domenica 8 luglio 2018

Non bisogna dare attenzione alle bambine che urlano

Prima di avventurarmi nell’acquisto di questo volume ho cercato di farmi un’idea dello stile della Antonioni, che da alcuni esempi trovati in rete non sembrava affatto male:
Una volta aperto il volume, però, mi sono trovato davanti a questa roba qua:
L’impatto grafico è stato decisamente spiazzante, per non dire peggio. La Antonioni, che pure in altre sedi ha dimostrato di saper dare corpo ed espressività ai suoi disegni, ha utilizzato probabilmente la penna biro per disegnare Non bisogna dare attenzione alle bambine che urlano, forse una di quelle con quattro punte di colori diversi che non sapevo esistessero ancora, e che fa una comparsata a pagina 116. D’altra parte la penna biro viene citata almeno tre volte nel libro: nella dedica, nei dialoghi e appunto sotto forma di disegno.
Ora, non è che uno strumento costituisca di per se un limite per chi lo usa: anche Manara, Gibrat, Federici e Mannelli disegnano con la penna biro, anche se occasionalmente integrata da altre tecniche, e i risultati sono ben diversi da questi. Non ho dubbi sul fatto che lo stile di disegno sia stato ricercato e voluto appositamente, ma il risultato è di una freddezza terribile, che mal si adatta al tipo di storie che vengono raccontate.
Non potendo modulare il tratto, i contorni sono tutti uguali e monocordi, gli sfondi sono assenti o piatti e i tratteggi, quando ci sono, non sono pensati per dare corpo o profondità alle immagini ma come riempitivi, per simulare il colore compatto di una maglione e di una chioma: purtroppo l’accumulo di segnetti finisce per appesantire le tavole invece che alleggerirle facilitando la lettura.
I disegni della Antonioni non sono affatto brutti, ed è anche lodevole che abbia scelto questa tecnica che non permette la “rete di sicurezza” delle matite, ma leggere le tavole è stata veramente una faticaccia, anche perché tutte le protagoniste hanno lo stesso volto e solo quando qualcuna ha le lentiggini o gli occhiali (o, chiaramente, capelli di colori diversi) si distinguono l’una dall’altra. Inoltre il particolare modo di disegnare le bocche, con il labbro inferiore spesso assente, contribuisce a rendere inespressivi i personaggi, di cui capiamo le emozioni principalmente grazie all’arrossamento del viso e alle linee cinetiche – mezzi che comunque non sempre funzionano.
Come dicevo, non si può certo dire che le tavole siano brutte, il problema è che sono gelide, ingessate, sospese nell’ambra anche nelle sequenze più movimentate, che sono presenti in gran numero.
La motivazione di ricreare l’impressione dei diari delle protagoniste convince fino a un certo punto: uno stile sketchy o al contrario iperrealista sarebbe stato più efficace per evocare questa sensazione. Preferisco pensare che, a causa delle situazioni un po’ scabrose in cui sono coinvolte le minorenni protagoniste, sia stato preferito un approccio grafico freddo e distaccato, che però ha finito per produrre tavole a fumetti che somigliano a dei progetti tecnici o ai rough preliminari di un visualizer frettoloso.
"stroiza"... errore o neologismo?
La storia, scritta da Francesca Ruggiero, segue tre diverse ragazzine italiane dei tardi anni ’90 le cui storie, come Nouvelle Vague insegna, sconfinano l’una nell’altra. La trama è strutturata anche un po’ come un musical, in cui si percepisce la tensione verso l’evento risolutivo finale, che in questo caso è un misterioso provino a cui alcune di loro, entusiaste o disincantate, parteciperanno.
Giulia è abbastanza insignificante e piuttosto complessata ma inaspettatamente Federica, la più bella, ricca e navigata della scuola, la sceglie come nuova migliore amica dopo che ha litigato con la sua scudiera precedente. L’esperienza sarà traumatica per Giulia, che è ancora un po’ bambina, ma la farà maturare.
Anna è una ragazzina senza apparenti problemi né slanci, probabilmente non popolarissima ma con un suo gruppetto di amici e una certa inclinazione artistica. Nella sua vita si insinua la problematica Marilena, appena giunta in città, che a poco a poco le farà vivere nuove esperienze fino a riservarle una cocente delusione.
Clarice è chiusa nel suo mondo di corse e walkman, un po’ attratta dal suo insegnante di ginnastica. Sarà proprio lei a traghettare la storia verso un finale inaspettato, talmente inverosimile che con ogni probabilità è basato su fatti veramente accaduti (credo che su Youtube si possa vedere lo spezzone incriminato di Sabrina Vita da Strega). Da notare che, per i motivi ricordati sopra, la Antonioni ha dovuto disegnare Clarice con un naso molto pronunciato per renderla distinguibile e far capire cosa succede veramente nel finale. Cionondimeno, sono dovuto tornare alle prime pagine per avere conferma dalla pettinatura di un personaggio che fosse proprio quello.
La Ruggiero ha infarcito Non bisogna dare attenzione alle bambine che urlano di citazioni degli anni ’90: poster, gadget, spot televisivi e tantissima musica. Il ritmo della storia è sincopato e non disdegna sin dall’inizio il ricorso al flashback. Ovviamente non si tratta di una storia d’avventura, ma si rimane comunque incollati alle pagine mentre si dipanano gli eventi tra cui ci saranno delle sorprese (alcune prevedibili, altre meno). Un tocco di classe della Ruggiero nel dettare il ritmo di lettura è il ricorso a stacchi in cui un’unica piccola immagine per pagina serve da pausa, commento o anticipazione, formando degli ulteriori capitoli tra i tre di cui è formalmente composta l’opera.
Non so se sia una cosa voluta, ma in Non bisogna dare attenzione alle bambine che urlano i personaggi che fanno la figura peggiore sono gli adulti, non solo i genitori: assenti, rincoglioniti o stronzi tout court.
A voler proprio cercare un difetto nella sceneggiatura della Ruggiero, il primo capitolo è quello più denso di testo, che si rarefa progressivamente fino ai lunghi silenzi del terzo: in questa maniera si percepisce un calando invece che un crescendo che ci sarebbe stato invertendo i capitoli – ma d’altra parte l’episodio di Clarice doveva essere l’ultimo visto che riannoda tutte le trame.
Sinceramente non so se consigliare questo volume. A conti fatti è stata una lettura abbastanza piacevole, ma i disegni della Antonioni (o meglio: lo stile scelto dalla Antonioni, che ha dato prova di saper disegnare bene in altre occasioni) possono costituire uno scoglio difficile da superare.

2 commenti:

  1. Guardando le tavole che hai messo e quelle che pubblicò in anteprima Fumettologica, sembra proprio che non faccia per me. Però leggendo il tuo articolo mi viene qualche dubbio!! Quando mi capita di sfogliarlo deciderò sul momento.
    A proposito di disegni con la biro, ho da poco terminato un libro il cui titolo non attira certamente: "La guerra di Minkiaman" di Gianni Allegra, un non-più-giovanissimo autore siciliano. A dispetto di tutto devo dire che è molto bello.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sfogliato e, ammetto, leggiucchiato anch'io: in effetti mi è sembrato un lavoro molto forte, molto sentito. I disegni non mi hanno entusiasmato (Allegra è un umorista passato al realistico), non so se sono stati fatti con la biro ma ora che mi ci fai pensare forse sì.

      Elimina