La storia si svolge a Gotham City nel 1961. La città è prospera e moderna, ha un tasso di criminalità ridicolmente basso e guarda con ottimismo al futuro anche se gli abitanti neri della parte sud non sono poi così fiduciosi nel progresso che dovrebbe portare il nuovo fabbricato che Richard Bruce Wayne costruirà in loco – non è il padre di Batman ma il nonno. Un mistero scuote la vita degli Wayne e l’opinione pubblica: la rampolla Helen, “Principessa di Gotham”, non viene mostrata in pubblico da oltre un mese e si sussurra che sia vittima di qualche malformazione. Niente di tutto ciò: una donna di colore, Sue, si rivolge al detective Sam “Slam” Bradley per recapitare una lettera ai magnati locali e qui scopriamo che l’infante è stata rapita. A chiedere il riscatto è un anonimo che si firma col simbolo stilizzato di un pipistrello. E così Slam indaga, tra false piste e sordidi intrighi e voltafaccia e una città che sta per esplodere. L’identità del rapitore mi è sembrata inizialmente inverosimile, ma è perfettamente giustificata. La banalità del male… comunque verso la fine c’è un ulteriore colpo di scena. E poi la sottotrama del passato di Slam è altrettanto se non più interessante.
Sam Bradley è un altro recupero d’annata, filtrato attraverso la scuola hard boiled che gli fa dire e pensare battute gustosissime. Incredibile come Tom King riesca a inventarsi qualcosa di nuovo anche in un contesto così abusato. Ovviamente la storia sarà strapiena di riferimenti che non ho colto, in primis alla Corte dei Gufi, ma la cosa non mi ha impedito di godermi questa bella, anche se un po’ arzigogolata, storia. Anzi: meglio non aver colto questi riferimenti, perché già l’ossessiva abitudine di chiamare le vie coi nomi degli autori di Batman alla fine diventa stucchevole.
Tutto oro quello che luccica? Eh, magari. Si può anche soprassedere sulle sovrumane capacità di recupero di Sam Bradley, che viene costantemente picchiato ma poi ha la meglio anche nelle situazioni più disperate (è un topos del genere, no? Vedi Frank Miller…) ma i disegni di Phil Hester, inchiostrati da Eric Gapstur, non sono il massimo. Hanno sicuramente una loro spigolosa e squadrata personalità, ma oltre a non essere poi questo granché mi sembrano più adatti per la pubblicità di un night club o l’etichetta di un whisky che per un fumetto – e nemmeno per le sue copertine. Non si possono certo definire brutti, ma l’estrema stilizzazione dopo un po’ stufa e sembra forzata; le donne, poi, sono disegnate tutte uguali e il colorista Jordie Bellaire deve fare tutto quello che può (cioè non molto) per far capire al lettore chi è di scena in quel momento viste le diverse etnie coinvolte. Ho anche qualche dubbio su alcuni elementi del vestiario (in particolare le scarpe) che non mi sembrano molto coerenti con gli anni ’60. Sì, è un noir: il testo riveste un ruolo preponderante e ci sono momenti in cui si potrebbero anche leggere didascalie e dialoghi ignorando del tutto i disegni, ma sarebbe comunque stato meglio che ad accompagnare un testo così valido ci fossero dei disegni allo stesso livello.
Slam Bradley era stato riscoperto nella run inizio secolo in corso da Ed Brubaker nel suo rilancio di Catwoman. Il maturo investigatore ha avuto una relazione con Selina in quelle storie disegnate con stile cartoon dallo scomparso Darwyn Crooke ed inchiostrate da Mike Allred. Storie noir che arrivavano dopo parecchi anni di Jim Balent in puro stile anni novanta. La Corte dei Gufi è una creazione relativamente recente - run di Snyder e Capullo x Bats - ma non ho letto quelle storie e non conosco i personaggi. Phil Hester disegnava in modo molto + istintivo e sketchy ( vedi Swamp Thing di Morrison e Millar) poi ha scoperto Sal Buscema e dal Green Arrow rilanciato da Kevin Smith nel 2001 ha cominciato a disegnare con il tratto che ti perplime.
RispondiElimina