Accidenti, certo che ad aprire
questo fascicolo, nientemeno che il mitico seguito perduto di Miracleman, e constatare che la carta
impiegata dalla Panini non è patinata ci si rimane male. Purtroppo non è
l’unico motivo di insoddisfazione. La foliazione è di 48 pagine ma di fumetto
vero e proprio ce ne sono solo 26, di cui un paio sono semplicemente la prima
parte di una storia spezzata in più puntate. Il resto dell’albo è occupato da
lacerti della sceneggiatura di Gaiman e da riproduzioni al naturale delle
tavole, con qualche occasionale materiale extra.
E poi ai disegni c’è Mark
Buckingham.
Non è che Buckingham faccia proprio schifo ma mi sembra chiaro che
rientra nella categoria degli onesti artigiani, se non proprio dei velocisti:
quei disegnatori che le case editrici si tengono cari perché garantiscono uscite
puntuali, affidabilità, soddisfazione di richieste dell’ultima ora e magari non
rompono i coglioni come le star. Ma la piacevolezza del tratto, la
raffinatezza, i virtuosismi stanno altrove. E se queste qualità fanno di Buckingham
il disegnatore ideale per il serrato ritmo seriale di Fables (dove in effetti ha dato prove anche bruttarelle) non mi
sembra il disegnatore adatto a illustrare un fumetto-evento come questo, che a
parte un comunque dignitoso Veitch aveva sempre avuto una parte grafica
d’eccezione.
I suoi profili impossibili sono
quasi assenti, ma ci sono le anatomie tagliate con l’accetta, le prospettive
assurde, una piattezza inusitata e anticlimatica nell’apparizione sbilenca e
bidimensionale del protagonista a pagina 21, così come la sua rappresentazione
a pagina 22 sembra quasi rivaleggiare con la famigerata immagine di Capitan
America con le tette di Rob Liefeld in quanto a distorsione anatomica (Liefeld
vince alla grande, ma comunque nemmeno Buckingham è proprio un bel vedere anche
perché uno si chiede come abbia fatto il simbolo di Miracleman a spostarsi dal
suo petto).
Il fatto che si perda in tutti
quei tratteggi e ghirigori alla Sienkiewicz sta probabilmente a testimoniare
quanto il progetto fosse visto come qualcosa di speciale, di artsy, di diverso insomma dalla solita
produzione mainstream, ma non mi
sembra affatto che Buckingham abbia i numeri per soddisfare quel tipo di
pubblico. E l’abbondante uso di collage non fa che sottolineare le sue carenze
tecniche.
Comunque può darsi che resterò a
bordo. Anche se la storia imbastita da Gaiman è poco più di una parabola zen mi
ha intrigato abbastanza e sono curioso di vedere dove andrà a parare nei
prossimi numeri. E poi magari la mia variant cover metallizzata in futuro varrà qualcosa.
Ma scherzi o ci sono ancora davvero le variant covers metallizzate?
RispondiEliminaLa mia è quella che vedi in basso a destra nel post. A cosa serve una pensione quando un domani potrai rivenderti un tale tesoro?
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