sabato 31 gennaio 2015

Secret Avengers: Salvare il mondo



Preso d’impulso, mi è piaciuto più di Moon Knight, che comunque allo stesso prezzo si presenta in una confezione cartonata.
Mi sembra che qui Warren Ellis abbia saputo trovare maggiori margini di originalità senza eccessivi riferimenti ad altre sue opere precedenti, così come mi sembra che questi sei episodi siano maggiormente connessi all’universo Marvel e quindi più rispettosi della materia trattata.
Da quello che ho capito (il volume raccoglie sei episodi di una serie già in corso) Capitan America ha dismesso il costume e insieme a un gruppetto mutevole ed eterogeneo di altri eroi mette in atto delle operazioni che devono rimanere segrete. Dietro alle missioni in cui si trovano coinvolti i Secret Avengers pare ci sia sempre, o almeno molto spesso, un qui non meglio approfondito “Consiglio Ombra”. Le premesse e alcuni spunti ricordano molto Planetary con questo Consiglio Ombra al posto dei Quattro, ma le analogie in realtà sono poche e le storie di questo volume hanno un taglio molto più supereroistico.
Sparando idee a raffica laddove altri sceneggiatori avrebbero stiracchiato il soggetto di un solo episodio per dodici numeri, Ellis offre tra le altre cose una divertente e originale storia sui viaggi nel tempo, il concetto di continuum accidentato, un’incredibile interpretazione sulla produzione di droga (beh, un po’ intravista in Planetary 21) e un inaspettato omaggio a Modesty Blaise. Il tutto condito da battute spettacolari e da una perfetta caratterizzazione dei personaggi. Forse il solo Capitan America rimane un pochino anonimo e poco approfondito, e al suo posto avrebbe potuto benissimo esserci Nick Fury o un altro personaggio.
Purtroppo a livello grafico Ellis non ha potuto contare su artisti alla sua stessa altezza. Per fortuna gli abissi di Kev Walker (non solo esteticamente soprassedibile ma purtroppo anche pessimo narratore) non sono eguagliati dagli altri, ma sia Alex Maleev che (mi costa dirlo) Stuart Immonen si sono espressi ben al di sotto delle loro prove abituali, così come Jamie McKelvie e Michael Lark mi sono sembrati fuori posto (troppo pulitino, a tratti cartoonesco, il primo; troppo espressionista e non leggibilissimo il secondo). Alla fine (anche questo mi costa dirlo) il migliore forse è stato l’artsy David Aja, rigoroso e molto efficace anche se mi vien voglia di prenderlo a sberle dal suo autocompiacimento nel voler dimostrarsi cool.

3 commenti:

  1. Avevo letto la run all'epoca in cui fu serializzata sul mensile, non male le idee di Ellis sempre fuori dal coro, come struttura narrativa mi aveva ricordato un poco il suo Global Frequency, ora però sto andando parecchio a memoria.

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    1. Credo che quando si legge una raccolta di short stories di Ellis sia inevitabile riandare con la memoria a Global Frequency, Planetary e Fell. A me ha ricordato di più Planetary perché c'è una maggiore coesione (più o meno gli stessi protagonisti in ogni episodio) e anche perché la città sotterranea del primo numero mi ha ricordato la città zero della scienza.

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  2. Anch'io avevo letto i primi episodi sul mensile. Ricordo delle buone idee, ma dei persopnaggi un po' moscetti.
    E lascialo perdere, David Aja, poveretto :) Che almeno lui si diverte e cerca di divertire anche il lettore (mettendoci impegno). E da alcune interviste lette in rete, sembra pure non tirarsela per nulla. Sembra.

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