venerdì 7 gennaio 2011

"I Dimenticati": Luis Garcia Duran (apparso originariamente su Fucine Mute 45)

Altre anatomie argentine: i dimenticati

Qualche tempo fa abbiamo parlato di come alcuni dei più grandi disegnatori della scuola argentina abbiano risolto ognuno a modo suo il problema dell’anatomia umana e della sua applicazione al fumetto. A rileggerlo oggi quel pezzo sembra poco più che un tentativo di sfondare una porta aperta; anzi, di aprire delicatamente una porta già abbondantemente sfondata e risfondata da altri…
Perché Zanotto, Altuna, Alcatena, Enrique Breccia e Alberto Salinas sono, chi più chi meno, delle star del fumetto riconosciute e celebrate da tanti. L’analisi della loro interpretazione dell’anatomia è in fondo l’ennesimo tributo che viene reso alla loro grandezza. Ma all’ombra di questi colossi esiste una moltitudine di disegnatori meno celebrati, meno fortunati e forse anche meno bravi, vittime però di un ingiusto oblio assolutamente immeritato. Si tratta di quei disegnatori che forse non vedremo mai su Euracomix o I giganti dell’avventura, ma che dalle pagine di Lanciostory e Skorpio sanno ancora appassionare e affascinare i lettori. Sono professionisti che non hanno saputo legare il loro nome a un successo duraturo; oppure che hanno adattato con troppa disinvoltura il loro stile a canoni più modesti; o ancora che si limitano ad eseguire con coscienza ma senza troppo entusiasmo il loro lavoro. In effetti, molti disegnatori potrebbero rientrare nella categoria ed i criteri con cui è stata organizzata la rassegna di cui sotto sono assolutamente arbitrari e criticabili. Capita però a volte che un disegnatore non eccelso abbia un particolare stile che ce lo rende comunque “simpatico”, oppure può succedere che un autore poco celebrato ci appaia in un certo periodo più ignorato del solito quando noi vorremmo vederlo celebrato come merita. Con tali premesse, quale valore può avere l’analisi dello stile di un Vogt o di un Olivera? Se non altro, per una volta i riflettori saranno puntati su quei disegnatori di cui ci si dimentica troppo facilmente quando invece talvolta meriterebbero di figurare nel novero dei colleghi più famosi. (comunque non facciamola tanto drammatica: I dimenticati è principalmente la citazione di una vecchia serie di Casalla e non certo la constatazione che questi autori hanno concluso il loro ciclo)

Luis Garcia Duran

Nato nel 1946, Garcia Duran è stato per parecchio tempo una presenza piuttosto costante ma poco incisiva nelle riviste dell’Eura. L’evoluzione del suo tratto rappresenta un caso quasi unico nel genere.
Come molti colleghi connazionali della sua generazione ha cominciato a lavorare molto presto nel campo dei fumetti, ha bazzicato grafica pubblicitaria ed illustrazione e si è fatto le ossa anche con l’esigente mercato britannico. In Italia lo abbiamo conosciuto negli anni ’70 sulle riviste dell’Eura e dell’Universo. La sua personalità grafica non fa gridare al miracolo ma è riconoscibilissima. Peccato però che l’evidente scioltezza con cui delinea le figure e gli sfondi sia appesantita da un uso massiccio e raramente funzionale del tratteggio e delle campiture di nero. Si fa notare comunque con una stupefacente prova a colori, Akira, in cui profonde un’incredibile modernità. Libero dai vincoli del bianco e nero Garcia Duran sembra dare il massimo: si comincia a intuire che quando avrà raggiunto la giusta tecnica di inchiostrazione potrà finalmente esprimere tutta la sua potenzialità.


Nel settembre del 1982 Skorpio inizia la pubblicazione di Qui la legione, serie avventurosa scritta da Wood. Il successo sarebbe stato eclatante ma è imputabile principalmente all’evocativo e appassionante lavoro svolto dallo sceneggiatore. Garcia Duran, infatti, continua ad affossare delle felici intuizioni grafiche con pesanti campiture e si limita ad abbozzare alcune figure narrativamente importanti pur di dedicarsi all’accumulo di pennellate che tolgono grazia ed equilibrio alle sue tavole. Ma progressivamente le incertezze e le soluzioni improvvisate dei primi episodi spariscono con il procedere della serie. Quando Garcia Duran passa il testimone a Beto Formento ha raggiunto una notevole pulizia del tratto, anche se qualche ripasso troppo spesso o qualche colpo di pennino superfluo ne impediscono ancora la massima godibilità. Le premesse per un ulteriore miglioramento ci sono tutte e difatti con le successive miniserie Leticia Gray e La selvaggia (entrambe su testi di Barreiro) il suo stile raggiunge nuovi traguardi. La tavola “esplode” e le anatomie prendono vita diventando dinamiche ed espressive; i retini vengono applicati con oculatezza e non sono invasivi. Garcia Duran è ormai “arrivato”, il suo percorso artistico sembra aver raggiunto il suo compimento. Ma nel 1988 Lanciostory ospiterà la definitiva evoluzione del disegnatore, un’opera che si mantiene per quasi tutti i suoi 43 episodi su livelli di equilibrio formale praticamente perfetti: Kozakovitch & Connors.
Questa lunga serie è una delle migliori creazioni di Robin Wood, e il lavoro di Garcia Duran contribuisce a esaltarne la drammaticità e lo spirito amaro e sarcastico. La piena parabola stilistica è raggiunta, e la serie è un capolavoro. Quelli che anni prima erano difetti ora sono i marchi di fabbrica di Garcia Duran. Le campiture di nero e l’inchiostrazione non uniforme diventano adesso veicoli efficacissimi per raccontare le vicende dei due avventurieri, mentre i fitti (e superflui) tratteggi che a volte appesantivano i disegni vengono confinati solo su alcuni soggetti più illustrativi (ritratti, scene di battaglia), col risultato di indirizzare ancora meglio il tempo di lettura. In Kozakovitch & Connors non mancano piccole deroghe all’anatomia, o deformazioni vere e proprie; ma nella migliore tradizione del fumetto non si tratta di errori, bensì di trucchi per rendere più chiara, spedita e drammatica la narrazione. Con l’introduzione del diario di Connors Robin Wood offre anche uno spazio in cui il disegnatore può sfogare al meglio la sua vena più descrittiva e dettagliata. Bisogna ricordare infine che praticamente solo in questa serie Garcia Duran traccia delle figure femminili sufficientemente personalizzate e distinguibili le une dalle altre.


Sono ascrivibili al periodo di Kozakovitch & Connors anche alcune altre prove a colori, in cui il ricercato sperimentalismo di Akira lascia il posto a una stupenda sintesi immediatamente gradevole e comunicativa.
La parabola artistica di Garcia Duran, però, non si arresta. Coerentemente con la progressiva pulizia del suo tratto le tavole si impoveriscono sempre di più, pian piano i disegni perdono tono e profondità. Tre opere dei primi anni ’90 fungono da passaggio tra Kozakovitch & Connors e il Garcia Duran più recente. I nuovi sei episodi de La Città di Ricardo Barreiro (da Lanciostory 34 del 1992) denunciano una maggiore velocità nel trattare i soggetti disegnati e, se già alla fine di Kozakovitch & Connors le immagini erano decisamente semplificate rispetto ai primi episodi, si intuisce comunque che Garcia Duran sta imboccando una strada nuova. Tanto più che retini e tratteggi vengono quasi del tutto soppressi in favore di un pointillisme non proprio elegante. Nel complesso le tavole rimangono ancora molto espressive ma l’occasionale mancanza di profondità le rende talvolta un po’ confuse. E le deformazioni anatomiche usate egregiamente fino a poco fa per raccontare meglio una storia risaltano molto di più. Questo processo di semplificazione continuerà ulteriormente nella nuova serie-fiume che Garcia Duran si accinge a presentare.
Nan Hai (testi di Wood, da Lanciostory 6 del 1993) presenta delle linee decise e sinuose, senz’altro gradevoli e funzionali ma piuttosto monocordi e assolutamente insufficienti a far “vivere” la tavola come succedeva in Kozakovitch & Connors. Grossi blocchi di nero risolvono elementi quali la notte, la chioma di alcuni personaggi ed altri dettagli piccoli o grandi cui solitamente Garcia Duran avrebbe prestato più attenzione. Molto spesso si ha l’impressione che le tavole di Nan Hai siano vuote, quasi incomplete: non è un caso che l’Eura ne abbia voluto fare (per una volta a ragione) un «tuttocolore».
L’inesorabile avvicinamento a uno stile definitivamente pulito e asettico trova conferma in Sumatra (testi di Bellagamba, da Skorpio 50 del 1995), una serie particolarmente sconclusionata che Garcia Duran interpreta con una certa freddezza, dedicando una cura maggiore ai dettagli tecnici che non al resto.
Ogni disegnatore compie nel corso della sua carriera evoluzioni più o meno marcate, che idealmente lo dovrebbero portare alla “sua” sintesi personale. Zanotto ha abbandonato pennello e retini, Garcia Seijas ha ridotto il tratteggio, Mandrafina è ormai libero dai vincoli di una calligrafica rappresentazione della realtà…Stiamo parlando di giganti del fumetto, ma il Garcia Duran del suo periodo migliore figurava senza problemi in questo Olimpo. E invece, laddove altri hanno saputo fermarsi consapevoli del risultato raggiunto, lui ha continuato a lavorare sul proprio stile per renderlo ancor più scarno e sintetico, ben oltre le necessità della narrazione. E la cosa più pazzesca è che senza dubbio questa estrema semplificazione è stata cercata coscientemente dal disegnatore (visto che è perfettamente coerente con la sua evoluzione artistica) e non si tratta di un ripiego per lavorare di meno o più velocemente. In questi ultimi anni di Garcia Duran abbiamo visto soltanto storie brevi (magari con qualche personaggio che ricompare ogni tanto come il killer Quentin) e la miniserie Yaqui, in cui la semplicità del disegno è quasi irritante. La maggior parte dei contorni sembrano essere disegnati col rapidograph, anche se ogni tanto si intuisce che la definizione dei disegni si è fermata alle matite. Per contro, Garcia Duran si è rivelato uno sceneggiatore molto arguto e originale: alcune sue storie sono veramente eccezionali e meriterebbero di venire ristampate. Dal punto di vista grafico, però, la situazione non è più esaltante come lo era una ventina di anni fa. Resta la consolazione di poter credere che, avendo preso in mano le redini dei testi, Garcia Duran sta realizzando finalmente le “sue” storie, quelle che forse voleva raccontare da una vita. Ma alcune geniali intuizioni che ha avuto meriterebbero una corrispondente attenzione sul piano grafico (e soprattutto una maggiore visibilità). Nell’attesa di rivederlo esprimersi ai livelli di una volta, abbiamo potuto consolarci con le sue copertine, che insieme alla pittura costituirono la sua attività principale nell’ultimo periodo.
Luis Garcia Duran è mancato il 25 novembre 2009.

Opere principali: Leticia Gray (Barreiro), La selvaggia (Barreiro), Kozakovitch & Connors (Wood),  Nan Hai (Wood),  Taxi Driver  (Barreiro)

Ristampe e edizioni in volume: Qui la legione è  stata ospitata in inserto su Skorpio dal n° 44 del 1990 al 52 del ‘91,  successivamente è stata ristampata su I giganti dell’avventura nei numeri 11, 14 e 20; Kozakovitch & Connors  ha   fatto  un’apparizione  su  Euracomix 72 prima  di  venir  dirottata  su  I  giganti  dell’avventura  (4 e 7)  dove è comparsa integralmente. A La selvaggia è dedicato il 39° numero di Euracomix mentre La Città 2  divide  con  La  Città  1  e  Robin  delle  stelle  le  pagine  di  Fantacomix-day  n° 4.

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