Numero che raccoglie due episodi di uguale lunghezza.
Si comincia con Nostalgia del sangue: Dylan Dog è stato assunto da Abigail, una ragazza che sogna il modo in cui poi vengono effettivamente uccise diverse persone, tutte con precedenti penali. Il colpevole potrebbe essere un imitatore di tal Skean, “Stiletto”, un serial killer che operava anni prima. Solo che questa creatura ha le fattezze di un mostro e riesce anche ad apparire in sogno riuscendo a ferire nella realtà Abigail. La quale, dal canto suo, non la racconta proprio giusta mentendo sull’identità di una nonna affetta da demenza senile (che pertanto va d’accordissimo con Groucho). Considerata la soluzione del mistero, Mirko Perniola riesce a imbastire una storia abbastanza originale.
Nell’editoriale Barbara Baraldi presenta il disegnatore e colorista Paolo Massagli citando tra le sue influenze l’Art Nouveau e la Linea Chiara. Io ci metterei dentro pure Eduardo Risso, ma francamente ho trovato piuttosto monocorde il suo tratto poco modulato e a volte poco armonioso. Lodevolissima l’attenzione per gli sfondi e i particolari, invece, più british che mai.
Nella seconda storia, L’insostenibile leggerezza dell’anima, Dylan Dog partecipa a una sessione di viaggio condiviso nell’immaginario collettivo dove risiedono gli archetipi; come scopriremo in seguito ha una certa facilità nel farlo in autonomia. Quivi incontra però una strana presenza che già altri ipnoviaggiatori incontrarono, interrompendo così le loro escursioni oniriche e quindi la terapia psicanalitica collegata – gestita dall’ennesima nuova ragazza di Dylan Dog, la sua vecchia fiamma Amanda. Unica costante di questa entità è che trasmette l’impressione di raffigurare una persona morta ma cambia ogni volta aspetto, senza poter mai essere messa a fuoco. Quando Dylan scopre che i volti sono effettivamente quelli di persone morte nella realtà diventa ossessionato dalla ricerca del mostro senza volto (o meglio con troppi volti), tanto più che la sua succitata nuova vecchia fiamma Amanda lo ha lasciato di nuovo, impaurita da qualcosa. Anche questa storia mi è sembrata ispirata e originale.
Il tratto grasso e pastoso di Nicolò Pellizzon (che cura anche i testi) e i suoi colori ultrasaturi sarebbero stati adattissimi per questo contesto surreale, se non fosse per gli occhioni che disegna un po’ a tutti i personaggi, protagonista compreso, che rendono le tavole più “carine” che inquietanti.
Nel complesso, per quanto «estranei» sia un termine facilmente prono a svariate interpretazioni, mi pare che il titolo di questo Color Fest sia piuttosto azzeccato.

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