Kyle Barnes è una calamita per la sfiga: sopravvissuto a una terribile
infanzia violenta grazie al suo potere di praticare esorcismi, diventa un
reietto a causa di quello stesso potere che lo ha portato a compiere azioni
apparentemente riprovevoli – vallo a spiegare a tuo cognato poliziotto che non hai
picchiato tua moglie e tua figlia ma i demoni che le possedevano. Con estrema
riluttanza e minimizzando le sue stesse capacità paranormali, Kyle aiuta il
reverendo Anderson quando si presentano nuovi casi di possessione demoniaca,
che in questo universo narrativo non sembrano rari.
Kyle non si è comunque meritato l’appellativo di reietto («Outcast»,
appunto) a causa del suo comportamento antisociale ma perché così lo
definiscono alcune delle entità con cui è venuto in contatto.
Mentre cominciamo a conoscere i protagonisti della serie e l’ambientazione
in cui si muovono, un personaggio inquietante si fa vivo in chiesa e comincia a
gironzolare intorno al protagonista e ai suoi cari.
Outcast è una serie originale e molto ben scritta,
forse addirittura troppo ben scritta,
come se si trattasse solo della prova generale per una serie televisiva di cui
effettivamente riprende il ritmo, oltre a presentare alcune soluzioni narrative
che sembrano pensate proprio per la traduzione da un medium all’altro, come le
panoramiche seguite da dettagli chiarificatori. Ma forse sono stato influenzato
in questo parere dall’editoriale trionfalistico in cui si esalta il successo di
Kirkman, The Walking Dead,
trasformato in telefilm.
Il disegnatore Paul Azaceta è veramente molto bravo. Batte la stessa
bandiera espressionista di Michael Lark ma è molto più rigoroso, dettagliato ed
espressivo basandosi con ogni probabilità su una massiccia documentazione
fotografica. Come pegno per la pubblicazione in formato bonelliano, unico che
evidentemente può attirare un pubblico diverso dai soliti appassionati, la saldaPress ha pubblicato Outcast in
bianco e nero. Come spiegato negli editoriali posti in appendice non si è
trattato di una semplice riduzione in scala di grigi ma di un lavoro di cesello
fatto dallo stesso Azaceta per meglio guidare il lettore e far risaltare i
disegni. Sarà, ma in qualche occasione la mancanza del colore io l’ho
avvertita, ad esempio quando ci sono degli stacchi su una stessa immagine
riproposta in flashback. In ogni caso niente di drammatico, anche se il
pensiero va all’Aurea e alla Cosmo che effettivamente malgrado il formato
bonelliano pubblicano comunque dei fumetti a colori (Ristampa Dago e una delle serie colorate, vatti a ricordare quale).
Nonostante i notevoli punti di forza che ho segnalato sopra non so se
seguirò Outcast. Mi sembra che anche
qui Kirkman riveli gli stessi difetti che ho riscontrato in The Walking Dead e che mi hanno fatto
desistere dal proseguire (difetti che magari per qualcuno sono i suoi punti di
forza): molti dialoghi sembrano artefatti, poco naturali, e la storia sembra
dipanarsi con una lentezza eccessiva per i miei gusti.
Ma da qua a maggio chissà quante volte cambierò idea.
Letto il primo numero e apprezzato, per ora continuerò, più avanti si vedrà...
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