Talvolta nelle raccolte e nelle
ristampe dei fumetti di Castelli i redazionali curati da lui medesimo sono
quasi meglio dei fumetti stessi. Dato il mezzo secolo che ci separa dai lavori
qui raccolti e la (relativa) giovane età dell’autore quando li scrisse, pensavo
che in questo caso sarebbe stato inevitabilmente così; invece questi fumetti mantengono
ancora oggi una grandissima freschezza e non sono affatto invecchiati. Forse a
preservare certe storie c’è il fatto che sono tratte da racconti e romanzi (di Lovecraft,
De Maupassant, Henry James, Stoker, Arpino, Bioy Casares) ma sicuramente
l’epoca sessantottina della loro realizzazione ha inciso sulla loro qualità: da
una parte incentivando quegli sperimentalismi che spesso rendevano la lettura
un vero piacere già a livello visivo o concettuale, dall’altra spingendo a
scrivere senza autocensurarsi, senza il timore tutto contemporaneo di offendere
qualcuno (volendo, già le donnine delle copertine di Rostagno erano un segnale
di questa libertà).
E in quegli anni i disegnatori di
fumetti sapevano disegnare, non si nascondevano dietro lo storytelling per
giustificare la povertà delle loro tavole (anche con le frecce tra le vignette
ho faticato a muovermi in certe tavole di Riccardo Paoletti, ma chi se ne
frega: erano bellissime) – forse potevano farlo perché come ricordato da
Castelli solo Corriere dei Piccoli,
Intrepido e Monello pagavano più
di Horror.
A Lucca 2019 Castelli aveva
presentato le bozze del volume, in uscita a Reggio Emilia, e se non sbaglio
aveva detto che in origine il progetto era quello di una ristampa anastatica,
in modo da preservare anche i testi scritti (spesso interessantissimi), cosa
però infattibile per una questione di diritti. Per questo Horror è diventata una raccolta dei fumetti scritti da Alfredo
Castelli, eccezion fatta per le strisce di Zio
Boris già abbondantemente ristampate, per due incipit di fumetti non
continuati e forse per alcune one pager
de Il gabinetto del Dottor Horror.
Come anticipato da Castelli
nell’introduzione, l’horror che dava il titolo alla rivista di Gino Sansoni era
ben diverso dal genere come viene inteso oggi: era una cosa psicologica,
d’atmosfera, rimandava ai classici del genere (Dracula, Frankenstein, ma anche
la letteratura gotica più “alta”) e gli effettacci splatter non erano
contemplati, forse nemmeno immaginabili. Le storie giocavano con la sorpresa,
presentavano quasi sempre finali a effetto ma quello che le rende efficaci e
godibili ancora oggi è il fatto che terminassero spesso in maniera beffarda, con
un sarcasmo che ha mantenuto intatta la sua carica cinquant’anni dopo. E
comunque certi soggetti erano genialmente folli già in partenza: la statua
della libertà incinta! Un fumetto creato usando una vecchia banconota da 1000
lire!
Al di là delle riduzioni
letterarie, in alcune occasioni Castelli ha cosceneggiato le storie insieme a
Mario Gomboli, Marco Baratelli o Tito Monego.
Si aprono le danze in rigoroso
ordine cronologico, con le storie di Castelli tratte dal numero 1 di Horror: Giovanni Cianti fa veramente un
figurone, così come uno strepitoso Sergio Zaniboni che gioca con le dimensioni
e la posizione delle vignette e gestisce magnificamente una storia che è quasi
muta. Entrambi spettacolari. Un po’ meno convincente il Marco Rostagno de Il miglior amico dell’uomo: per quanto forse
ispirato a disegnatori umoristici è un pochino ingessato. Procedendo nella
lettura, ritrovo il meraviglioso Nosferatu
di Gianni Grugef, che non ricordo di aver mai letto stampato così bene
(sarà la carta patinata) e fa capolino la coppia Glauco Coretti e Raffaele
Silvestri, niente male sebbene non indugino in sperimentalismi ma si ispirino
evidentemente agli autori delle strisce classiche. Eccezionale Sergio Tuis, probabilmente
“fotografaro” ma con grandissima classe. Il nervoso ma realistico Riccardo
Paoletti è stato una piacevole sorpresa e Giampaolo Amstici lo è stato ancora
di più: siamo ai livelli di un Alligo
o di un Masciangelo.
Dignitoso ma ancora acerbo il Fagarazzi della mitica (beh, per me lo è) Vita, opere, vocazione di Geremia Sacchi,
scrittore, che scopro essere tratta da Bioy Casares. Le pagine finali a
colori sono dedicate all’umorismo di Carlo Peroni, che oltre a due one pager di Zio Boris disegna e colora una spettacolare versione eroticomica di
Frankenstein (non molto fluida, però: forse manca qualche pagina sacrificata
per ragioni di spazio).
Certo, non tutte le proposte sono
allo stesso livello: l’Antonio Sciotti che illustrò Dracula era di matrice prepotentemente popolare (ancor più evidente
se confrontata con l’illustrazione di Dino Battaglia che introduce la storia)
mentre Leone Cimpellin doveva evidentemente prendere ancora le misure con il
genere horror nella sua prima storia, Armageddon!,
e lo stesso vale per le prime prove del Carlo Peroni “realistico”. Ma il non
esaltante Giorgio Montorio seppe evolversi già nell’arco di un paio di numeri
mentre le tavole di Aldo Di Gennaro fanno un figurone anche quando non aveva
voglia di disegnare gli sfondi.
La qualità di stampa è buona, non
solo considerando che si tratta di materiale pubblicato quasi mezzo secolo fa
ma anche per gli standard odierni. Che Castelli abbia conservato gli impianti
di stampa di alcuni fumetti? Tanto, anche se lo avesse fatto, oggi comunque si
stampa in digitale… La qualità della resa non è uniforme ma anche laddove si
notano dei tratteggi impastati o dei segni tremolanti non sono poi così
evidenti. E incredibilmente la qualità di stampa di alcuni fumetti è veramente
ottima.
Purtroppo dal punto di vista del
lettering questo volume adotta ogni tanto gli stessi criteri de Lo Zoo Pazzo,
quindi accanto a quello originale alcuni testi sono stati rifatti digitalmente,
e mi sa che alcuni balloon (cfr. seconda e terza vignetta de I topi nel muro) sono stati proprio
messi ex novo, e d’altronde anche
l’onomatopea della seconda tavola della bella storia di Cianti è evidentemente
stata inserita con mezzi digitali. Per fortuna non si tratta di una cosa molto
diffusa, però lo stacco è percepibile e rompe un po’ la magia della lettura,
oltre a far balenare l’idea che non si tratti di una riproposta filologicamente
impeccabile ma di una versione “riveduta e corretta”. Mentre invece un
intervento correttore sarebbe stato giustificato nella storia Lassù qualcuno ti ama: è ovvio che le
ultime vignette di pagina 85 dovrebbero recare la data 1971, non 1970.
I fumetti sono inframmezzati da
vari interventi redazionali che non trattano solo della rivista ma parlano
anche del cinema e della letteratura horror con annessi e connessi, come i kit
di montaggio per mostri citati nella parodia di Frankenstein. C’è persino un
fotoromanzo, realizzato dallo Studio Buratti su sceneggiatura di Castelli e
Baratelli. Ma come sempre il piacere più grande è leggere gli aneddoti riguardanti
quel gran paraculo di Gino Sansoni: a pag. 116 viene ricordato ad esempio come
avesse ideato un logo appositamente ambiguo per creare confusione con l’editore
Sansoni di Firenze.
Tra il materiale non a fumetti si
segnala la riproposta dell’intervista a Mario Bava con tanto di sceneggiatura
del suo episodio dell’Odissea
televisiva che regalò a Castelli (Bava, un uomo d’altri tempi: «il palo viene
abbassato a empire l’obbiettivo»).
Non sapevo che nella versione originale di Rosemary’s
Baby si vedesse il figlio del demonio, tra l’altro.
L’appendice con l’elenco dei
collaboratori di Horror contiene
delle interessanti curiosità: ad esempio ignoravo che anche Rinaldo Traini vi
avesse collaborato, così come non sapevo che anche Jean Giraud era transitato
per quelle pagine. Interessante poi la citazione del fumetto Edamon di Igor Hervatin, se ho ben
capito una sorta di Conte di Piombo.
Chiudo anch’io con delle
curiosità: il Nosferatu di Gianni
Grugef, che non sapevo avessero “scritto” Castelli e Baratelli, è giustamente
indicato come la storia più ristampata di Horror,
ma Castelli si è dimenticato di elencare la sua apparizione nella Antologia de La Grande Avventura dei Fumetti, la
famigerata enciclopedia della DeAgostini. Curioso anche che Castelli non abbia
fatto notare come la rivista Vedo Nuda!
edita da Sansoni (che in copertina promette «un’inchiesta “senza veli” di
Alfredo Castelli»!) fosse stata pubblicata da una delle sue molte etichette che
aveva chiamato Nona Arte proprio come quella che ha licenziato questo volume. O
è un pastiche di Castelli?
Coerentemente con la natura del
genere trattato da Horror, la mia
copia offre un supplemento di mistero: in quarta di copertina un adesivo con un
codice a barre copre chissà quale misterioso dettaglio (il
codice a barre di un altro circuito, ovviamente, ma il volume lo conserverò
così).
Da ricordare che la rivista Horror vinse il premio Yellow Kid a Lucca e che conteneva solo ed esclusivamente fumetti appositamente realizzati da autori italiani. Ho la collezione completa e quindi mi risparmierò l'acquisto di questo bel libro.
RispondiEliminaQuesta produzione autarchica viene ricordata anche da Castelli, ma su Horror transitarono anche un bel po' di fumetti su licenza. Marcel Gotlib, il primo Lone Sloane...
EliminaPerò, doveva essere davvero una rivistina niente male
EliminaIo ne ho solo pochi numeri. Il problema di Horror, e forse Luca/Poplite me lo potrà confermare, è che la qualità della carta era quella che era, anche per il colore, e quindi la conservazione poteva essere un po' problematica. Come nel mio caso :(
EliminaMe lo fai ristampare citando la fonte su Giornale POP?
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