domenica 10 luglio 2016

Providence 2

Il viaggio alla ricerca dell’America sotterranea arriva a un punto fondamentale e rende progressivamente Robert Black confuso, affranto e sconvolto. E con lui il lettore.
Providence manifesta in tutta la sua austerità la propria natura di opera complessa e sofisticata, la cui lettura è diventata ormai piuttosto ostica. Non mi riferisco tanto alle molteplici citazioni o alla sovrabbondanza di solo testo scritto (che comunque in questi episodi ha sfiorato le venti pagine per capitolo) quanto agli argomenti e agli espedienti introdotti da Alan Moore. Nel primo episodio ci troviamo forse in un sogno dentro a un sogno dentro a un sogno, e in quello stesso capitolo il tessuto del tempo diventa malleabile e inaffidabile, facendo perdere al protagonista e al lettore il senso dell’orientamento. Lo so che alla fine Alan Moore riuscirà a tirare le somme di tutto, ma per il momento riuscire a raccapezzarci è una bella sfida.
Assolutamente indispensabile leggere le parti scritte (in cui troviamo finalmente una prima parte del famoso romanzo che Black dovrebbe scrivere!), così da capire ad esempio cosa abbia fatto il protagonista prima di incontrare Elspeth e soprattutto come sia arrivato a Boston, oltre ovviamente ad avere dei dettagli aggiuntivi sui pensieri e le motivazioni del protagonista. Per il resto, anche le parti a fumetti sono piene di doppi sensi e allegorie testuali quindi non sono meno ostiche delle pagine solamente scritte; e continua il giochetto di Moore col lettore… c’erano veramente i buchi e i fogli di giornale per riempirli nella casa di Goffs Falls? Dove ha lasciato Black il suo soprabito? In alcuni casi bisogna pure riprendere in mano il primo volume se si vuole controllare.
Tanta austerità e pretese letterarie non escludono comunque un lato umoristico (credo ad esempio che Moore abbia voluto giocare sull’equivoco che si genera coi suoi ospiti iniziali in quanto reanimators e non omosessuali) e una vena romantica (il ghoul che spiega a Black l’utilità di ogni vita, anche della più desolata).
Ci stiamo comunque avvicinando al bandolo della matassa e il rassicurante ultimo capitolo che mette in prospettiva quanto letto in precedenza (ma chi ci crede…) assomiglia tanto alla quiete, peraltro assai relativa, prima della tempesta.
Burrows si mantiene sugli stessi livelli precedenti, senza alcun guizzo che lo faccia emergere ma privilegiando uno stile misurato che a volte arriva anche a essere piuttosto elegante. Si conferma molto bravo a disegnare le scene di massa. Ma tutto sommato i disegni sono la cosa meno importante di Providence e il bardo di Northampton sembra sottolinearlo dando molto più spazio alla parte puramente letteraria dell’opera. Sperando che, nonostante i vari indizi disseminati da Moore, Providence non si concluda alla stessa maniera di Neonomicon, possibilità paventata anche da Antonio Solinas nella sua illuminante e approfondita appendice.
Se nel volume precedente mi era venuto il dubbio che la Panini avesse tagliato l’ultima parte del diario di Black, qui viene riportato per due volte lo stesso testo come citazione conclusiva ai primi due capitoli. Ma anche in questo caso probabilmente non è un errore perché i due episodi si svolgono nella stessa località e tutto sommato la ripetizione ha un effetto ipnotico che ben si adatta all’atmosfera straniante di quei capitoli.

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