giovedì 9 luglio 2015

Ringo 1: La Pista di Santa Fe



Visto che ho chi riesce a procurarmelo, così come mi ha procurato Mac Coy, ho deciso di provare già che c’ero anche Ringo: in fondo sono solo due numeri e poi è pur sempre William Vance. Tutto vero, ma da questa prima uscita mi sembra di poter dire che questo fumetto ha molto risentito del passaggio del tempo, e che probabilmente nemmeno all’epoca della sua prima pubblicazione fosse tra le teste di serie.
Il primo episodio, La Pista di Santa Fe, è interamente opera di Vance e non sarebbe nemmeno male: il protagonista viene ingaggiato per scortare una carovana Wells Fargo con un ghiotto carico d’oro che fa gola sia ai banditi locali che agli indiani coyotero. La svolta abbastanza originale è che i due gruppi collaborano per appropriarsi del bottino e la storia viene movimentata un po’ anche dalla suspence di vedere dei personaggi ricorrenti minacciare il protagonista.
Purtroppo, inevitabili stereotipi del genere a parte, La Pista di Santa Fe soffre di un ritmo sincopato che alla lunga mi ha sfibrato. Costretto nel formato obbligato delle due tavole per numero di Tintin, Vance crea delle situazioni di forte tensione o sospensione nelle pagine pari per poi sgonfiarle inesorabilmente nella prima vignetta delle pagine dispari. Alla fine questo saliscendi finisce per vanificare il pathos che vorrebbe creare anche se immagino che a leggerlo su rivista il risultato fosse diverso e più efficace.
Il primo episodio risale al 1965 e in effetti lo stile di disegno di William Vance non è ancora quello con cui sarebbe diventato famoso in seguito. Il tratto non è acerbo, se non in certi dettagli minori (gli occhietti piccolini e posizionati un po’ troppo vicini tra di loro), più che altro si notano certe scelte che poi Vance avrebbe abbandonato per strada, come le potenti campiture a pennello secco. Molto belli i paesaggi, buoni (ottimi per l’epoca) i colori. Mi è sembrato di cogliere qua e là qualche rimando all’iconografia classica del genere, in particolare il protagonista mi sembra ispirato a Henry Fonda.
A seguire, l’episodio Tre Bastardi nella Neve di cui Vance ha sceneggiato solo il primo dei cinque capitoli di cui è composto, affidando gli altri nientemeno che ad André-Paul Duchâteau. Nell’introduzione Fabio Licari sostiene che la differenza di sceneggiatore si vede ma sinceramente a me questo episodio è sembrato soffrire degli stessi difetti del precedente pur essendo stato realizzato dieci anni dopo – e inserito in questo primo volume per volontà dell’autore. L’idea di partenza è anche in questo caso carina: un irriconoscibile Ringo (Vance lo disegna in maniera diversa rispetto al primo episodio) viene incaricato dalla Wells Fargo di recuperare una diligenza che oltre al proverbiale carico d’oro trasportava anche la figlia di un senatore, ma i tre bastardi del titolo (messicani ritratti con fattezze lombrosiane) vengono fortuitamente a conoscenza del bottino e si lanciano anche loro all’inseguimento.
Il tutto calato in un contesto invernale con una tormenta di neve che ostacola l’avanzata dei vari personaggi e ne confonde le tracce. Ignoro se abbia mai nevicato in qualche stato confinante col Messico, ma la suggestione funziona a meraviglia. Quello che non funziona è il ritmo della storia, che nonostante le premesse non ha saputo coinvolgermi. Le didascalie in prima persona singolare con i pensieri di Ringo non bastano a rendere più appassionante la vicenda. Forse perché frutto del rimontaggio da un altro formato (ben visibile in alcune vignette), Tre Bastardi nella Neve ha un andamento frammentario e in alcuni casi sembra che lo sceneggiatore abbia voluto allungare il brodo. A tal proposito, è un vero peccato che la scena potenzialmente splendida, e sicuramente originale, dell’intervento finale della donna del capo dei banditi sia risolta come se fosse un battibecco tra Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
A proposito di donne, Licari segnala giustamente anche l’abilità di Vance nel disegnarle ma purtroppo in questi due volumi (per la precisione solo nel secondo visto che nel primo non compare una donna che sia una) il disegnatore non sembra affatto a suo agio con profili e altre inquadrature muliebri.
Nel complesso, quindi, nulla di irrinunciabile – e d’altra parte se Ringo in patria ha avuto una vita così effimera ci sarà un perché. Da consigliarsi agli amanti del western e di Vance, anche se per i secondi sarà più un’occasione di vedere come è evoluto il suo stile piuttosto che di godere della sua arte qui non al top.
Cionondimeno io il prossimo volume lo prenderò per completezza, e magari qualcuna delle storie brevi annunciate sarà pure simpatica.

5 commenti:

  1. L'ho sfogliato ieri in edicola e devo dire che mi ha ispirato praticamente zero. A parte un Vance un po' acerbo, a occhio le tavole si mostravano abbastanza farcite dagli stereotipi classicissimi del genere che citi anche tu.
    Più che altro sarei curioso di capire cosa pubblicheranno dopo RIngo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Beh, un western senza stereotipi non è un western!
      Hanno messo in terza di copertina l'elenco di quello che pubblicheranno dopo e mi sembra (vado a memoria) che ci saranno Trent e Buddy Longway. Si vede che questi volumi funzionano.

      Elimina
  2. Se cerchi un bel western, di stampo francese
    Io non lo nascondo, non è un gran bel mese
    Il ritmo è scarsino, disegni un po’ fiacchi
    Ma questo ci danno, o lo prendi o ti attacchi.
    Aspetta il secondo, lo dico e non fingo
    Magari andrà meglio, parola di Ringo. ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. giuro, mentre leggevo sentivo la voce di Pino Insegno.

      Elimina
    2. Grazie!, anche se la voce originale del Gringo anni 60 mi piace di più di InFRegno.

      Elimina