Numero pieno di sorprese, questo
cinquantaquattresimo volume della collana Historica: innanzitutto è uscito di
martedì invece che a fine settimana, è firmato da un autore statunitense e non
franco-belga e per finire non è che sia propriamente “storico”. E non c’è
nemmeno l’introduzione di Sergio Brancato.
Fax da Sarajevo di Joe Kubert è la celebre versione a fumetti di
una serie di fax che Ervin Rustemagic (titolare della Strip Art Features e
agente di molte eccellenze del fumetto mondiale) riusciva a inviare
rocambolescamente in giro per il mondo ad amici e conoscenti sin da quando
l’esercito serbo attaccò la Bosnia nel 1992. Il risultato sono 12 episodi di 12
tavole l’uno, in cui la parte a fumetti è inframmezzata ai fax veri e propri
che hanno dato origine al singolo episodio e ad altri occasionali documenti,
come una mappa disegnata da Rustemagic reinterpretata da Kubert.
L’opera, vincitrice sia di un
Harvey che di un Eisner Award, ha il suo punto di forza nel valore di
testimonianza diretta e per l’impegno umanitario, ma come fumetto è piuttosto
noioso e narrato con uno stile decisamente obsoleto e poco coinvolgente: oltre
alle didascalie (non tantissime), Joe Kubert ha il vizio di inserire nei
dialoghi le descrizioni di quello che i personaggi fanno o vedono, oltre che
infarcirli di «sob», «gasp» e simili. Inoltre il fatto che le sequenze narrate
riprendano necessariamente i contenuti dei fax (inseriti prima o dopo o proprio
nel mezzo delle scene che hanno ispirato) porta a delle ridondanze che rallentano
il ritmo.
Dal punto di vista grafico, il
sanguigno Kubert mal si adatta a rendere contemporaneamente drammatiche e
realistiche certe situazioni, e finisce con il suo dinamismo ipertrofico per
renderle quasi ridicole: vedi il bambino che “salta” a pagina 18. Lo stesso
Rustemagic viene ritratto come una specie di Bruce Wayne.
Questa discrasia tra la rilevanza
del tema trattato e il modo con cui è stato narrato (la stessa che percepii
quando Fax da Sarajevo venne parzialmente
presentato in bianco e nero su Comic Art)
si stempera per fortuna a metà del volume, quando sulla semplice e anodina enunciazione
di quanto stava accadendo in Serbia si innesta la trama labirintica e
appassionante dei tentativi di fuga dei Rustemagic: una delirante e
coinvolgente situazione kafkiana fatta di ministri stranieri bravi solo a
promettere, di funzionari arcigni, di trovate inverosimili ma geniali per
ottenere una tessera da giornalista o la cittadinanza slovena, persino di
sedicenti mercenari che potrebbero far uscire i cittadini dall’inferno di
Sarajevo. Un ruolo di rilievo lo rivestono i fumetti: non solo perché amici e
clienti di Rustemagic (tra i quali c’è persino Hugo Pratt) si mobilitano per
aiutarlo, ma anche perché le riviste a fumetti opportunamente avvolte intorno
al corpo proteggono dai proiettili e dai frammenti delle granate.
Su tutto, risulta evidente quanto
l’intervento della Nazioni Unite sia stato solamente rappresentativo e per
nulla rilevante, quasi canzonatorio per i residenti che si videro distruggere
la casa e la vita mentre gli osservatori dell’ONU non facevano altro che,
appunto, osservare.
È evidente che Joe Kubert abbia
voluto adottare un approccio diverso dal solito fumetto supereroico, come
testimonia anche la diagonale delle tavole che sembra fatta per un formato
diverso dai comic book, ma la sua sensibilità (i crimini sessuali vengono
solamente accennati, per quanto se ne parli) è troppo diversa da quella di un
autore come Hermann che partendo dalle stesse identiche basi con il suo Sarajevo Tango ha realizzato veramente un
capolavoro.
In definitiva, pur tenendo in
considerazione il pathos ben maggiore che ha la seconda parte del fumetto, la
rilevanza maggiore di Fax da Sarajevo
è appunto quella documentaristica, e forse la parte migliore di tutto il volume
sono addirittura le testimonianze scritte in appendice, tra le quali ce n’è una
molto toccante scritta appositamente da Rustemagic per questo volume (lo spazio
sottratto a Brancato per motivi di foliazione non è quindi sprecato, anzi).
Chissà se questa arriverà nelle
edicole che frequento io.
Mi è capitato di leggere parte di questa storia molti anni fa - non ricordo se sul mensile Comic Art o altrove - e sostanzialmente, almeno per quanto riguarda il tratto di JK, concordo con te.
RispondiEliminaHo letto altre cose di Kubert sr lontane dai suoi soldati rocciosi e dai suoi alieni alati - penso ad Abraham Stone - ed anche lì avevo apprezzato la sua sintesi ( si cerca ciò che ci manca - Marzullo, Diari )e pure sono un fan dello shock dello scandalo di sposare elementi, per esempio, come il tratto cartoonistico di Miguel Angel Martin e la storia di un bimbo mutante dal cervello esposto, ma non sempre la pietanza in tavola è saporita come nella ricetta.
Tanto x marzullare ancora, immagino che il JK di quegli anni - dopo aver ridefinito Tarzan, creato una scuola che ha lanciato nel mondo Veitch, Bissette, Totleben, Mandrake, Duursema ed altri e rifinito le tavole dei figli in cose come il Ghost Rider bestseller degli anni novanta - cercasse nuove sfide.
Se fosse ancora nella Realtà Prima, visto che ha rotto il ghiaccio con il nostro Paese via Texone, forse oggi sarebbe disposto a provare il suo segno inconfondibile sul tascabile di quel personaggio il cui nome dalle sue parti si sovrapporrebbe al famoso Deadman di Mamma DC...
Fax da Sarajevo ha senz'altro i suoi meriti ma... tu ce lo vedresti Liefeld a disegnare Maus? Oddio, probabilmente tu ce lo vedresti sul serio.
EliminaSolo se inchiostrato da Bob Wiacek o Hilary Barta che migliorarono in modo sensibile la sua run sugli ultimi numeri di New Mutants.
RispondiEliminaNon sento la necessità di un remake di Maus in salsa Image prima della Image, ma se proprio proprio scelgo il dinamico duo Marc Silvestri/Dan Green della run fine anni ottanta sugli X-Men. Marc e Dan hanno lavorato per due anni anche su Wolverine e amo le loro vignettone lì, ma considerata la struttura della opera di Art , il lay out del decennio precedente è + indicato.
Vedrei bene i Silvestri e Green di quegli anni in un remake delle cose di Pazienza come Giallo Matematico.
RispondiEliminaO forse no. Il tratto nervoso - Silvestri diceva di amare Manara, ma era tanto Bernet + Ortiz - non ancora omogeneizzato alla lezione di Jim Lee ( Cyberforce e Darkness ) avrebbe un tale potere di seduzione sul lettore da indurre alla emulazione dei personaggi. Chi ha bisogno di uno Zanardi di carne ?
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