giovedì 26 dicembre 2019

Nelle Indie Perigliose

Dopo averlo visto a Lucca speravo che non arrivasse alla fumetteria dove l’avevo ordinato, tanto più che la Rizzoli Lizard lo aveva annunciato con un altro titolo, Il Traditore o una cosa così. E invece proprio stavolta l’editore (di cui nel frattempo aspetto ancora l’ultimo Corto Maltese…) si è rivelato affidabile e l’unica cosa che ha cambiato dall’annuncio sull’Anteprima è appunto solo il titolo.
Il motivo per cui speravo che non mi arrivasse è che le tavole che avevo visto, ancorché bellissime e molto curate, erano decisamente caricaturali e virate sull’umoristico. Ed effettivamente tutto il volume è così.
Nelle Indie Perigliose è il seguito di un romanzo picaresco del 1626. L’opera originale di Francisco Gómez de Quevedo y Villegas terminava con il protagonista Pablos de Segovia che partiva (o annunciava di voler partire) per le Indie. Alain Ayroles riprende il protagonista proprio nelle “Indie”, cioè le Americhe fresche di conquista ma già abbondantemente prosciugate, e racconta di come se la sia cavata in quei luoghi. Il fumetto è diviso in cinque parti: tre capitoli lunghi e un prologo e un epilogo a fare da cornice. Le tre parti più sostanziose sono una serie di scatole cinesi: in ognuno viene svelato cosa è successo veramente nel precedente, e come vanno interpretati certi dettagli.
La vicenda inizia con Pablos in fin di vita prigioniero dell’Alguacil (che da internet scopro essere una specie di sceriffo) di una località che non viene mai nominata, deciso a torturarlo per farsi rivelare dove si trova l’Eldorado, che lui ha evidentemente trovato visto che porta al collo un monile che può provenire solo da là e soprattutto che ha portato prove inconfutabili che anche il nobile Don Diego, stimatissimo dall’Alguacil, vi è stato condotto proprio da Pablos.
Il racconto parte da lontano spazientendo l’Alguacil, ma Ayroles doveva pure ricollegarsi all’opera di riferimento – e Pablos ha i suoi bravi motivi per cominciare da così lontano. Apprendiamo dalle parole del furfantello quanto sia stata dura, ma anche divertente, la sua vita dedita al totale rifiuto del lavoro in favore di espedienti con cui tirare a campare nella speranza di fare un giorno il colpo grosso. Nelle “Indie” Pablos ha avuto a che fare con cimarrones ribelli, missionari zelanti, animali esotici, miniere d’argento (vivo e no), raccoglitori di coca, scheletri infuocati danzanti, vecchi conquistadores resi ciechi da tutto l’oro che hanno visto, indios tagliatori e riduttori di teste, antiche divinità, ribelli e chi più ne ha più ne metta. Impossibile non credere a un resoconto tanto dettagliato, e l’Alguacil si mette a sua volta in cammino verso quel luogo favoloso. E così al termine del primo capitolo la guarnigione è praticamente sguarnita.
È impossibile continuare a riassumere Nelle Indie Perigliose senza rivelarne i colpi di scena e i cambi di prospettiva, per cui mi limito a dire che il secondo capitolo riprende la struttura del primo, un racconto nel racconto prendendo come riferimento il Corregidor invece dell’Alguacil, mentre il terzo è una lunga confessione del protagonista, quasi esclusivamente condotta con didascalie. E la rivelazione di cosa è diventato Pablos è talmente incredibile che potrebbe pure essere vera. Forse in Spagna circola qualche leggenda in tal senso.
Se alcuni elementi del gioco di Pablos sono prevedibili, altri sono stati gestiti veramente bene da Ayroles: ancora una volta sarebbe criminale parlarne, cito solamente l’origine della testa ridotta che pensavo appartenesse a un altro personaggio, depistaggio dovuto all’attento lavoro di Guarnido. Ecco, passando ai disegni…
È innegabile l’attenzione e la cura maniacale profuse da Juanjo Guarnido, che oltretutto è incredibilmente espressivo e dinamico e sa condurci con lo sguardo verso i personaggi che dobbiamo seguire anche se sono attorniati da una folla oceanica o se si trovano all’interno di miniere affollatissime. Certi paesaggi sono mozzafiato, così come la resa degli interni e degli esterni degli edifici. E gli animali sono stupendi. I colori, per cui ha avuto l’assistenza di Hermeline Janicot-Tixier e occasionalmente è stato sostituito da Jean Bastide, sono meravigliosi.
Lo stile però è marcatamente umoristico, travalicando talvolta (anzi spesso) il confine del realismo per sfociare nel caricaturale più esagerato. Questi disegni faranno sicuramente la gioia di quanti amano lo stile umoristico, e vorrei tanto essere tra questi. Ripeto, le tavole sono favolose e non solo sontuose e dettagliatissime ma anche espressive e dinamiche, però quando vedo i personaggi che strabuzzano gli occhi o cambiano fisionomia solo per far ridere o quando ci sono degli animaletti disneyani che punteggiano la storia con le loro facce buffe è come se nel fumetto si intromettesse un filtro che mi impedisce di godermelo appieno. La storia è già divertente di suo, e Guarnido non ha certo bisogno di esagerare certe espressioni per farsi capire meglio.
L’edizione della Rizzoli Lizard è monumentale (altro che integrale di Blacksad) e vale sicuramente i 35 euro che costa, anche perché è stampata su ottima carta patinata e il volumone conta addirittura 160 pagine. Unico appunto: il lettering non è molto adeguato, perché è uno di quelli che cercano con uno stile originale di dissimulare la propria origine digitale finendo per sottolinearla impietosamente. Quello delle didascalie “funziona” bene (oddio, per quel che può funzionare un lettering fatto col computer) ma quello dei balloon mi sembra poco naturale e artefatto.

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