venerdì 14 febbraio 2020

Dylan Dog Color Fest 32: Altre Visioni

Dietro una copertina un po’ incongrua di Gloria Pizzilli si celano tre storie piuttosto particolari.
Nella prima, Dì ciao, scritta e disegnata “al neon” da Piero Dall’Agnol, Dylan Dog si muove in alcune sequenze di film un po’ modificati ma perfettamente riconoscibili, con l’occasionale apparizione di un volto misterioso. La spiegazione di questo delirio è la soluzione classica a cui storicamente ricorrono gli scrittori quando non sanno trovare una “vera” spiegazione, e qui questo meccanismo viene anche duplicato, cosa già vista in molti altri contesti e probabilmente anche in Dylan Dog. Anche se il motivo principale di interesse di questa storia è la parte grafica, inizialmente si rimane un pochino delusi ma tutto sommato una volta metabolizzato il tutto non è stata affatto una brutta lettura, considerati anche i dialoghi simpatici e le situazioni surreali in cui è calato Dylan Dog.
La seconda storia breve è ancora più strana: in Welcome to the Jungle il cast della serie è trasfigurato in versione animale! Si tratta principalmente di una storia muta, niente affatto disneyana ma anzi piuttosto violenta, in cui alla fine viene svelato il motivo di questa “mutazione”. In realtà non viene spiegato per esteso ma lo si intuisce, e non ci vuole tanto per farlo. I disegni stilizzati di Yang Yi mi sembrano più adatti a un libro per bambini che non a un fumetto realistico, per quanto trasognato come in questo caso. Ben tre autori (Isaak Friedl, Luca Leo e Marco Nucci) hanno elaborato soggetto e sceneggiatura.
Alessandro Baggi in Brokedown Palace si muove invece in territori più canonici: è la classica storia in cui Dylan Dog riflette su se stesso, anche se con un’indagine di mezzo, e riepiloga un po’ la sua essenza. Data la struttura, il fumetto assomiglia più a un racconto illustrato, cosa che il bravissimo Baggi si può sicuramente permettere data la sua maestria nel disegno e nel colore, già dimostrata proprio sulle pagine di questa collana. Però in questo frangente ho notato una certa disarmonia tra alcune vignette non perfettamente amalgamate tra loro: le ottime immagini dipinte convivono con disegni realizzati al tratto e colorati successivamente, e lo stacco si nota. Anche questa storia si conclude con un ribaltamento di prospettiva, ma anche questa si gusta di più per la bellezza grafica che per l’originalità del soggetto, per quanto sia sicuramente la più densa delle tre.
Rimango dell’idea che la carta patinata sarebbe molto più adatta a valorizzare i disegni e soprattutto i colori, tranne forse nel caso di Dì Ciao in cui la porosità contribuisce all’effetto di evanescenza che (immagino) Dall’Agnol voleva trasmettere in alcune vignette.
In definitiva questo Color Fest è una raccolta di storie interlocutorie (sicuramente consapevolmente progettate per esserlo) che una volta “digerite” non faranno pentire chi ha comprato l’albo.

4 commenti:

  1. Ti dai ai Bonelli in maniera massiccia, ultimamente :D

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    1. In effetti la necessità di stare sul pezzo il più possibile hanno portato a due post Bonelli consecutivi. Per Stalin aspetto domani.

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  2. Vedo che sul Color Fest si divertono spesso a sperimentare e ad osare :) Vediamo se lo recupero!

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    1. Se non sbaglio alternano numeri antologici con altri "regolari" (ma colorati). Solo i primi ovviamente sono sperimentali, con risultati alterni.
      E comunque è San Valentino, la serata avreste dovuto passarla con le vostre signore, non a leggere il mio blog!

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