martedì 25 marzo 2014

Blake e Mortimer 22 (se ho fatto bene i conti) - L'Onda Septimus



E finalmente sono riuscito anch’io a leggere l’ultimo Blake e Mortimer, in ritardo mostruoso (persino Fumo di China ne ha parlato nel frattempo!) per cause imputate come di consueto alla distribuzione.
Attendevo al varco Jean Dufaux, autore postmoderno amante delle frasi a effetto, delle citazioni e delle didascalie espressive e non descrittive, e secondo me ha passato più che dignitosamente l’esame del Classico dei Classici.
L’Onda Septimus non è un capolavoro e non è esente da pecche: Mortimer come scienziato pazzo non ce lo vedo proprio, così come mi pare che Blake a volte sia un po’ “anarchico”, alcuni passaggi non sono stati sviluppati compiutamente (come è stato catturato Olrik? E Blake come è uscito dalla grotta?), oltre ovviamente a certe vestigia dello stile di Dufaux che la cura editoriale non ha saputo o voluto smussare, come le spacconate melodrammatiche di alcuni dialoghi («Amo le persone fuori dal comune. Mi divertono perché sono il mezzo migliore per combattere la noia.» afferma una dark lady) e certe scene talmente “larger than life” da sfiorare il ridicolo, vedi la ricostruzione in manicomio di una postazione militare a fini terapeutici!
Come nel caso del primo episodio di Van Hamme, anche Dufaux ci tiene a far vedere quanto bene abbia studiato la lezione di Jacobs e riprende e sviluppa vari dettagli (anche insignificanti) della mitica storia Il Marchio Giallo, di cui questa L’Onda Septimus ha l’ambizione di essere il seguito. Sparito Guinea Pig/Olrik, il professor Mortimer riprende gli esperimenti di Septimus sull’Onda Mega, ignaro che un gruppo di facoltosi con intenti malvagi sta a sua volta ricominciando quelle ricerche. C’è “qualcosa” che però impedisce il giusto svolgersi degli esperimenti, e che si rivelerà essere nientemeno che una navicella spaziale sepolta nel sottosuolo di Londra!
La storia è appassionante, incalzante e originale – per quanto lo stesso Dufaux dichiari di essersi basato sul primo episodio di una vecchia serie televisiva per imbastirla. Molte trovate hanno inoltre un retrogusto surreale, quasi psichedelico, che inaspettatamente si sposano molto bene con l’ambientazione di Blake & Mortimer. Non mancano alcuni difetti, come ho sottolineato sopra (e aggiungo: non si poteva sviluppare un po’ di più la parte relativa a Orpheus? E come diavolo fa Olrik ipnotizzato a ricordarsi qualcosa a cui non ha partecipato?) ma davanti alla spettacolare avanzata dei cloni magrittiani di Septimus certi dettagli passano in secondo piano. Sinceramente credo che questa sia l’immagine più evocativa di tutto il nuovo corso della serie, e di gran lunga. Delle altre storie realizzate dai nuovi autori cosa si affaccia con più incisività alla memoria? Per me forse solo gli occhi sbarrati di Olrik che si rianima alla fine de La Minaccia Universale, tutt’al più gli uomini del futuro de Lo Strano Appuntamento che si rivelano tali.
Mi sembra che le pipette dei balloon facciano "parlare" i personaggi sbagliati: i pazienti invece che i dottori
Ai disegni Antoine Aubin compie un ottimo lavoro: trovo che sia bravissimo soprattutto nel rendere espressivi i personaggi. Purtroppo il rigore con cui si rifà allo stile di Jacobs rende Septimus più umoristico che minaccioso, ma una volta che ci si fa l’occhio non è più un fastidio.
I disegni subiscono però una brusca sterzata dalla tavola 41 (basta vedere come Lady Rowana viene disegnata in maniera diversa), probabilmente è da lì che Étienne Schréder è subentrato al disegno. Mi sembra che le mani e i piedi siano più proporzionati che nelle tavole precedenti, ma la cura per il dettaglio è minore, e verso la fine del volume sarà drammaticamente minore. Andrea Sani su Fumo di China 223 attribuisce il crollo della qualità della parte grafica alla necessità di terminare il volume in tempo per rispettare la data d’uscita preventivata, e i ringraziamenti al termine del volume sembrano avvalorare la sua tesi.
L’edizione di Alessandro Editore è come di consueto stampata su carta non patinata (sigh – ci rimango malissimo ogni volta) e non è esente da refusi. Nulla che pregiudichi la lettura, e poi a un editore che continua coraggiosamente a proporre BéDé in Italia si perdona tutto. Purtroppo però non ho capito se uno dei personaggi si chiami Tuog o Tuong visto che passa vorticosamente da un nome all’altro anche nel giro di poche vignette.

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