Più che altrove ho notato in queste storie una maggiore articolazione e una tendenza più marcata al colpo di scena, quindi nascondo le parti più sensibili e chi vuole leggerle lo faccia a suo rischio e pericolo.
Il meraviglioso futuro che non c’è mai stato: uno scienziato di fine ’800 psicanalizza l’androide che ha costruito e favoleggia sul futuro radioso che un suo sogno preannuncia all’umanità. Originale e pervaso da un pessimismo che ne esalta l’amarezza.
Edizione straordinaria: una partita di calcio viene interrotta da una breaking news proprio nel momento cruciale di un rigore, per documentare la frenetica attesa per l’uscita del nuovo libro di Murakami. Ma è solo uno scherzo (amaro e rassegnato: interrompere il calcio per la cultura? Giammai!) dell’ormai familiare giornalista Eliza Kazan.
Doppelgänger: variazione sul tema del doppio, solo che qui di doppi ce ne sono troppi! Simpatico.
Il cadavere ingombrante: apparentemente sembrerebbe ispirarsi a Il Cuore Rivelatore di Poe, ma in realtà è una storia virata di più sul surreale e l’onirico. Molto carina.
La piccola Sally e la giustizia: la ragazza a cui è intitolata la storia è contemporaneamente un fulgido esempio di bontà e la vittima di un mondo crudele che richiede sforzi immani per procurarsi le cure per i parenti malati. Una notte sente dei passi che la inseguono: inutile tentare di fuggire, capisce che è predestinata. La morale della storia ce la dice il mostro che la ucciderà.
Variazione sulla macchina del tempo: il titolo dice tutto. Interessante però come in sole quattro pagine partendo da basi scientifiche e attraversando un disagio esistenziale si finisca con dello humour nerissimo che mi ha strappato una bella risata.
Scendendo: un giovane impiegato incappa nella collega di cui è innamorato e coglie l’occasione offerta dall’ascensore occupato per scendere le scale con lei. Solo che queste benedette scale non finiscono mai e sembrano scendere all’infinito, mentre in sottofondo si sente ogni tanto un rumore metallico e le porte d’accesso ai piani spariscono nel nulla. Tornare sui propri passi non serve che a ingarbugliare ulteriormente la matassa. La vicenda è molto intrigante ma purtroppo quando alla fine i due arriveranno nell’enorme stanza in cui si muovono gli ingranaggi (del palazzo o di tutto l’universo?) la storia rimarrà sospesa come la loro decisione se rimettere o no a posto il perno che facendo uscire dalla sua sede un ingranaggio ha causato questa situazione. Stavolta niente battuta fulminante risolutiva, quindi, ma forse una disquisizione sul libero arbitrio (servita però all’interno di un contesto molto suggestivo).
L’apparenza: fulminante boutade interamente muta in cui, se ho capito bene, non è presente tanto una critica all’urgenza borghese di ostentare che tutto va bene quanto un puro orrore sovrannaturale.
Così d’istinto direi che questo è il miglior numero della serie letto finora, oltretutto reso splendidamente dalle eccezionali tavole di Davide Furnò, che per i colori ha avuto il supporto di Giulia Brusco.

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