Ah, i bei tempi andati della
Planeta DeAgostini, quando pubblicavano un sacco di roba (a volte anche notevole)
stampata bene e a prezzi vantaggiosi. Ho una mia teoria sulle ragioni della
pessima stampa, Fumo di China in primis, di cui soffriva a suo tempo la
Planeta: quindici anni fa i forum e i social network embrionali si stavano
imponendo grazie alle connessioni internet che erano sempre più diffuse, anche
tra autori ed editori di fumetti, mentre le fiere di fumetto andavano
moltiplicandosi proseguendo il trend iniziato pochi anni prima. Avere un
contatto diretto con un autore o un editore era insomma molto più facile, in un
senso e nell’altro. Poteva sembrare brutto criticare un soggetto con cui si era
in confidenza, seppur minima, e forse sorgeva il timore di rappresaglie sotto
forma di interviste non concesse o dell’embargo ai fumetti gratis da recensire.
Con la Planeta invece era tutto più facile: fermo restando che la cura dei loro
albi e volumi non era assolutamente perfetta, a volte anzi proprio scadente, ci
si poteva sfogare quanto si voleva, erano i capri espiatori ideali: tanto erano
spagnoli e mai avrebbero letto le recensioni italiane.
Ogni tanto mancava il testo di un
balloon o una parola veniva scritta in modo quantomeno creativo, però intanto abbiamo
avuto ristampe di classici come il Tarzan
di Hal Foster e I Puffi a prezzi
promozionali, classici della Vertigo in edizioni economiche da edicola, volumi
di grande formato di Hermann a meno di 10 euro, o volumi doppi di Cosey a 12
euro o poco più. Anche questo volumone ripescato dal vecchio magazzino Planeta (era
ancora incellofanato) presenta i suoi bei difetti: solo nelle cinque righe in
quarta di copertina si legge che la JLA «debe» affrontare nemici come la Regina
delle… «Facole», ma sono quasi 650 pagine a colori su carta patinata stampate
quasi sempre in maniera impeccabile in un volume cartonato cucito e rilegato
sul dorso per 45 euro. Nessuno poteva offrire altrettanto a quel prezzo,
tantomeno oggi.
Questo tomo è il volume gemello
di quello analogo dedicato alla JLA di Grant Morrison che presi una dozzina di
anni fa. Ecco quindi svelato il motivo dei buchi nell’elenco degli episodi di
quel volume. Se ho ben capito, qui si comincia dalla fine: la miniserie deluxe Heaven’s Ladder dovrebbe essere stata
realizzata successivamente rispetto agli altri episodi raccolti, ma qui è stata
messa all’inizio. Ricordo di aver letto un’intervista a Bryan Hitch, uno dei due
motivi principali per cui ho ordinato questo volume, in cui il disegnatore si
lamentava di aver lavorato sotto forte pressione e retribuito alla tariffa
usuale per un lavoro della DC Comics che invece sarebbe andato su una
pubblicazione extralarge. Mi sa tanto che parlava di questo: oltre al fatto che
le sue vignette iperdettagliate non “respirano” come dovrebbero, la diagonale
delle tavole lascia intendere che erano pensate per un formato più grande. Non
che sia un dramma: il suo tratto è una gioia per gli occhi, a maggior ragione
all’epoca, quando i suoi riferimenti fotografici erano ancora relativamente vergini
e non li avevamo ancora visti ripetuti più e più volte come purtroppo succede
adesso.
Era chiaro che l’esca per
l’acquisto del volume, cioè i disegni di Hitch, era appunto solo un’esca e che
il meticoloso e lentissimo disegnatore non avrebbe potuto produrre la maggior
parte del materiale qui raccolto. E quindi arriviamo al secondo motivo che mi ha
spinto all’acquisto: i testi di Mark Waid. Visto quanto l’avevo apprezzato su Daredevil
speravo di trovare anche qui almeno un guizzo della sua verve. E invece niente.
JLA, essendo una testata che ospita i
maggiori calibri del pantheon DC, deve necessariamente trovare delle sfide
sempre più impegnative per giustificare l’intervento di Superman, Wonder Woman,
Martian Manhunter e soci. E così ecco uno snocciolarsi di situazioni sempre più
esagerate, in una spirale di ridicolo involontario. Anche Heaven’s Ladder presenta una minaccia fuori scala, ma il sottotesto
vagamente mistico e soprattutto gli splendidi disegni di Hitch fanno passare in
secondo piano la pretenziosità un po’ confusionaria del soggetto. Nella serie
regolare, invece, si comincia con un villain
che controlla la fortuna e poi si passa a nemici che cancellano il linguaggio (e
gli umani non sanno più nemmeno leggere i segnali stradali o le strumentazioni
elettroniche!), a streghe delle fiabe, a macchine per far avverare i desideri,
a invasori a sei dimensioni, fino all’apoteosi di Superman e Wonder Woman che
per sconfiggere i nemici di turno spostano la luna! Il tutto inframmezzato da messaggini
sulla fiducia e l’amicizia.
Soggetti buoni per gli anni ’60,
che già nel decennio successivo sarebbero sembrati infantili. I tentativi di
dare un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica (l’onnipresente fisica
quantistica oppure i naniti, che altro?) finiscono per sottolineare quanto
siano ridicoli gli assunti di base, giustificati dalla necessità di affidarsi
al puro e semplice sense of wonder.
Non che il ciclo di Morrison fosse poi tanto diverso, ma nel suo caso avvertivo
un certo entusiasmo nel raccontare quelle scempiaggini, c’era qualche trovata
originale (qui invece la JLA in versione medievale mi ha ricordato una storia
dei Vendicatori letta nei Classici del Fumetto di Repubblica…) e affiorava un
po’ di ironia. Waid non ha saputo fare altrettanto, forse anche perché gestire
almeno otto personaggi diversi in episodi da poco più di 20 pagine non è
fisiologicamente facile, dovendo anche sottostare alle esigenze delle singole
testate in cui avvengono delle modifiche nelle vite dei protagonisti che vanno sottolineate
anche qui. Ed è impossibile non rendere irritante Plastic Man – o comunque Waid
non c’è riuscito.
A onor del vero, un discreto
scossone viene dato dalla rivelazione dei piani segreti di emergenza di Batman
contro i suoi stessi compagni di squadra, colpo di scena opportunamente
sottolineato nell’introduzione di Fran San Rafael, ma pur essendo il piatto
forte del volume è una cosa che finisce abbastanza presto in cavalleria – anche
se probabilmente leggere quel ciclo mensilmente avrà avuto un effetto diverso
che leggerlo tutto d’un fiato come qui.
In definitiva questa JLA è una lettura per ragazzi (non che
quella di Morrison fosse molto di più), forse anche di bocca buona. Se però si
sta al gioco e ci si lascia trasportare dal flusso di trovate sempre più
assurde la lettura è comunque godibile, tanto più che non serve aspettare mesi
per sapere come finiscono le trame. E l’ultimo episodio natalizio è abbastanza simpatico
e originale.
Come immaginavo, Bryan Hitch non
ha realizzato che una minima parte dei disegni. Ironia della sorte, i suoi
primi quattro (se ho contato bene) interventi sulla ongoing sono quelli stampati peggio. Non mi sono messo a contare le
singole tavole, ma mi sembra che la maggior parte del lavoro l’abbia fatta
Howard Porter che all’epoca era ancora titolare della serie. È sicuramente
maturato rispetto alla gestione Morrison, ma comunque il suo stile ipertrofico
e un po’ caricaturale non mi convince. Ma per stare dietro alle scadenze e
mettere delle toppe alla lentezza di Hitch la DC ricorse a un sacco di altri
disegnatori (persino J. H. Williams III e Mick Gray che giustamente disegnano
alcune delle tavole “fiabesche”). Dato il lungo periodo di tempo intercorso tra
l’uscita del primo e dell’ultimo episodio (Waid iniziò come tappabuchi
occasionale col numero 18 per poi prendere più o meno stabilmente le redini dal
43 al 60) è possibile vedere l’evoluzione di alcuni disegnatori chiamati
periodicamente a rimpolpare la serie. In particolare, ho gradito come Mike S.
Miller abbia sviluppato uno stile realistico dopo una prima prova stilizzata e rozza,
forse dovuta dalla necessità di andare in stampa in tempo o a un primo
inchiostratore, Armando Durruthy, non adatto. Non male nemmeno Mark Pajarillo,
per quanto legato ancora all’estetica di Jim Lee. Ma tra inchiostratori,
disegnatori ospiti e coloristi a dare man forte a Hitch e Porter sono stati
veramente tanti (lo stesso Waid ha firmato in un’occasione i testi insieme a Devin
Grayson): Paul Neary e Laura DePuy (beh, ovvio: c’è Hitch), John Dell, Pat
Garrany, Walden Wong, Arnie Jorgensen (pessimo), David/Dave Meikis, il redivivo
Doug Hazlewood, John Kalisz, Drew Geraci (molto bravo a smussare certe
esagerazioni di Porter), Steve Scott, Mark Propst, Tony McCraw, Javier
Saltares, Chris Ivy, Phil Gimenez, Ty Templeton, Doug Mahnke, Kevin Nowlan
(questi quattro in occasione dello speciale numero 50), David Baron, Cliff
Rathburn. E forse me ne è sfuggito qualcuno.
Non proprio la JLA di Waid e Hitch, come vorrebbe il
titolo in gerenza.
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