Riprendo a leggere la saga delle Locas e, accidenti, non è facile raccapezzarcisi vista la quantità di personaggi e la strettissima correlazione che hanno tra di loro i singoli cicli. Come farà Jaime Hernandez a tenere conto di tutto il piano generale? Ci sarà poi un “piano generale” o naviga a vista? E nonostante questa raccolta sia intitolata a “Perla” (che poi sarebbe Maggie, come la chiamava suo padre che poi si risposò con un’altra donna) si perde in molteplici rivoli che sgorgano dalla trama principale. Anche se una trama principale in fondo non c’è e a voler proprio trovare un filo conduttore lo si potrebbe identificare nei tentativi infruttuosi di riavvicinarsi delle due amiche/amanti. Ma nel mentre succedono un sacco di altre cose.
La scena si sposta dalla California a una città non meglio specificata (io almeno non ho capito qual è) con i suoi abitanti ricchi e snob. Ma è solo l’inizio: Jaime Hernandez incuriosisce il lettore lasciando intendere che Maggie è tornata in città, eppure anche se se ne parla non la vediamo mai – se non nei flashback. La ricerca di Maggie da parte di Izzy sarà il leitmotiv del primo lungo ciclo di questi episodi, Wigwam Bam, insieme al mistero su chi effettivamente ha messo Hopey tra le persone scomparse sui cartoni del latte che avevano già fatto capolino nello scorso volume.
Nel frattempo Hopey vive un’esperienza surreale presso la magione di una vecchia diva della televisione e Maggie deve vedersela con una colossale wrestler innamorata di lei. La rediviva Danita (e chi si ricordava della sua esistenza?) va poi a vivere con Maggie e sua sorella Esther. E si riallacciano anche dei fili lasciati in sospeso sin dall’inizio della saga, quando aveva ancora un lato fantascientifico. Jaime si ritaglia anche lo spazio per omaggiare ogni tanto il lavoro del fratello Beto.
Più che Perla la Loca si può dire che la protagonista sia Perla l’allocca, che per risolvere i suoi problemi ne crea di ancora più gravi per se e per quelli che le stanno attorno, generando un vortice di situazioni incontrollate. Tanto ingarbugliata diventa la faccenda che lo stesso autore deve ricorrere al vecchio imbroglio di svelare che era tutto un sogno. No, non cade così in basso: era solo uno scherzo al lettore!
Lo stile di disegno di Jaime Hernandez si “asciuga” un pochino, per così dire, nel corso del fumetto, ma mantiene sempre la sua eleganza e la sua espressività. Il suo stile di narrazione ellittico e sincopato può lasciare a volte spaesati, ma ha il vantaggio di tenere il lettore incollato alle tavole richiedendo la giusta attenzione ai cambi di scena repentini e per ricostruire la cronologia di quanto mostrato in una stessa pagina.
Data la stratificazione di personaggi su personaggi e la complessità delle loro relazioni penso che sarà superfluo cercare di ricostruire tutto l’ordito della serie ma mi godrò i prossimi volumi così come verranno.
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