lunedì 3 febbraio 2020

I Figli di El Topo 2: Abele

Caino e la sua devota fedele seguono l’aquila che alla fine dello scorso volume indicava loro la strada per raggiungere Abele, ma sulla strada troveranno più di un ostacolo. Alla fine Caino riesce a ricongiungersi col fratello e insieme architettano un semplice piano per raggiungere la tomba del padre: visto che la loro madre è morta ma il corpo non si decompone, penetreranno nell’isola con il cadavere intonso che profuma e attira le farfalle (prova certa della sua santità) e così Caino potrà impossessarsi dei menhir d’oro mentre Abele continuerà il suo cammino verso la santità.
Per arrivare al santuario devono però superare un curioso sbarramento: dei bandidos con gilet decorati da ali angeliche stanno cercando inutilmente di espugnare un convento di omaccioni irsuti vestiti da suore. La situazione ristagna perché il capo dei banditi è impazzito e crede di essere un cane (probabilmente a ridurlo così è stata la sua compagna, vecchia conoscenza di Caino), quindi non può guidare i suoi uomini che attaccano in maniera scoordinata. Abele si fa carico della guarigione dell’uomo e il gruppetto arriva così in prossimità del santuario, dove però il corpo della madre santa è conteso dagli altri fanatici. Dopo aver superato una surreale prova di forza, Abele potrebbe aver ricevuto il testimone di assassino da Caino, tale da giustificare il titolo del prossimo episodio, Abelecaino. Sono solo congetture, e ho tutto il tempo per rifletterci sopra visto che se tanto mi dà tanto il terzo e conclusivo volume uscirà nel 2023 o giù di lì.
Jodorowsky scrive a briglia sciolta diviso come suo solito tra misticismo e grand guignol. Purtroppo tra stupri, massacri, imeni ustionanti, fiamme divine e giganti deformi sfiora spesso il ridicolo, ma forse era proprio questo il suo obiettivo. La sequenza della guarigione del capo dei banditi mi è sembrata debole a livello drammaturgico, ma probabilmente era stata pensata per la versione cinematografica dove il pathos sarebbe stato affidato all’abilità degli attori; la resa a fumetti è un po’ insapore.
I disegni di José Ladrönn sono molto buoni. Pur non essendo molto dettagliati, sono molto realistici e spettacolari per la loro efficacia a livello di espressività e dinamismo. È evidente che è partito da fotografie, ma ha saputo scegliere quelle ottimali per il suo lavoro. D’altra parte visto che due terzi dei protagonisti maschili del fumetto sono lo stesso Jodorowsky non avrà avuto problemi a trovare il modello giusto. Molto buoni anche i colori, realizzati da Ladrönn insieme a Hugo Sebastian Facio.

Nessun commento:

Posta un commento