Ho già spiegato quanto sia vantaggioso avere amici scienziati che periodicamente vanno in missione in giro per il mondo. Questo volume è un altro bonus, che mi ha lasciato stupito. Come quando si vedono i primi fumetti di Milo Manara. Eh, già: anche Felix Meynet ha dovuto fare un po’ di gavetta e agli esordi aveva uno stile ben diverso rispetto a quello con cui è conosciuto e apprezzato oggi.
La storia è ambientata nel 1969 ma prende le mosse durante la Resistenza francese, quando un maquisard fuggendo a un agguato rinvenne il favoleggiato tesoro del titolo che i monaci nascosero sulle montagne dell’Alta Savoia alla fine del XVIII secolo. Ma questo lo scopriremo solo a un terzo abbondante del volume: prima Roman e Meynet ci presentano i protagonisti della serie.
Mel Dalvoz è un escursionista e un istruttore di sci con un certo talento artistico, adesso che è bassa stagione viene ingaggiato come guida dalla bella Mirabelle, imbranata e vanesia (all’inizio pensava di affrontare le pendici con i tacchi alti) che però alla fine riserverà qualche sorpresa. Si trovano coinvolti nella ricerca del tesoro, ma non è una situazione semplice perché l’antico monastero venne inghiottito nel terreno da una delle periodiche frane della zona e leggenda vuole che ci sia pure un enorme lupo a custodirlo. E qualcuno quel lupo lo ha anche visto.
Come intuibile dalla copertina, la vicenda per quanto solida passa spesso in secondo piano rispetto ai battibecchi della coppia di protagonisti, lui sportivo un po’ orso e lei modaiola estroversa. Con ogni probabilità la destinazione originaria era la serializzazione su rivista: certi misteri vengono risolti nell’arco di una pagina (aspettare una settimana o un mese dopo un cliffhanger dava una tensione che qui è assente) e l’azione procede spedita pur tra ellissi. Alcuni passaggi possono sembrare un po’ inverosimili o forse Pascal Roman procedeva senza avere ancora in mente l’esatto sviluppo della storia, comunque alla fine tout se tient: anche troppo, purtroppo, perché il finale risulta affrettato e viene risolto con un deus ex machina. Ma da una parte i protagonisti non sono degli eroi classici e dall’altra nel 1991 i volumi inseriti nelle collane consolidate (in questo caso Génération Dargaud) dovevano essere di 46 tavole, salvo poche eccezioni di certo non riservate agli esordienti. Un discreto rammarico, ma niente di drammatico, è l’uso occasionale dell’argot della zona, che probabilmente mi ha fatto perdere certe sfumature dei dialoghi – dialoghi peraltro molto divertenti.
È impressionante vedere questo sgorbietto sproporzionato sapendo che poi sarebbe diventato la bellissima Mirabelle, l’archetipo delle stupende donne di Felix Meynet – ma già dopo metà volume le sue gambe si allungheranno provvidenzialmente! Lo stile del disegnatore savoiardo presentava all’epoca dei contorni ben marcati e una grande cura per i dettagli, alternando un tratto morbido a un altro più squadrato ma sempre con uno stampo caricaturale. Un po’ Sandro Angiolini e un po’ Martin Veyron, se rendo l’idea. Una certa attenzione, sempre spostata sul caricaturale, viene riservata agli animali che popolano le montagne.
Che bello tornare a leggere una bella storia investigativa/avventurosa come si usava una volta, anche se virata sull’umoristico. E anche se Meynet avrebbe spiccato il volo alla grande solo dopo un altro po’ di rodaggio, era già gradevole all’epoca.
Se non sbaglio recentemente è uscita una ristampa di Le Trésor des Chartreux con una nuova copertina. Chissà se hanno anche modificato la rappresentazione di un infermiere di colore all’inizio dell’albo, ben poco politically correct.
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