Cominciare a leggere una serie di Bilotta in medias res? E perché no, magari ci si capisce più che non altrove. Che poi non saremmo proprio in medias res perché, come evidente dal titolo e sempre che io abbia capito bene, con questo settimo volume inizia una nuova stagione o comunque si risolve una situazione che apre una nuova fase nella serie.
Alceste Santacroce, giornalista gossipparo, è poco più che un vegetale su una carrozzella dopo gli eventi degli scorsi numeri; leggendo nell’introduzione di Bilotta delle sue spericolate vicende giovanili da funambolo sui balconi pensavo per una caduta, ma non è così. L’impresa un po’ presuntuosa della resurrezione segue la sua progressiva guarigione tra fisioterapia, vernissage a lui dedicati, lettura di fumetti d’invenzione, visite a veggenti con aperitivo annesso, discoteche, ecc. Sempre con la sigaretta in bocca. Non mancano scenette molto divertenti nel loro cinismo.
A un terzo circa del volume si cambia tono: una volta rimessosi in piedi Alceste comincia a frequentare un gruppo di sostegno per persone che dopo gravi traumi hanno trovato Gesù. Ma ovviamente non è il misticismo quello che cerca: ha riconosciuto nei partecipanti una pornostar che ha scoperto la fede e che adesso potrebbe essere impantanata in un brutto giro, anticipazione di ulteriori sviluppi futuri.
Nonostante le tavole siano organizzate a blocchi di massimo sei vignette (e non manchino silenzi carichi di significato) Bilotta è riuscito a infilare un bel po’ di sostanza in queste 60 pagine. Contrariamente a quello che sospettavo, e che pareva essere riassunto dalla battuta di una comparsa («Ma dai! È Alceste… chi vuole impazzire a capirci qualcosa?!»), la storia è molto ben strutturata e perfettamente comprensibile, ben calibrata tra momenti descrittivi, umorismo (nerissimo, certo) e la mezza trama di detection di cui sopra.
Gerasi è sempre Gerasi, e anche se ha cercato le angolazioni più strane e ostentato certe deformazioni o volti lombrosiani non è riuscito a nascondere il suo talento. Unico appunto: forse ha scansionato direttamente le matite e così l’effetto dell’ombra sotto il mento dell’abbondante Megulia sembra una barbetta.
I colori di Adele Matera sono frastornanti come mi era già stato anticipato. Tanto per aumentare lo straniamento nel lettore certi contorni sono ripassati in bianco, ci sono figure geometriche sui punti di luce e anche dei fuori registro troppo marcati per non pensare che non siano voluti. Se l’obiettivo era quello di abbacinare e confondere il lettore mi pare che ci sia riuscita anche troppo bene.

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