Per apprezzare appieno questa miniserie bisogna avere una conoscenza abbastanza buona del cosmo DC (soprattutto della Silver Age, credo) che io non ho. Ma vabbè.
Un supercriminale che può mutare il suo organismo nei tre stati della materia si infiltra nell’edificio delle industrie Stagg ma Metamorpho e l’eterogeneo cast di personaggi che lo attornia (tra cui il cavernicolo Java a cui si ispirò Castelli per il partner di Martin Mystére) riesce a farlo fuggire, non senza difficoltà visto che il tizio può anche trasformarsi nell’unico elemento che inibisce i poteri di Metamorpho. A quanto pare il marrano lavora per conto di un’associazione che ha dei piani criminali oscuri ma sicuramente apocalittici.
Prima di sbrogliare la matassa Metamorpho & co. dovranno vedersela con androidi canterini che rivaleggiano con la sua fidanzata (che è una popstar, a quanto capisco), Vandal Savage (commissario di polizia a Gotham?!), un intero edificio robotico, una nuova ridicola versione di un villain storico, divinità solari, altre varianti di Metamorpho; Al Ewing organizza insomma questa miniserie come fosse un fumetto di quelli di una volta, cioè con una trama conclusa a ogni puntata, anche se un filo conduttore unisce tutti e sei i numeri.
Lo stile di scrittura è un’imitazione di quello degli anni ’60, o così mi sembra: ogni episodio/capitolo è introdotto da una splash page simile a una vecchia copertina con strilli enfatici, presentazioni ironiche dei personaggi e interpellazioni dirette al lettore, così come ogni episodio/capitolo viene chiuso con delle ammiccanti anticipazioni del prossimo. Le allitterazioni abbondano, anzi strabordano, e Ewing infila anche qualche concetto di chimica che probabilmente vorrebbe fare il verso alle vecchie «Flash News» ma al contempo costituisce un metodo elegante per risolvere gli impicci in cui si trovano i personaggi. Accanto alla voluta artificialità del tutto non mancano dialoghi più moderni e molto simpatici. In questo contesto ridanciano e autoironico la metanarrazione per una volta non infastidisce ma anzi ci sta benissimo.
I disegni di Steve Lieber sono perfetti per il mood del fumetto. Pensavo si trattasse del fratello di Stan Lee direttamente dagli anni ’60, ma quello era Larry Lieber. Il tratto pulito e senza troppi fronzoli di Steve è espressivo e leggibile e rende i molti “freak” pittoreschi senza farne delle caricature.
Gli inevitabili ma un po’ eccessivi riferimenti al passato del personaggio mi sono risultati alquanto ascosi, ed è stato un po’ frustrante non capire se molte delle bizzarrie buttate sul piatto fossero elaborazioni da storie precedenti o farina del sacco di Ewing. Cionondimeno ho trovato L’Uomo Elementale una miniserie molto divertente.

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