…della collana di Integrali
dedicata a Barbarossa, intendo. Anzi,
se non avessero citato futuri chiarimenti sulla sorte delle sceneggiature
post-Charlier, avrei pensato che sarebbe già arrivata adesso.
In questo nono volume, ultimo a
vantare testi interamente realizzati da Jean-Michel Charlier, si respira
l’atmosfera avventurosa più classica, che doveva sembrare sorpassata già
all’epoca della prima pubblicazione, cioè nei primi anni ’80. I personaggi si
salvano contro ogni logica usando espedienti poco verosimili anche se a volte
banali, e giustamente si dilungano a spiegare perché fanno una cosa piuttosto
che un’altra a tutto vantaggio del lettore più sprovveduto.
Eppure, se si accetta di stare al
gioco, la lettura è appassionante come non mai. Di certo anche l’ambientazione
così suggestiva (una città azteca nascosta nello Yucatan) contribuisce a
coinvolgere e ad affascinare. Il caso ha voluto che la prima dozzina di tavole
del primo episodio qui raccolto e le ultime sei del terzo fossero le più deboli
(un po’ inverosimili le prime, sbrigative e affastellate le seconde),
costituendo quindi una cornice che valorizza tutto quello che c’è in mezzo
rendendolo ancora più affascinante. La lunga sequenza della trappola nel
complesso sotterraneo lascia veramente col fiato sospeso!
Graficamente siamo ben lontani
dai fasti del grande Patrice Pellerin,
visto che a Christian Gaty venne imposto di imitare lo stile di Jijé, autore
col figlio Lorg dei due episodi precedenti e delle prime otto tavole del primo
qui raccolto. A vedere a confronto le tavole di prova del solo Lorg con quelle
definitive di Gaty mi sembra evidente come sia stato preferibile affidare la
realizzazione della serie al secondo dopo la scomparsa di Jijé.
Ciò detto, il dinamismo di Gaty è
senz’altro piacevole e gli va riconosciuta la grande professionalità di aver
accettato di modificare il suo stile dopo decenni di onorata professione per
venire incontro alle esigenze editoriali. Da una tavola riprodotta nei
redazionali d’apertura (ricchissimi come sempre) si intuisce come probabilmente
lo stile originario di Gaty fosse più realistico, per quanto forse anche più
anonimo. Sicuramente il lavoro dell’anonimo colorista è stato molto efficace
nell’assecondare i punti di forza del disegno senza coprirlo come avvenne
invece nel caso di Pellerin, per quanto i colori del suo secondo episodio li
avesse dati lui in prima persona.
Lode alla Nona Arte per aver
portato in Italia questa collana, che evidentemente non deve andare male visto
che sono già arrivati al nono volume. E in fumetteria ho pure trovato a
sorpresa il secondo di Alix.
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