Nuovo esperimento di Lewis Trondheim.
Da quello che ho capito, si tratta di otto fumetti distinti legati dalla stessa
situazione di partenza: l’astronave Infinity 8 si trova a dover affrontare una
criticità e approfittando del potere del capitano, appartenente alla rara razza
dei Tonn Shär, avrà otto occasioni diverse per risolverla, visto che può «esplorare
una trama temporale per otto ore, e, allo scadere di questo lasso di tempo,
tornare indietro o proseguire la trama in corso». Sì, è una cosa un po’
metanarrativa, visto che il ripristino a condizioni differenti di una linea
temporale viene chiamato reboot.
Nel corso di questo primo volume
la Infinity 8 incappa in un coacervo di detriti in mezzo allo spazio che ne
bloccano l’avanzata. L’agente di sicurezza Yoko Keren è distolta dal suo
obiettivo di trovarsi un maschio valido con cui procreare e viene mandata a
indagare sul fenomeno, scoprendo che i detriti alla deriva sono rimasugli di
tombe, sarcofagi o interi cimiteri di varie civiltà spaziali. Le cose si
complicano perché tra gli 880.000 ospiti della Infinity 8 c’è una cospicua
comunità di Kornaliani, razza che si nutre di cadaveri assimilando nel processo
di digestione le caratteristiche morali e intellettive che aveva la salma. I Kornaliani
sciamano in frotte verso quel bendiddio, e uno di loro si pappa le spoglie di
un conquistatore galattico, aggiungendo violenza e desiderio di conquista al
caos.
Yoko cerca come può di frenare
l’impeto dei Kornaliani, che vogliono impossessarsi della Infinity 8, aiutata
alla meno peggio da un Kornaliano che avendo divorato il “Buddha di Tryskell”
(mistico di una civiltà fortemente erotizzata) è diventato un poeta follemente
innamorato di lei.
Mica male come soggetto, no? È
senz’altro originale, e poi presenta molte idee suggestive e varie altre trovate
interessanti. Il guaio è che gli sceneggiatori Trondheim e Zep (creatore di Titeuf, fumetto famosissimo in Belgio e
sconosciuto in Italia, che inutilmente la Panini provò a presentare nel
Belpaese) hanno adottato lo stile narrativo dei comics a cui si sono ispirati anche come formato e struttura delle
tavole. Dopo un inizio molto promettente con delle battute ben piazzate, si
scade presto nell’azione più adrenalinica (e confusa) e nell’ostentazione di
dialoghi troppo disinvolti per essere presi sul serio. È ovvio che il bello del
gioco vuole essere proprio questo, ma mi rimane comunque un po’ di amaro in
bocca per l’occasione sprecata con un soggetto così valido. Mi viene il
sospetto che il misterioso autore dietro Lucy Lloyd
sia proprio Trondheim, o forse Zep, o entrambi.
I disegni di Dominique Bertail
sono veramente molto buoni, e anche i suoi colori sono validissimi pur se
occasionalmente dimostrano troppo apertamente la loro origine digitale – in
alcuni casi sembrano invece dei veri acquerelli. Ma ancora una volta, peccato
che non sia stato sfruttato per un volume alla francese dal taglio più
canonico.
Sull’Anteprima da cui ho ordinato questo primo numero di Infinity 8 venivano presentati
contemporaneamente anche gli altri sette ma ho preferito per il momento
prendere solo il primo per saggiare la qualità del progetto. Non credo che
proseguirò, non tanto per l’esborso complessivo (ogni volume costa 10 euro)
quanto per il taglio della serie, che alla raffinatezza franco-belga preferisce
il fracasso statunitense. Nel suo genere sarà un capolavoro, ma non è quello
che mi aspetto da Trondheim & co.
Il volume presenta in appendice
dei brevi testi sulla genesi di Amore e
Cadaveri, schizzi e prove vari, da cui si evince che le 87 tavole del
fumetto erano state pubblicate preliminarmente in una miniserie di 3 comic book. Curiosamente, però, non ho
riscontrato nessuno stacco ogni 29 tavole, come sarebbe stato logico
aspettarsi.
Credo che Lewis Trondheim citi la famosa Lezione di Anatomia con cui inizia il ciclo di Alan Moore sulla testata di Swamp Thing in cui il dottor Jason Woodrue ( l'Uomo Floronico responsabile tra le altre cose della creazione di Poison Ivy ndr ) spiega come alcuni vermi piatti abbiano acquisito la capacità di uscire da un labirinto dopo esserci cibati di colleghi piatti che avevano superato la prova. Moore e Jase si servono delle risultanze di questo esperimento per ribaltare le premesse della trasformazione di Alec Holland nella Cosa della Palude e per celiare sulla possibilità di un futuro in cui si possa andare al ristorante ed ordinare una cotoletta di Einstein.
RispondiEliminaMe lo sono ricordato anch'io, ma tutta sommato potrebbe essersi ispirato alle semplici planarie piuttosto che a Moore. O forse esserselo inventato autonomamente.
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