Dopo averlo visto a Lucca speravo
che non arrivasse alla fumetteria dove l’avevo ordinato, tanto più che la
Rizzoli Lizard lo aveva annunciato con un altro titolo, Il Traditore o una cosa così. E invece proprio stavolta l’editore
(di cui nel frattempo aspetto ancora l’ultimo Corto Maltese…) si è rivelato affidabile e l’unica cosa che ha
cambiato dall’annuncio sull’Anteprima
è appunto solo il titolo.
Il motivo per cui speravo che non
mi arrivasse è che le tavole che avevo visto, ancorché bellissime e molto curate,
erano decisamente caricaturali e virate sull’umoristico. Ed effettivamente
tutto il volume è così.
Nelle Indie Perigliose è il seguito di un romanzo picaresco del 1626.
L’opera originale di Francisco Gómez de Quevedo y Villegas terminava con il
protagonista Pablos de Segovia che partiva (o annunciava di voler partire) per
le Indie. Alain Ayroles riprende il protagonista proprio nelle “Indie”, cioè le
Americhe fresche di conquista ma già abbondantemente prosciugate, e racconta di
come se la sia cavata in quei luoghi. Il fumetto è diviso in cinque parti: tre
capitoli lunghi e un prologo e un epilogo a fare da cornice. Le tre parti più
sostanziose sono una serie di scatole cinesi: in ognuno viene svelato cosa è
successo veramente nel precedente, e come vanno interpretati certi dettagli.
La vicenda inizia con Pablos in
fin di vita prigioniero dell’Alguacil (che da internet scopro essere una specie
di sceriffo) di una località che non viene mai nominata, deciso a torturarlo
per farsi rivelare dove si trova l’Eldorado, che lui ha evidentemente trovato
visto che porta al collo un monile che può provenire solo da là e soprattutto
che ha portato prove inconfutabili che anche il nobile Don Diego, stimatissimo
dall’Alguacil, vi è stato condotto proprio da Pablos.
Il racconto parte da lontano
spazientendo l’Alguacil, ma Ayroles doveva pure ricollegarsi all’opera di
riferimento – e Pablos ha i suoi bravi motivi per cominciare da così lontano.
Apprendiamo dalle parole del furfantello quanto sia stata dura, ma anche divertente,
la sua vita dedita al totale rifiuto del lavoro in favore di espedienti con cui
tirare a campare nella speranza di fare un giorno il colpo grosso. Nelle “Indie”
Pablos ha avuto a che fare con cimarrones
ribelli, missionari zelanti, animali esotici, miniere d’argento (vivo e no),
raccoglitori di coca, scheletri infuocati danzanti, vecchi conquistadores resi ciechi da tutto l’oro che hanno visto, indios
tagliatori e riduttori di teste, antiche divinità, ribelli e chi più ne ha più
ne metta. Impossibile non credere a un resoconto tanto dettagliato, e
l’Alguacil si mette a sua volta in cammino verso quel luogo favoloso. E così al
termine del primo capitolo la guarnigione è praticamente sguarnita.
È impossibile continuare a
riassumere Nelle Indie Perigliose
senza rivelarne i colpi di scena e i cambi di prospettiva, per cui mi limito a
dire che il secondo capitolo riprende la struttura del primo, un racconto nel
racconto prendendo come riferimento il Corregidor invece dell’Alguacil, mentre
il terzo è una lunga confessione del protagonista, quasi esclusivamente condotta
con didascalie. E la rivelazione di cosa è diventato Pablos è talmente
incredibile che potrebbe pure essere vera. Forse in Spagna circola qualche
leggenda in tal senso.
Se alcuni elementi del gioco di
Pablos sono prevedibili, altri sono stati gestiti veramente bene da Ayroles: ancora
una volta sarebbe criminale parlarne, cito solamente l’origine della testa ridotta
che pensavo appartenesse a un altro personaggio, depistaggio dovuto all’attento
lavoro di Guarnido. Ecco, passando ai disegni…
È innegabile l’attenzione e la
cura maniacale profuse da Juanjo Guarnido, che oltretutto è incredibilmente
espressivo e dinamico e sa condurci con lo sguardo verso i personaggi che
dobbiamo seguire anche se sono attorniati da una folla oceanica o se si trovano
all’interno di miniere affollatissime. Certi paesaggi sono mozzafiato, così
come la resa degli interni e degli esterni degli edifici. E gli animali sono
stupendi. I colori, per cui ha avuto l’assistenza di Hermeline Janicot-Tixier e
occasionalmente è stato sostituito da Jean Bastide, sono meravigliosi.
Lo stile però è marcatamente
umoristico, travalicando talvolta (anzi spesso) il confine del realismo per
sfociare nel caricaturale più esagerato. Questi disegni faranno sicuramente la
gioia di quanti amano lo stile umoristico, e vorrei tanto essere tra questi. Ripeto,
le tavole sono favolose e non solo sontuose e dettagliatissime ma anche
espressive e dinamiche, però quando vedo i personaggi che strabuzzano gli occhi
o cambiano fisionomia solo per far ridere o quando ci sono degli animaletti disneyani
che punteggiano la storia con le loro facce buffe è come se nel fumetto si
intromettesse un filtro che mi impedisce di godermelo appieno. La storia è già
divertente di suo, e Guarnido non ha certo bisogno di esagerare certe
espressioni per farsi capire meglio.
L’edizione della Rizzoli Lizard è
monumentale (altro che integrale di Blacksad)
e vale sicuramente i 35 euro che costa, anche perché è stampata su ottima carta
patinata e il volumone conta addirittura 160 pagine. Unico appunto: il lettering
non è molto adeguato, perché è uno di quelli che cercano con uno stile
originale di dissimulare la propria origine digitale finendo per sottolinearla
impietosamente. Quello delle didascalie “funziona” bene (oddio, per quel che
può funzionare un lettering fatto col computer) ma quello dei balloon mi sembra
poco naturale e artefatto.
Non conoscevo.
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