Molto simpatica l’idea che ha avuto Kurt Busiek. Nel mondo reale, in un paesino del Kansas, i coniugi Kent hanno deciso di chiamare il loro figlio Clark in omaggio all’identità segreta del Superman dei fumetti, condizionandone così la vita tra costanti ammiccamenti se non vere e proprie prese in giro che sfociano nel bullismo, a cui ormai da adolescente ha quasi fatto il callo passando dal fastidio a un tentativo di indifferenza.
Ora, non è che mi aspettassi un Boyhood o un White Oleander a fumetti, ma il realismo della storia evapora dopo una decina di pagine quando Clark scopre di avere effettivamente i poteri di Superman – o giù di lì. Comunque Busiek riesce a mantenere una parvenza di verosimiglianza anche in questo contesto fantastico: la vista a raggi-x, ad esempio, funziona anche per vedere le compagne di classe nude.
Per fare del bene alla comunità ma soprattutto per impressionare la ragazza di cui è infatuato Clark decide di rivelare i suoi poteri alla locale fiera di Halloween ma desiste quando si accorge di essere stato manipolato da una giornalista in cerca di scoop (altra trovata molto buona di Busiek). Poco importa: continuerà a fare le cose che fa di solito Superman e continuerà a farle vestito proprio come lui, tanto se il sopravvissuto a un deragliamento o a un tornado dirà di essere stato salvato da un tizio in calzamaglia blu nessuno gli crederà. La doppia vita di Clark Kent procede quindi placida e abbastanza felice a New York dove trova anche l’amore oltre che un lavoro. Proprio come il suo omonimo fa il giornalista ma alla sua caposervizio, che lo rimprovera per la mancanza di sentimento nei suoi pezzi, rivela ingenuamente che il suo vero obiettivo è scrivere libri; ci riuscirà e i suoi saggi otterranno un grande successo.
Unica nota stonata nella sua vita, la costante presenza di agenti governativi che vogliono catturarlo e studiarlo. E in un’occasione ci riescono pure (quel furbastro di Busiek fa usare loro delle armi che lanciano scariche elettriche, in modo che il costume da Superman non si rovini troppo come sarebbe logico). E così Clark scoprirà l’esistenza di un esperimento o forse di qualche fenomeno alieno o paranormale di cui gli “uomini in nero” sono a conoscenza o forse sono proprio la causa scatenante. L’origine dei suoi poteri non viene mai esplicitata del tutto anche se ci sono degli indizi, e mi pare un’ottima idea. Alla fine Clark impone un compromesso per cui interverrà in caso di necessità purché la sua privacy non venga violata.
In Identità Segreta non ci sono scontri con mostri o villain, non ci sono catastrofi o apocalissi imminenti e la trama procede lineare senza colpi di scena o rivelazioni o tradimenti o conflitti, o perlomeno nulla che non fosse intuibile o modifichi lo status quo. Per dirla alla Seymour Chatman, Busiek sembra prediligere il «discorso» alla «storia» tanto più che la narrazione è affidata principalmente alle didascalie che sono il diario che Clark tiene sin da bambino. Eppure la lettura scorre molto veloce e piacevole, anche grazie ai bei personaggi che entrano in scena e alle battute divertenti che fioccano qua e là. Sì, immagino che ci siano anche molte citazioni alla cosmologia di Superman, ma anche se non le ho colte mi sono divertito lo stesso. Sarebbe bello che Busiek avesse avuto la primazia dei fumetti di supereroi “abbastanza realistici” ma Straczynski lo ha anticipato con Rising Stars e Supreme Power che, per quanto siano attendibili le informazioni che si trovano in rete, risalgono rispettivamente al 1999 e al 2003 mentre Identità Segreta è del 2004.
Stuart Immonen (che fine ha fatto, a proposito?) non soddisfa invece le mie aspettative, almeno non del tutto. È sempre bravo, non si discute, ma da quello che posso vedere ha scansionato le matite senza inchiostrarle, rendendo le immagini poco incise, a volte quasi eteree. Ha poi optato spesso per una specie di non finito michelangiolesco che non porta a un completamente amodale in cui i dettagli vengono evidenziati ma al contrario si perdono. I colori digitali dati dallo stesso Immonen in maniera geometricamente contrastata contribuiscono alla nebulosità del tutto, e non è un problema delle limitazioni tecniche dell’epoca perché da quel che ho visto di Immonen il suo stile di colorazione è proprio questo, solo che qui è esageratamente schematico. Inoltre ha fatto massicciamente ricorso a fotografie e non sempre ha trovato le espressioni e le pose giuste. Tra l’altro la storia si sviluppa in un arco di parecchi anni (direi una quarantina) ma Immonen non fa invecchiare i protagonisti, quelli principali almeno, anche se questi fanno battute al riguardo. A leggere tutte queste osservazioni può sembrare che Immonen non abbia fatto un buon lavoro, invece è anche qui piacevole da vedere e funzionale alla narrazione, solo che un altro approccio avrebbe reso Identità Segreta ancora migliore.
Ah, ovviamente lo so che anche Robin Wood aveva chiamato Clark Kent uno dei personaggi di una storia di Martin Hel.

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