Jerome Charyn è uno sceneggiatore
che guardo sempre con un certo sospetto. È vero che ha scritto quel capolavoro
che è Bocca del Diavolo, ma come
tanti altri romanzieri prestati al fumetto (tra le poche eccezioni, Gianrico
Carofiglio) in alcuni lavori come La Moglie del Mago e la Margot
disegnata da Frezzato si è lasciato prendere la mano dal gusto per personaggi
eccessivi e situazioni larger than life
– capirai, sono fumetti! Così come le sue collaborazioni con José Muñoz mi sono
sembrate molto velleitarie e I Fratelli
Adamov piuttosto pesante – ma in questo secondo caso hanno senz’altro influito
anche i disegni di Loustal.
Ho quindi tergiversato un po’
prima di cedere e acquistare questo Little
Tulip disegnato da François Boucq, ma ne è valsa la pena. Anche se
l’ambientazione è più o meno la stessa, non siamo ai livelli irripetibili di Bocca del Diavolo, ma si tratta
senz’altro di un buon fumetto.
Little Tulip segue due linee temporali diverse destinate ovviamente
a congiungersi: nel 1970 Paul/Pavel è un tatuatore a New York che presta i suoi
servizi al locale dipartimento di polizia vista la sua abilità fenomenale nel
tracciare gli identikit e finisce coinvolto nel caso dei “Bad Santa”,
stupratori e serial killer che operano camuffati con un cappuccio da Babbo
Natale; dal 1943 in
poi ci viene narrata la sua vita di figlio di prigionieri politici (il padre è
un aspirante scenografo statunitense) mandati in un gulag siberiano.
Pavel ha il dono del disegno e
grazie a esso riesce a ottenere una posizione nell’universo degli urka, mandati al confino perché
criminali e non per ragioni politiche, e di fatto i veri padroni dei campi di
prigionia. Un colpo di testa e la conseguente rottura dello strettissimo codice
di comportamento dei criminali farà sì che Pavel venga allontanato dal clan che
prima lo aveva accolto, ma ormai l’epoca dei gulag era al tramonto e il
protagonista andrà a rifarsi una vita in America, dove però il suo passato lo
raggiungerà.
Little Tulip è una storia tesa e cruda, piena di elementi molto
suggestivi e documentati (ma purtroppo avendo visto Educazione Siberiana
tutto l’esotismo va a farsi friggere) ma in cui un giusto spazio viene dato
anche all’azione. A mio avviso la vicenda perde mordente sul finale,
inutilmente accelerato (e non penso per problemi di spazio: sono ben 80 le
tavole di fumetto) e caratterizzato da un elemento sovrannaturale che non si
sposa bene col resto e che sembra un escamotage
per giustificare l’improbabile sequenza della carneficina conclusiva.
Ai disegni Boucq si mantiene
sempre su un ottimo livello, pur se qua e là mi è parso di cogliere una
predilezione per il grottesco ancora maggiore del solito e forse una minore
ricchezza di dettagli come si poteva già cogliere nel suo episodio di XIII Mystery. È vero che le sue donne
sono dei mostri e che anche i personaggi che non dovrebbero esserlo risultano
un po’ deformi, ma la sua abilità nel raccontare per immagini e nel guidare
l’occhio del lettore è allo stesso livello di quella di Hermann. Validi anche i
colori, nonostante siano digitali e non acquerelli, dati dallo stesso Boucq
insieme al fratello o figlio Alexandre.
In definitiva un volume
consigliato, tanto più che per quello che offre, cioè un cartonato di grande
formato su carta patinata, comprensivo anche di alcune pagine di schizzi
preparatori e stampato bene, il costo (16,90€) è più che onesto.
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