Si è fatto attendere,
ma ne è valsa la pena. I cosacchi di
Hitler, vivaddio, è solo apparentemente una storia di guerra.
Edward e Nicolas sono due
ricchissimi rampolli scozzesi che grazie alle loro frequentazioni eccellenti
partecipano agli ultimi sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale in un campo di
prigionia a Lienz. Ad attenderli non ci sono soldati tedeschi ma una comunità
di russi: si tratta dei fieri e indomabili cosacchi
che con la Rivoluzione d’Ottobre si videro espropriare i propri terreni e
furono perseguitati in quanto “Bianchi”. Il trattamento che viene loro
riservato non è tutto sommato malvagio, per quanto i soldati più giovani come
Edward e Nicolas istintivamente li etichettino ancora come nazisti, e a quanto
pare la Gran Bretagna darà loro l’opportunità di rifarsi una vita in Occidente
una volta terminato il conflitto. Ma ovviamente le cose sono molto più
complicate di così.
Questo è il punto di partenza da
cui prende le mosse la storia (come tema: il fumetto comincia in realtà 25 anni
dopo con il suicidio di uno dei protagonisti) e Valérie Lemaire riesce alla
perfezione a catturare l’attenzione del lettore con un argomento così
misconosciuto. Da questa base sviluppa una trama che verte in realtà su un
triangolo amoroso e sulla fitta ragnatela di bugie e segreti che esso ha
generato. Il finale un po’ affrettato in cui tutti i fili si annodano con
eccessiva casualità viene bilanciato da un paio di colpi di scena ben
architettati.
Lo stile di scrittura della
Lemaire è sincopato e frenetico, con raffiche di flashback in cui è il lettore
a dover capire in che anno si svolgono le scene, essendo le didascalie
rarissime. Le linee narrative sono principalmente tre e raramente si
intrecciano. Non mi piace molto il “montaggio parallelo” tramite cui sequenze
di periodi diversi vengono raccordate attraverso un oggetto o un tema che le
accomuna (il denaro, una gravidanza…), perché mi dà sempre l’impressione che si
voglia imitare maldestramente il cinema, ma non è poi un grave difetto. La trama
si snoda in maniera fluida e avvincente e solo all’inizio la Lemaire ha dovuto
fare ricorso in un paio di dialoghi al necessario info-dumping, comunque poco pesante e giustificato dalle situazioni.
I disegni di suo marito Olivier
Neuray erano l’incognita più preoccupante. Sin dalla copertina si nota come il
suo stile sia una Linea Chiara con influenze Pop Art. Un po’ Floch’ e tanto
Baldazzini, ma più di tutti quel tale che disegnava Il Tuo Beffardo Cuore su Il
Grifo (Minus o qualcosa del genere, ma credo fosse uno pseudonimo). Avrebbe
funzionato uno stile glamour per
raccontare delle vicende così drammatiche e che hanno le loro radici in un contesto
storico tanto tragico? In effetti Neuray ha fatto un ottimo lavoro, e i suoi
personaggi non sono dei freddi manichini ma risultano espressivi, mentre il
lavoro sulle inquadrature e sull’organizzazione delle vignette nelle tavole le
rende molto dinamiche. Assolutamente ridicoli i tentativi di rendere vivaci
alcune sparute figure con delle linee cinetiche, ma la rappresentazione dello
scorrere del tempo nelle prime due strisce di pagina 31 è perfetta, così come il
commento muto del soldato in secondo piano alla battuta del suo superiore a
pagina 39. Tra le altre, è molto ben riuscita anche la sequenza alternata di
pagina 72, forse memore di quella dalla struttura analoga con cui si chiudeva
uno degli episodi de Le Sette Vite dello
Sparviero.
Quello che invece non mi convince
di Neuray è l’uso che fa del computer, non tanto per la ricostruzione di
edifici e mezzi militari, quanto per le figure sullo sfondo che risultano
evidentemente (e fastidiosamente) dei rimpicciolimenti di altre immagini. Questo
problema si verifica anche in senso inverso, quando per “avvicinare” un
personaggio ingrandisce un’altra immagine rendendo i contorni giganteschi. Ma per
fortuna non si tratta di situazioni troppo ricorrenti. I colori di Ruby
assecondano lo stile di Neuray con delle campiture nette e decise.
In appendice è presente un
approfondimento sui Cosacchi con particolare attenzione al ruolo che svolsero
durante la Seconda Guerra Mondiale.
Questo numero di Historica è di gran lunga uno dei
migliori dell’ultima annata. E se domani mi dice bene dovrei trovare anche il
nuovo Historica Biografie.
Proprio i disegni sono quello che più mi frena. Nonostante il tuo commento parzialmente positivo, non mi convincono affatto.
RispondiEliminaera quello che non convenceva nemmeno me. E invece...
EliminaWalter Minus non è uno pseudonimo http://www.walterminus.fr/
RispondiEliminaBeh, almeno mi ricordano il nome!
Eliminaehm, "mi ricordavo", ovviamente.
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