Il viaggio alla ricerca
dell’America sotterranea arriva a un punto fondamentale e rende
progressivamente Robert Black confuso, affranto e sconvolto. E con lui il
lettore.
Providence manifesta in tutta la sua austerità la propria natura di
opera complessa e sofisticata, la cui lettura è diventata ormai piuttosto
ostica. Non mi riferisco tanto alle molteplici citazioni o alla sovrabbondanza
di solo testo scritto (che comunque in questi episodi ha sfiorato le venti
pagine per capitolo) quanto agli argomenti e agli espedienti introdotti da Alan
Moore. Nel primo episodio ci troviamo forse in un sogno dentro a un sogno
dentro a un sogno, e in quello stesso capitolo il tessuto del tempo diventa
malleabile e inaffidabile, facendo perdere al protagonista e al lettore il senso
dell’orientamento. Lo so che alla fine Alan Moore riuscirà a tirare le somme di
tutto, ma per il momento riuscire a raccapezzarci è una bella sfida.
Assolutamente indispensabile
leggere le parti scritte (in cui troviamo finalmente una prima parte del famoso
romanzo che Black dovrebbe scrivere!), così da capire ad esempio cosa abbia
fatto il protagonista prima di incontrare Elspeth e soprattutto come sia
arrivato a Boston, oltre ovviamente ad avere dei dettagli aggiuntivi sui
pensieri e le motivazioni del protagonista. Per il resto, anche le parti a
fumetti sono piene di doppi sensi e allegorie testuali quindi non sono meno
ostiche delle pagine solamente scritte; e continua il giochetto di Moore col
lettore… c’erano veramente i buchi e i fogli di giornale per riempirli nella
casa di Goffs Falls? Dove ha lasciato Black il suo soprabito? In alcuni casi
bisogna pure riprendere in mano il primo volume se si vuole controllare.
Tanta austerità e pretese
letterarie non escludono comunque un lato umoristico (credo ad esempio che
Moore abbia voluto giocare sull’equivoco che si genera coi suoi ospiti iniziali
in quanto reanimators e non
omosessuali) e una vena romantica (il ghoul
che spiega a Black l’utilità di ogni vita, anche della più desolata).
Ci stiamo comunque avvicinando al
bandolo della matassa e il rassicurante ultimo capitolo che mette in
prospettiva quanto letto in precedenza (ma chi ci crede…) assomiglia tanto alla
quiete, peraltro assai relativa, prima della tempesta.
Burrows si mantiene sugli stessi livelli precedenti,
senza alcun guizzo che lo faccia emergere ma privilegiando uno stile misurato
che a volte arriva anche a essere piuttosto elegante. Si conferma molto bravo a
disegnare le scene di massa. Ma tutto sommato i disegni sono la cosa meno
importante di Providence e il bardo
di Northampton sembra sottolinearlo dando molto più spazio alla parte puramente
letteraria dell’opera. Sperando che, nonostante i vari indizi disseminati da
Moore, Providence non si concluda alla
stessa maniera di Neonomicon,
possibilità paventata anche da Antonio Solinas nella sua illuminante e
approfondita appendice.
Se nel volume precedente mi era
venuto il dubbio che la Panini avesse tagliato l’ultima parte del diario di
Black, qui viene riportato per due volte lo stesso testo come citazione
conclusiva ai primi due capitoli. Ma anche in questo caso probabilmente non è
un errore perché i due episodi si svolgono nella stessa località e tutto
sommato la ripetizione ha un effetto ipnotico che ben si adatta all’atmosfera
straniante di quei capitoli.
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