domenica 10 febbraio 2019

Caravaggio: La grazia

Pazzesco: non ho trovato la copertina della versione italiana in rete!
Si conclude in maniera sublime il Caravaggio di Manara, sospeso tra ricostruzione filologica e colta inventiva per colmare quei vuoti nella sua biografia dovuti alla vita errabonda che condusse negli ultimi anni. Michelangelo Merisi in fuga da Roma viene soccorso da una compagnia di saltimbanchi che, sotto le direttive della Contessa Colonna, lo curano e lo proteggono dalle attenzioni della giustizia nascondendolo a Napoli in attesa che gli venga concessa la grazia. Per averla dovrà produrre nuovi quadri ma, ansioso di mettere più terreno possibile tra di sé e le prigioni pontificie (o l’accetta del boia), il Caravaggio abbandona Napoli, dove è una vera star, per raggiungere Malta e unirsi all’ordine dei Cavalieri, in modo da vedersi così concessa automaticamente la grazia.
A La Valletta troverà un ambiente ambiguo: da una parte gli viene riconosciuto il suo immenso talento e gode delle protezioni giuste, dall’altra la confraternita rivela al suo interno dei membri che sono tutt’altro che fedeli agli alti ideali che portarono alla sua fondazione. Uno di questi diverrà la causa della sua rovina.
In fuga anche da Malta, approderà in Sicilia e qui andrà infine incontro al destino che hanno tramandato i libri di Storia dell’Arte.
Trattandosi di una vicenda frenetica e avventurosa, Manara adotta un tipo di narrazione diretta e coinvolgente, in cui i dialoghi dei personaggi chiariscono senza ombra di dubbio quello che vogliono fare e in cui non ci sono tempi morti, ma al massimo delle pause ragionate utili a creare tensione e a narrare alcune cose indispensabili per capire meglio i retroscena (come la scena della condanna in contumacia da parte dei Cavalieri di Malta). Tutti i personaggi in scena sono credibili e molto ben delineati, e il registro linguistico scelto da Manara è molto più efficace che nel primo volume. Il finale è molto emozionante pur nella sua apparente semplicità. È lodevole anche la capacità di Manara di ricostruire l’atmosfera di un’epoca con pochi dettagli selezionati, come il fetore caratteristico delle galee.
Graficamente c’è poco da dire: le tavole sono semplicemente meravigliose. Non solo esteticamente, ma anche per recitazione, dinamismo, scenografie, profusione di dettagli e scrupolo documentaristico. L’unico aspetto che convince di meno sono i colori, opera di Manara con la (immagino) figlia Simona: come nel primo volume i toni sono molto uniformi e piuttosto cupi, col risultato di rendere le tavole ben poco vivaci (quasi smorte) e un po’ monocordi. Ma almeno in questo episodio c’è una maggiore uniformità, mentre nel precedente gli interventi digitali erano molto più evidenti (anche se quel quadrato bianco sopra l’elmo a pagina 41 è sicuramente dovuto al processo di lavorazione col computer).
Forse a causa dell’intermediazione del computer nella realizzazione (o solo nella scansione?) delle tavole, il risultato stampato risente ogni tanto di una sgradevole retinatura e il segno non è probabilmente così marcato come lo era in origine. Peccato.
A integrare le tavole di Manara ci sono una vasta bibliografia, un glossario, la copertina della versione deluxe e un’introduzione a firma di Claudio Strinati da leggersi rigorosamente dopo il fumetto.

10 commenti:

  1. Mi fa piacere vedere tanto entusiamo per il vecchio maestro. Per molti Manara si è fermato al primo Bergman e tutto il resto è porno!

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    1. è il fenomeno del Tiro al Manara: alcuni ritengono che bisogna sempre sputtanarlo a priori, perché così si dimostra la proprio levatura intellettuale o si pensa di rifarsi una qualche verginità engagée perduta.
      Poi come autore completo non ha ovviamente sempre centrato il bersaglio (per me Fuga da Piranesi si mortifica con alcuni dettagli ridicoli), ma le opere dichiaratamente d'evasione le sa confezionare molto bene. E anche questa, che non è esattamente una storia leggerina!

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    2. Ieri ero in fumetteria, lo vidi e mi venne la tentazione di prenderlo insieme al primo, poi optai per un Corben formato gigante appena uscito sempre per Panini (L'antro dell'orrore).

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    3. Forse non al primo Bergman, ma diciamo che da allora di opere notevoli ne ha prodotte ben poche.
      Dall'autore del capolavoro che è H.P. e Giuseppe Bergman mi aspettavo una carriera tutta in ascesa, e così non è assolutamente stato.

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    4. Per me Giuseppe Bergman decolla veramente dal terzo episodio in poi. Manara ha fatto delle opere dichiaratamente leggere, alternandole ad altre più ambiziose e con occasionali collaborazioni eccellenti, che male c'è?

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    5. Non c'è niente di male, ci mancherebbe! A me piace rileggere le storie leggere di Manara, specialmente quelle brevi o alcuni passaggi di quelle lunghe, certamente le preferisco a seghe mentali come Lo Scimmiotto o Alessio il borghese rivoluzionario. Magari avrei voluto che restasse sul bianco e nero.

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    6. Alessio è pesantino (e per leggerlo nella sua interezza devi avere i numeri di Alter dove comparve, mi pare) ma lo scimmiotto era anche divertente, dai!

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    7. Divertente giusto a leggere una puntata alla volta, il libro tutto insieme è piuttosto pesante. Alessio ce l'ho anche in un albo degli Editori del Grifo, ma se non ricordo male mancano le annotazioni di Silverio Pisu che Del Buono aveva salomonicamente pubblicato su Alter dal momento che sceneggiatore e disegnatore non erano d'accordo su certi passaggi.

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    8. Io Lo Scimmiotto l'ho letto solo in volume e non l'ho trovato pesante, il tempo trascorso dalla prima pubblicazione agli anni in cui lo lessi ha sicuramente smorzato certi toni cristallizzandoli nel folklore anni '70.
      Mi riferivo proprio agli appunti in tono di grigio assenti nelle edizioni successive (almeno in quelle che ho visto io).

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