Ed eccoci giunti al gran finale, in cui le conseguenze del furto dell’oro si manifestano con tutto il loro peso. Uno dei Merry Men perde al gioco e la rapidità con cui salda il debito insospettisce il capo della banda rivale dei Trogloditi che subodora il colpaccio che hanno fatto e li scova nella foresta per cercare di rapinarli, riuscendo se non altro a rapire la loro precettrice. Non solo: un giudice incaricato dalla Corona è giunto a Nottingham per indagare sui recenti fatti la cui eco ha raggiunto anche la corte del principe Giovanni. Poco male, anzi lo sceriffo giustiziere ne approfitta per escogitare un piano e liberarsi dei Trogloditi accusandoli del furto e stornando quindi i sospetti dai suoi allegri compagni della foresta. Ma se tutto andasse come previsto che gusto ci sarebbe per il lettore?
Oltre che per un ordito ben architettato e per la tensione costante che caratterizza tutto il volume, Robin si fa apprezzare per il finale tragico che comunque prelude inevitabilmente alla nascita della leggenda. Forse la storia si legge un po’ troppo rapidamente a causa del ritmo indemoniato che Brugeas e Herzet vi hanno profuso e della loro frequente scelta di lasciar parlare i disegni invece che dilungarsi in dialoghi, ma è un problema molto relativo che non impedirà certo al lettore di gustarsi con calma in un secondo momento le tavole di Dellac, a tratti caotico ma solo per la generosità con cui profonde tratteggi e dettagli (come di consueto i colori sono di Denis Bechu).
Quell’ipertrofia drammatica di stampo quasi supereroistico con cui i cugini d’Oltralpe hanno dovuto convivere sin dai tempi de Il Terzo Testamento è stata funzionale a servire una solidissima storia d’avventura con un assunto di partenza piuttosto originale. Per quanto non potrà forse annoverarsi tra i capolavori della Nona Arte, io ho trovato Nottingham un trittico molto piacevole e appassionante.

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