domenica 8 dicembre 2019

Libro d'Ore

Curiosa opera del 1920, qui riproposta in una versione “restaurata” (il reintegro di due tavole censurate) di una versione del ’26. Definita nella bandella come nientemeno che anticipatrice “della” (sic) graphic novel, è effettivamente una sorta di Thomas Ott con 70 anni di anticipo: una serie di xilografie mute che poste una di fila all’altra costituiscono una storia per immagini. Ma visto che si tratta di vignettone uniche per ogni pagina c’è senz’altro un’affinità col terribile Poema a Fumetti di Buzzati, al cui confronto Libro d’Ore risulta molto più coinvolgente e interessante.
Un uomo arriva in città. Dopo un primo impatto esplorativo con la modernità di inizio secolo, si lascia travolgere dai piaceri che gli offre. Non disdegna però nemmeno gli ozi e le piacevolezze della campagna. Ma non tutto è rose e fiori. Un drammatico episodio lo spinge ad allontanarsi dall’Europa. Di ritorno dal suo viaggio in Africa e in Asia diverrà una vera peste, provocando il mondo borghese in cui inizialmente sembrava volersi integrare e dileggiando le convenzioni sociali e i miti e i riti tipici del suo tempo. Tornato nell’abbraccio della natura (bucolica ma fauves) muore. All’inizio ci rimane male, o forse vuole solo sfogarsi in modo liberatorio con il mondo crudele, ma pure l’aldilà ha il suo fascino.
Trattandosi di xilografie lo stile è molto contrastato e per nulla sfumato. La peculiarità di questa tecnica potrebbe far pensare che sia stata d’aiuto alla stampa, in realtà i monogrammi smangiucchiati dell’autore che affiorano in molte tavole fanno capire come la resa non sia poi così buona, probabilmente per il fisiologico logorarsi delle matrici e sicuramente per l’uso della riproduzione digitale.
Stilisticamente Frans Masereel ricorda l’Espressionismo, ma non mancano certe derive fauves e influssi dell’Art Nègre, forse a seguire le suggestioni degli Impressionisti. Ma alla fine con torchio e legno non è che ci sia poi molta libertà di manovra. Più interessanti risultano i rari inserti astratti decisamente in anticipo sui tempi.
L’edizione di riferimento è quella tedesca del 1926, che per l’epoca vendette tantissimo (15.000 copie) probabilmente anche grazie all’introduzione di Thomas Mann. Ahinoi,  questa introduzione è terribilmente lunga, irritante e autoreferenziale. Mann anticipa inoltre di parecchi decenni l’idiozia di paragonare il fumetto al cinema, e fa pure degli spoiler. E la sua intuizione sulla riconoscibilità del protagonista (unico senza cappello) non trova in realtà sempre corrispondenza nelle tavole.
Per fortuna l’appendice a cura di Luca Sanfilippo sopperisce al compiacimento centrifugo di Mann, fornendo quelle informazioni sull’opera (e sull’autore) che sono utili a contestualizzarla e ad apprezzarla.
Non avendo Libro d’Ore la stessa immediatezza e godibilità di altri protofumetti come Max und Moritz si segnala più che altro come curiosità per i filologi del fumetto e per gli appassionati d’arte d’inizio secolo. Il libro viene venduto con una piccola stampa (l’autoritratto dell’autore?) custodita in una busta di pergamena incollata in terza di copertina.

2 commenti:

  1. Mi fa piacere che tu sottolinei con la matita rossa la declinazione al femminile di graphic novel e che parli di "idiozia" a proposito di fumetto e cinema. Non sono l'unico a pensarla così!

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    1. già il concetto di "graphic novel" mi sembra alquanto fumoso e impreciso... sulle parentele tra cinema e fumetto per fortuna sono anni che non ne vedo più molte tracce. Nello specifico di questo volume, Thomas Mann le tira in ballo per far vedere quanto è figo visto che è stato selezionato per un campione di intervistati da una rivista sul cinema (eh, sì, ne esistevano già nel 1926).

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