Odio i fumetti che sono il resoconto di vicende personali.
Odio i fumetti che a causa dell’assunto di cui sopra si limitano a
illustrare un testo fatto solo di didascalie.
Odio i fumetti che in virtù dei due assunti di cui sopra lasciano l’aspetto
grafico in secondo piano.
Eppure Tortas fritas de Polenta
mi è piaciuto.
Pubblicato originariamente sulla nuova Fierro
e riprosto oggi in volume da LaDuendes,
nasce come raccolta dei ricordi di guerra (la “guerra sporca”, quella delle
Malvinas/Falklands) di Ariel Martinelli, illustrati da Adolfo Bayúgar.
La vicenda prende inizio dal 1981 dopo una breve scena ambientata cinque
anni prima. La dittatura di Videla non è mai stata così salda al potere ma il
giovane Ariel sembra vivere quel periodo con la spensieratezza dei vent’anni e
dopotutto da quando ha raggiunto l’età della ragione non ha conosciuto altro.
Non mancano improvvisate dei militari nell’Istituto Tecnico dove studia, ma
anche il momento della leva obbligatoria viene ricordato con levità, anzi
decisamente con piacere.
Poi scoppia la guerra delle Malvinas.
Significativamente, il capitolo con cui comincia la vicenda bellica si
intitola La Fiesta. Ma dura solo
cinque pagine per lasciare spazio alla cruda realtà della guerra in cui si
risvegliano i giovani soldati il 1 maggio del 1982 con un bombardamento aereo
inglese.
Il rigore documentaristico con cui vengono raccontate le condizioni della
vita nei “pozos” scavati in quella terra inospitale e brulla è sempre
accompagnato da una carica emotiva coinvolgente che riesce a non diventare mai
patetica. Il freddo e la fame vengono evocati con un’efficacia notevole e non
risulta affatto incredibile che nel resoconto di Martinelli una battaglia
durata (dati alla mano) 3 giorni si dilati nel ricordo come se ne fosse durata
20.
Ai disegni Bayúgar sfodera uno stile dalle campiture bianche e nere
nettissime, in cui mi sembra evidente l’ispirazione ad Alberto Breccia. Paradossalmente
la qualità di stampa (su bella carta patinata) finisce per penalizzare un po’
la resa del fumetto visto che la divisione tra bianchi e neri non è sempre
nettissima ma si colgono le sfumature della tempera bianca usata per tirare
fuori i fumi delle esplosioni, le nuvole e altri dettagli.
Ah, comunque all’inizio ho esagerato: in Tortas fritas de Polenta non è che ci siano solo didascalie ma
anche molti bei dialoghi. E la struggente scena finale dell’epilogo è
interamente muta.
Odio i delatori / E le spie di Soweto / Che ti marchiano la porta
RispondiEliminaCon un simbolo segreto ( Eugenio Finardi )
Io li odio i nazisti dell'Illinois (Jake "Joliet" Blues )
Ne parlavo qualche gg fa con Warren Ellis che sta meditando sulla possibilità di scrivere una striscia ( " mi manca tanto Charlie Brown che guarda il lettore nella terza o quarta vignetta e snocciola il suo bitter fruit " ) su di un bambino ipertricotico e con la barba ( il Bardo di Northampton è sempre nei suoi pensieri da quando anni fa dichiarò in una intervista che Warren ne era l'erede ) che guarda il lettore e gli spiega che odia i nazisti che pittano con inchiostro simpatico tutte le porte di modo che il giorno dopo il ragazzo dei quotidiani si dimentichi di passare di lì e quindi ciao ciao Dilbert ciao ciao Opus ciao ciao Calvin & Hobbes. Io ho obiettato che alcune di quelle strisce non escono più da anni, ma è stato un errore perchè Warren ha attaccato con la sua idea di un universo-tasca in cui finiscono tutte le pagine sindacate retto da un tiranno che assomiglia al Sappo di Segar - e forse lo è - in lotta perpetua con il Sea Gar ( Grand Army of the Republic ) , posse di zombies tutti uguali a Lovecraft ed anfibi come certe delle sue creature di incubo. O una cosa così. Devo ricordarmi di nascondere la doppio malto quando passa a trovarmi. E' uscito ridacchiando come una scolaretta all'idea di Bel Templesmith che disegnava una tonnellata di licantropi bimbi in piano americano che declamano I hate something. Bastardo. Era riuscito a migliorarne lo storyteller con la breve serie di Fell e ora vuole imporgli un downgrade ai tempi di Hellspawn !