Sapevo che difficilmente gli
altri libri della collana MiDi – Fumetti per il Sud sarebbero stati allo stesso
livello de Le Leonesse di Monteleone
ma ho voluto dare comunque una chance a quelli che mi sembravano rientrare di
più nelle mie corde. Attirato dalla sua copertina vagamente mattottiana, ho
ordinato quindi anche Il Punto di Vista
degli Ulivi ed effettivamente, per quanto sia comunque una lettura
gradevole, non è stato entusiasmante.
Nel volume sono raccolte quattro
storie brevi, introdotte da una prefazione redatta in prima persona da un ulivo
che vanifica la sua originalità rivelandosi alla fine un panegirico sul lavoro
svolto dal progetto della Comune Urupia. Non metto in dubbio la validità
dell’operato della Comune ma, accidenti, sembra proprio uno spot pubblicitario.
I quattro racconti non hanno un
titolo ma sono introdotti da una pietra miliare (dietro cui svetta un ulivo,
elemento ricorrente di tutte le storie) che riporta il millennio in cui sono
ambientati. Il primo è probabilmente la trasposizione di una leggenda locale:
dei pastori Messapi sperano di intrattenersi con delle donne (o forse sono
delle ninfe?) dopo averle sconfitte in una gara di ballo ma, senza rivelare il
finale, «volevano suonare e sono stati suonati». Il secondo racconto è
ambientato intorno all’anno Mille e mostra la caparbietà dei pugliesi sopravvissuti
all’assalto dei saraceni grazie agli ulivi: ricostruiranno la loro città
devastata, ma non viene specificato di quale città si trattasse. Nel terzo
racconto viene riassunta la dura vita dei braccianti nel periodo immediatamente
successivo alla Prima Guerra Mondiale e la loro decisione di riunirsi in una
lega comune. Il quarto è ambientato nel futuro e ha un approccio didascalico
(sin troppo marcato), con cui vengono denunciati i mezzi tramite cui vennero
depauperati gli uliveti pugliesi in favore di un facile guadagno, ricorrendo
anche a un’informazione falsa e pilotata; nel XXX millennio, comunque, c’è ancora
posto per la speranza.
Il poco spazio a disposizione
permette allo sceneggiatore Marco Gastoni, lo stesso de Le Leonesse di Monteleone,
di sviluppare compiutamente solo la prima e l’ultima storia, mentre le altre
due sembrano più che altro dei prologhi. Il risultato è comunque
sufficientemente evocativo e immagino fosse questa la volontà dell’autore.
Per quel che riguarda i disegni,
di mattottiano Nicola Gobbi ha effettivamente ben poco. Dal gusto sketchy e un caricaturale, non rende
affatto bene il contesto della prima storia, che avrebbe richiesto un maggiore rigore
anatomico. Dalla seconda in poi, però, le cose cambiano perché le vicende si
basano molto sull’atmosfera e Gobbi si prodiga nell’accumulo di tratteggi che
rendono bene il senso di oppressione o pericolo che vivono i protagonisti.
L’ultima storia è un po’ a metà strada tra questi due estremi (e probabilmente Gobbi
avrebbe dovuto diversificare di più i personaggi) ma comunque il risultato è
dignitoso, tanto più che per rimarcarne la natura fantascientifica ha fatto
ricorso ai retini. In generale, non male i colori.
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