Oh, come sono malfidato. Non avrei mai pensato che quel «fin du prémier cycle» in calce all’ultimo volume del Lama Bianco, che avevo comprato in francese perché Paganelli arrivò a pubblicarne solo quattro su sei, significasse che la saga avesse effettivamente avuto un seguito. O meglio “avrebbe avuto”, giacché questa trilogia sarebbe cominciata solo nel 2014 quindi dopo che io mi ero procurato i due volumi originali mancati. Credo. Ma comunque.
L’azione inizia nel 1950: la Rivoluzione Culturale di Mao giunge con soldati e carri armati anche in Tibet e con il pretesto della ricerca di un fantomatico esercito di cospiratori stranieri il generale Lao ne approfitta per andare a caccia delle ricchezze che si nasconderebbero nella regione.
Messi a ferro e fuoco villaggi e templi, quattro vecchie conoscenze (io no ho riconosciute due) cercano l’aiuto del Lama Bianco ma vengono raggiunti da un’altra vecchia conoscenza, il Signore dei Gatti Lin-Fa: sarà lui a condurli da Gabriel Marpa. Nel lungo e difficoltoso cammino i monaci incappano anche in un gruppo di nazisti che sta cercando qualcosa in un tempio, sicuro anticipo di cose a venire. E intanto due monache stuprate dai soldati maoisti sono riuscite e fuggire ma sperdute tra i ghiacci vengono salvate dagli yeti e scoprono di essere incinte.
Il protagonista non compare che a due terzi del volume e poco prima della fine si dissolve per reincarnarsi in un nuovo corpo meticcio. Guarda caso, le due monache hanno partorito un maschio e una femmina e così stavolta il Lama Bianco si incarna in due persone distinte. O così ho capito.
Questo è il Jodorowsky post-Avant l’Incal che si era incamminato con decisione verso il grandguignolesco. Quindi stupri, torture, mutilazioni, ecc. Ciò detto, la storia non manca di ironia e soprattutto si legge che è un piacere, con un ritmo incalzante, ostacoli e prove ben architettati (e spesso trovate originali per superarli), grande fascino esotico unito a quella che sembra una ricostruzione molto accurata dell’ambientazione e dell’epoca descritte. In particolare, la scena iniziale con lo scontro non solo fisico tra il nuovo mondo cinese e quello ancestrale tibetano è suggestivo e carico di tensione. E la tensione (o almeno la curiosità) c’è anche nell’immaginare cos’è quella minaccia per il mondo intero che il Lama Bianco ha pronosticato si concretizzerà tra vent’anni. Mossa intelligente da parte di Jodorowsky: visto che la Storia è già scritta e il Tibet cadrà in mano cinese, almeno una minaccia d’invenzione che si può ancora fermare potrà offrire dei margini di manovra ai protagonisti.
Georges Bess è ancora dignitoso ma ha perso smalto, o forse ha scelto consapevolmente di mettere da parte la gradevolezza in favore della funzionalità, manco le due cose fossero in antitesi. I suoi disegni si sono semplificati, così come anche i colori che ha realizzato personalmente non sono così curati come quelli dell’esalogia originale. Il risultato si lascia leggere pur con la perplessità per il ricorso occasionale alla scorciatoia del caricaturale.
Una curiosità: Brontis Jodorowsky si è occupato della «traduction», qualsiasi cosa fosse.

L'hanno pubblicato anche in Italia qualche mese fa appena
RispondiEliminaQua son sempre l'ultimo a sapere le cose.
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