressato da altre consegne. Non che abbia mai
brillato per la piacevolezza del suo segno, ma nel primo episodio
aveva dimostrato che con un maggiore impegno sa ottenere dei risultati molto
buoni.
Arrivato a questo punto credo che per l’acquisto dei prossimi episodi
seguirò l’estro del momento. I protagonisti degli ultimi volumi sembrano essere
i più interessanti (o meno stereotipati), ed è innegabile che la proposta della
Cosmo sia convenientissima, però il tentativo di fare un western più originale
del solito non mi sembra riuscito e non vorrei soprattutto constatare che la
spirale discendente di Ramaïoli proseguisse.
PS: non sono andato a controllare, ma mi è sembrato che alcuni versi delle
canzoni siano stati trascritti in un inglese maccheronico (o meglio argot), cosa che mi ha ricordato con
affetto il buon vecchio Dick Drago.
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