domenica 4 maggio 2025

Babbo, dove sei?

Non una storia a fumetti ma una raccolta di ricordi e aneddoti sul padre scultore, Quinto Ghermandi. Praticamente la mia kryptonite, ma con un lavoro vagamente simile di Silvia Ziche mi era andata bene, no? E una chance alla brava Francesca Ghermandi la do volentieri. Alla fine questo volume mi ha convinto a metà, ma non per i motivi che avrei immaginato.

La “storia” è programmaticamente frammentaria e i ricordi (numerati) si susseguono saltando di palo in frasca. È una frammentarietà frenetica e gioiosa, con personaggi e tormentoni che riaffiorano di tanto in tanto nella vita dell’“Elefante”, uno dei soprannomi del padre, che dopo l’infarto (o ictus) verrà disegnato in maniera asimmetrica per rappresentarne la paralisi parziale. La Ghermandi mette però su carta anche i drammi che ha vissuto, principalmente la morte della sorella. Al di là di questo le situazioni imbarazzanti o dolenti che ha vissuto coi suoi familiari o per loro tramite non mi sembra che facciano trasparire del risentimento quanto un distacco che filtrato attraverso gli occhi della maturità produce anche una gustosa ironia. Babbo, dove sei? offre anche uno spaccato sull’evoluzione della società italiana e qualche sguardo inedito su alcuni importanti artisti e critici del secondo ’900 (il Museo Civico di Trieste è però il Revoltella, non «Revolterra»). E l’aneddoto di come i Ghermandi fecero fortuna nell’800 meriterebbe di diventare a sua volta un fumetto. Per gli appassionati le rare comparsate di altri fumettisti sono poi una goduria. Nelle ultime pagine viene presentata una selezione di opere del Ghermandi ridisegnate dalla figlia per rendere giustizia alla sua arte su cui l’autrice sostiene di non si essersi soffermata a sufficienza prima, mentre un «indice cronologico» in appendice ripercorre le tappe più importanti della sua vita di uomo e artista, puntellate da disegni e fumetti presi ad hoc dal resto del volume. Insomma, come testi il volume coinvolge e appassiona.

Purtroppo la parte grafica è distante dalle ottime prove per cui ricordavo la Ghermandi, quella sua morbidezza modulata che però aveva nei suoi personaggi graziosamente deformi qualcosa di perturbante. Ogni tanto fa ancora capolino (vedi la copertina e la prima tavola) ma lo stile dominante è lo schizzo rapido quanto più impreciso possibile, talvolta ottenuto ricalcando vecchie foto o anche fonti scritte. Una scelta che forse vuole trasmettere l’impressione di una immediatezza senza filtri, ma che finisce per risultare affrettata e appunto imprecisa, pur se un po’ di dinamismo e una certa espressività ci sono ancora.

Data la situazione internazionale del fumetto non avrei certo preteso un altro Joe Indiana e capisco che 200 tavole non sono uno scherzo da disegnare, ma anche Cronache dalla Palude era bello lungo eppure portava ancora l’impronta dell’autrice. Poco male, comunque: immagino che anche questo volume avrà il suo pubblico tra quelli che amano “emozionarsi” spiando la vita degli altri.

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