venerdì 30 maggio 2025

Dylan Dog Gigante N. 24 - Daryl Zed: Il Cacciatore di Mostri

Dritto dal 2020 giunge questo volumetto, che non è una ristampa ma proprio quello che sarebbe dovuto uscire cinque anni fa dopo la prima pubblicazione sotto forma di albi. «Fumetto di un fumetto nel fumetto che, a sua volta, contiene un altro fumetto» lo definisce Roberto Recchioni nell’introduzione, e in effetti questa miniserie si basa su una serie di ardite mise-en-abyme riprendendo un fumetto-nel-fumetto del numero 69 della collana regolare creato appositamente per controbattere alla campagna diffamatoria dell’epoca contro i fumetti dell’orrore. Io però mi ricordo che Daryl Zed era anche il fumetto di successo di uno dei tre avatar di Sclavi in uno dei suoi romanzi (mi pare Non è successo niente), e coesisteva come fumetto con Dylan Dog: la cosa è perfettamente congruente perché il protagonista è anche confidente di Tiz, un altro degli avatar di Sclavi di quel romanzo che appunto trae spunto dalle storie di Daryl per scrivere Dylan Dog.

Il gioco di questo esperimento è il ribaltamento dei canoni della serie originale. Daryl Zed è quasi la versione speculare dell’Indagatore dell’Incubo: non crede nella bontà dei “mostri” e nella possibilità di una loro redenzione ma anzi dà loro la caccia per guadagnarsi da vivere, un po’ detective e molto cacciatore di taglie. Inoltre indulge nell’alcol, è molto sprezzante, non si abbandona a malinconie filosofiche e ama la violenza. La sua battuta caratteristica è «Giosafatte salterino», che ha tutta l’aria di essere un omaggio al «jumpin’ Jehosaphat» di Jonathan Cartland. E ripensandoci, hai visto mai che pure «Giuda ballerino» non fosse una citazione di quella serie, che Sclavi presentò generosamente (ma invertendone gli episodi, se ben ricordo) sul suo Pilot?

L’ambientazione è una specie di distopia pulp in cui varie tipologie di mostri, alieni o umani col dna corrotto, scorrazzano tra la gente comune. Un fantasma (anzi, un vampiro) torna dal passato di Daryl Zed ma la vera minaccia si rivelerà un’associazione tanatofoba che vuole eliminare i “mostri” con un virus appositamente creato. Viste le premesse mi aspettavo che la vicenda finisse con una rivelazione come quella de L’Uomo di Wolfland di Barreiro e Saudelli e infatti così è stato.

Il Cacciatore di Mostri è un fumetto scatenato e fracassone e Tito Faraci ha ben gestito la deriva metanarrativa in cui Daryl Zed incontra Dylan Dog, entrambi il personaggio dei fumetti preferito l’uno dell’altro: si dilungano in disquisizioni teoriche un po’ avulse dal contesto, ma quella scena avrà una sua giustificazione ironica nel finale. Ciò detto, il vero piacere per l’appassionato di Dylan Dog sarà vedere le varie citazioni dalla serie regolare e la trasformazione di molti punti fermi invertiti di senso: si comincia con un Johnny Freak che qui è un omicida telecinetico, un po’ come il Ken Parker “cattivo” del film muto che guardava Marvin il Detective avrà divertito gli appassionati di Lungo Fucile.

I disegni sono affidati a tre disegnatori diversi (i tre albi originali duravano 64 pagine) e chi più chi meno ha visto il proprio lavoro rovinato da quei fastidiosissimi retini colorati che a Sclavi devono piacere tanto, vedi le copertine del suo Pilot. Lo schematico Nicola Mari non ne esce troppo devastato, ma Angelo Stano che già di suo aveva inserito degli “effetti speciali” nelle sue tavole risulta molto mortificato e poco leggibile. Caso vuole che l’anemico Werther Dell’Edera abbia deciso di darci dentro coi tratteggi proprio per questo fumetto (oltretutto lasciandoli a matita, se ho ben capito) rendendo il tutto ancora più impastato e meno leggibile.

L’albo è integrato da finte pubblicità dell’immaginario giornalino e del merchandising di Daryl Zed e da una striscia dedicata a Dylan Dog realizzata da Sergio Algozzino (non molto esilarante, a dire il vero). Algozzino è anche autore dei colori, ma sono sicuro che la scelta dei fottuti retini sia stata un’imposizione dall’alto. Forse dallo stesso supervisore che non si è accorto che una scena che avrebbe dovuto svolgersi prima dell’alba è stata colorata come se fosse pieno giorno.

giovedì 29 maggio 2025

What If...? Topolino e i suoi Amici diventano The Avengers

Anche se siamo arrivati alla quinta uscita e il meccanismo non è più una novità, questo ennesimo What If…? Disney è molto divertente. Il concept è sempre quello: prendere una storia classica della Marvel e farla interpretare da topi e paperi; in questo caso è toccato a The Avengers numero 1.

Per quello che posso ricordare, il soggetto è un ricalco fedele di quella vicenda che fu il pretesto per creare il supergruppo della Casa delle Idee: Gastone-Loki scatena la minaccia di Pippo-Hulk per ripicca contro Paperino-Thor e quindi devono intervenire anche gli altri supereroi (che non si conoscono ancora) per fermarlo. Resto dell’idea che Topolino sarebbe stato perfetto per interpretare Capitan America piuttosto che Iron-Man, ma immagino che lo scrupolo filologico lo abbia impedito visto che in origine Capitan America comparve solo qualche numero dopo nella vecchia serie Marvel. Però è anche vero che qui c’è una Paperina-Lady Sif (forse c’era già all’epoca?) e francamente Pluto nel ruolo di Ant-Man mi sembra ridicolo, Steve Behling non poteva metterci Archimede o al limite Orazio?

Purtroppo come nel caso del primo di questi speciali la storia si legge molto in fretta e si avverte un po’ di rimpianto per lo sviluppo più articolato che avrebbe meritato. Ma alla fine non importa molto: l’importante è divertire il lettore e Behling e Luca Barbieri ci sono riusciti alla grande con tutte le situazioni buffe che si sono inventati.

Al di là di questo, il fumetto si segnala per i disegni straordinariamente dinamici ed espressivi di uno scatenato Alessandro Pastrovicchio molto generoso con tratteggi e dettagli. I colori sono opera dell’habitué Lucio Ruvidotti.

mercoledì 28 maggio 2025

Batman in Nove Vite

Cartonatino dal curioso formato orizzontale, i francesi direbbero “all’italiana”. Non viene indicato con precisione il periodo in cui si svolge la storia ma dal modello di un’automobile si intuisce che non ci troviamo prima del 1938. Dick Grayson, ex-poliziotto ed ex-acrobata, è un detective che si trova invischiato in una brutta storia, penalizzato oltretutto dal fatto che il commissario Gordon non lo vede di buon occhio visto che sua figlia Barbara lavora come segretaria per lui – e gli presta sconsideratamente l’auto che le ha regalato per il diploma.

Il cadavere di Selina Kyle viene ritrovato nelle fogne di Gotham e Bruce Wayne è uno dei sospettati. È stato proprio lui ad averlo rinvenuto nei panni di Batman dopo una furibonda lotta coi coccodrilli che popolano le fogne. Ma più probabilmente gli è stato fatto trovare apposta da chi lo ha stordito. Va specificato che in questo universo alternativo Batman è noto per essere il tirapiedi di Bruce Wayne.

La morte di Selina scoperchia il proverbiale vaso di Pandora visto che aveva dei rapporti praticamente con tutta la brutta gente di Gotham (e molta di quella “bella”) e ricattava tutti con foto e documenti compromettenti. Ma dove sono finite le chiavi della sua cassetta di sicurezza? Visto che Dick Grayson era stato fino a poco prima la sua guardia del corpo (e amante, uno dei tanti) anche lui finisce tra i sospettati. Nel mentre incombe il piano per una gigantesca rapina in cui sono coinvolti praticamente tutti i personaggi del fumetto, perlomeno quelli che arriveranno vivi al fatidico momento.

I testi di Dean Motter sono la quintessenza del noir: detective picchiati a sangue che tornano in pista imperterriti, cattivi pittoreschi, dialoghi taglienti e tanti personaggi e sottotrame buttati lì per intorbidire le acque, quando invece la soluzione del caso è tanto semplice da risultare beffarda! Al di là della lettura piacevole in sé, è molto divertente vedere la vasta rogues gallery di Batman reinterpretata in maniera gangsteristica e non come i supercriminali spesso ridicoli che sono di solito.

Le tavole di Michael Lark sono molto belle senza essere rutilanti. È elegante, espressivo e usa oculatamente il chiaroscuro. Inoltre è in grado di caratterizzare ogni personaggio con pochi tratti, dote non comune.

I colori di Matt Hollingsworth sono sicuramente azzeccati, ma forse Nove Vite avrebbe funzionato meglio in bianco e nero o con toni di grigio.

Ah, le «nove vite» del titolo non fanno riferimento alla natura gattesca di Selina Kyle ma ai giochi di parole dei titoli dei nove capitoli in cui è divisa la storia.

domenica 25 maggio 2025

Fumettisti d'invenzione! - 197

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

WONDER WOMAN (IDEM)

(Stati Uniti 1941, in All-Star Comics, © DC Comics, supereroi)

Charles Moulton [William Moulton Marston] (T), Harry George Peter (D)

Ispirata sia alla mitologia classica che alla letteratura pulp, Wonder Woman nelle sue varie incarnazioni è sempre stata parte della trinità per eccellenza dell’universo DC insieme a Superman e Batman.

Logo in Wonder Woman Annual 2 (1989). George Perez (T), Ramona Fradon (D)

Forse anche sull’onda lunga della Crisis on Infinite Earths che riscrisse le origini dei supereroi della DC Comics, l’Annual del 1989 riassume la vita e le gesta della “nuova” Wonder Woman con l’espediente dei ricordi dell’agenzia pubblicitaria che ha avuto in carico l’immagine della supereroina. I testi sono del titolare George Perez mentre il resto della produzione compresi colori e lettering (e alcuni testi) sono appannaggio di fumettiste donne.

Tra le varie campagne pubblicitarie messe in atto ne venne fatta una tramite un fumetto, ovviamente riportato nell’Annual: Play like scritto da Lee Marrs e disegnato da Trina Robbins (autrici provenienti dai fumetti underground). A fare da cornice a questa storia ce n’è un’altra, Logo, in cui Wonder Woman si relaziona con la Robbins.

CINEMA  (pag. 81)

SEPARATION (SEPARAZIONE)

(Stati Uniti 2021, horror)

Regia: William Brent Bell; sceneggiatura: Nick Amadeus e Josh Braun, con Rupert [William Anthony] Friend (Jeff Vahn), Madeleine [Kathryn] Brewer (Samantha Nally), Violet [Elizabeth] McGraw (Jenny Vahn)

Jeff è un fumettista male in arnese il cui matrimonio sta naufragando e con esso la possibilità di avere ancora contatti con la figlia dopo che la sua futura ex-moglie Maggie, spalleggiata dal padre avvocato, ne chiede l’affido esclusivo con la prospettiva di trasferirsi lontano da lui.

Le cose peggiorano ulteriormente quando Maggie viene investita da un pirata della strada e la piccola Jenny sembra comunicare con una entità sovrannaturale nascosta nella soffitta di casa.

Pseudofumetto: costretto ad accettare lavori minori come inchiostratore, Jeff aveva realizzato insieme alla moglie un fumetto di successo: The Grisly Kin, da cui si sarebbe dovuta trarre un serie televisiva che avrebbe risolto i problemi economici della coppia.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

BARA WA SHURABA DE UMARERU: 70 NENDAI SHOUJO MANGA ASSISTANT FUNTOUKI (L’ASSISTENTE DELLE ROSE)

(Giappone 2020, Nami Sasou, biografico)

Nami Sasō

I micidiali ritmi di lavoro del fumetto giapponese ricostruiti da chi li visse in prima persona. Dopo il debutto in giovane età con lo pseudonimo Naoko Sasao, l’autrice ha realizzato alcune opere personali tra il 1976 e il 1981 ma si è dedicata più che altro a fare da assistente alle mangaka più importanti del periodo d’oro degli shojo, gli anni ’70.

[ALTRO] PUBBLICITA’ (categoria non presente nel volume di Castelli)

OPEL FRONTERA (2025)

Una famiglia viene trasportata all’interno di un comic book dove sperimenta le prestazioni del nuovo SUV ibrido o elettrico della Opel.

Pseudofumetto: il fumetto stesso si intitola Frontera.

venerdì 23 maggio 2025

Batman: Stirpe Condannata

Sette anni dopo una serie di efferati omicidi ne inizia un’altra, mentre Bruce Wayne non fa più quegli incubi spaventosi che pensa gli servissero a confinare il suo istinto violento nell’innocuo mondo dei sogni. Per entrambi i problemi ricorre all’aiuto di una ragazzina preveggente, figlia adottiva di un medico che “curava” con metodi non ortodossi. C’è un meccanismo esoterico in atto: qualcuno compie un rituale omicida basandosi sui cinque punti-chiave del simbolo della croce e ne ricava così poteri con cui continuare a perpetrare i suoi omicidi. Storicamente, ammesso che i racconti siano veri, il fenomeno è stato accompagnato da eventi nefasti visto che ogni omicidio apre un po’ di più le porte dell’inferno. E infatti dopo i primi tre casi a Gotham cominciano ad aggirarsi creature demoniache.

La trama si snoda rapida e lineare, eccezion fatta per una falsa pista e soprattutto per un inserto diaristico che rallenta in maniera drastica il ritmo. La rivelazione sull’identità dell’assassino mi è sembrata ben congegnata e il contesto sovrannaturale intriso di misticismo è piuttosto originale per Batman, almeno per come lo conosco io. Può darsi che Stirpe Condannata si legga troppo in fretta, fatto salvo l’inserto di cui sopra, ma ovviamente lo scopo principale della sua esistenza sono i dipinti di George Pratt. In un altro contesto li avrei trovati inadatti, se non proprio “sbagliati”: Batman e Bruce Wayne cambiano fisionomia di vignetta in vignetta, certi dettagli sono poco più che sketch a cui è stata messa una pezza coi colori e ogni tanto Pratt ha pasticciato troppo con le tempere (o gli acrilici o quello che sono). In questo contesto però queste scelte, che siano dettate da fretta, pigrizia o ponderazione, sono funzionali a evocare l’orrore nascosto di molte sequenze e le derive deliranti di Bruce Wayne.

mercoledì 21 maggio 2025

Intanto, in Norvegia...


…un tizio si è procurato tutti (o quasi) i fumetti (e non solo) pubblicati da alcune case editrici statunitensi underground o comunque indipendenti ma anche da sottoetichette autoriali. E ci ha costruito attorno degli indici che rimandano a ogni singola serie o one shot fornendone una recensione circostanziata (e spesso divertente da leggere) e della rassegna stampa laddove possibile. Ricostruisce anche la storia delle attività, delle politiche editoriali e delle vicissitudini delle case editrici. Nel novero non rientrano etichette misconosciute con pochi titoli all’attivo, ma colossi (beh, relativamente al settore alternativo) come Eclipse, Kitchen Sink e Pacific. Tocca fare un po’ la spola nei suoi vari blog per ricostruire il tutto ma mi pare che ne valga abbondantemente la pena. Ecco a cosa serve internet.

domenica 18 maggio 2025

Il Signore dei Ratti

Da quello che si evince dalla postfazione e dal numero di ristampe che ha avuto, questo fumetto è uno dei più grandi successi di Leo Ortolani. Al di là del fascino sempreverde dell’opera tolkieniana parodiata (e quando uscì nel 2004 godette anche del traino della trilogia cinematografica), è uno di quei lavori in cui l’autore faceva ancora recitare il suo conosciuto e consolidato cast di personaggi, pescando anche da Venerdì 12, senza azzardare nuovi protagonisti e nuovi scenari tutti da testare.

Pur con la necessità di contenere il materiale di partenza nella dimensione di 64 pagine da sei vignette in media per tavola, la riduzione è fedele. D’altra parte Leo Ortolani si dichiara fan de Il Signore degli Anelli. Gli oltre vent’anni trascorsi della prima pubblicazione si fanno sentire, l’umorismo è piacevolmente caotico e a volte un po’ greve e in quell’epoca precedente a Cinzia l’autore non si faceva problemi a inanellare doppi sensi e situazioni piccanti con l’elfa Annabello/Cinzia Otherside.

Ci sono gag visive, giochi di parole, citazioni, trovate surreali, parodie e quant’altro ma nonostante questo non ho trovato Il Signore dei Ratti una delle opere più esilaranti di Ortolani. È sicuramente una lettura accattivante, ma al massimo mi ha fatto sorridere senza raggiungere l’ilarità di altri suoi lavori. Sarà che verso la fine imbocca qualche scorciatoia metanarrativa che rende il tutto meno coinvolgente. Assolutamente geniale invece il finale della storia con la rivelazione di quello che si sarebbe dovuto impedire, e che invece è successo lo stesso – ma si tratta di una trovata valida in sé, funzionerebbe anche in un contesto non umoristico.

Interessante una curiosità metaeditoriale: la presenza di Shelob nel testo di partenza offre a Ortolani il destro per far apparire il suo, di Ragno, ovvero la personificazione dello sfruttamento intensivo dei fumetti con variant cover, versioni estese, gadget, ecc. Nel 2004, quando il fumetto venne pubblicato per la prima volta, fu quindi paventata scherzosamente nei dialoghi la futura uscita di una versione estesa de Il Signore dei Ratti per rimediare ad alcuni salti narrativi del fumetto che invece era stato proprio impostato così – dopotutto i film di Peter Jackson seguirono quel destino in dvd e quindi come ipotesi non era così balzana, e anche Salvador Dalí integrava la sua autobiografia di sempre nuovi aneddoti per costringere i lettori a comprarsi le nuove versioni. In realtà una extended edition non era mai stata nelle intenzioni dell’autore, che però in questa sede appaga parzialmente la fame dei fan con una generosa sezione (una dozzina di pagine) di contenuti extra ovvero sequenze e variazioni sul tema che all’epoca non realizzò e che ha concretizzato appositamente per questa «Special Edition».

Ignoro quali fossero le caratteristiche della prima edizione e di quelle successive, questo è un cartonato di grande formato stampato a colori (realizzati da Lorenzo Ortolani) su carta patinata. La copertina con effetti metallici presenta un disegno inedito realizzato appositamente. Introduzione ed editing di Andrea Plazzi, che compare anche nel fumetto come personaggio grottescamente “multitasking”.

venerdì 16 maggio 2025

MondoQuadro 2 - StellanCione non è anziano: è VECCHIO! E...

Nuovo appuntamento con l’universo geometrico ideato da Giuseppe Peruzzo (che fa pure una comparsata in quarta di copertina). Meno pagine, 72 invece di 96, ma la solita densità di contenuti, e stampato, come ci viene ricordato in gerenze, superando più di un “confine” nell’Unione Europea.

Lo StellanCione del titolo è un nuovo personaggio ma condivide la scena con altri volti noti. Vecchiaccio inacidito sospeso tra cinismo e inaspettati quanto rari slanci di generosità, è comunque lui il Cicerone di questo volumetto, o forse sarebbe meglio dire il Caronte vista la rassegna di tipologie caratteriali spesso di dubbia umanità e giustamente bersaglio di satira di costume – poi magari per qualcuno proclamare il proprio disprezzo per i social network sui social network stessi avrà anche senso.

Il meccanismo è quello collaudato: quattro vignette regolari per pagina che dialogano con il testo soprastante o sottostante a formare situazioni di senso compiuto. Protagonisti delle vignette (che poi sono regolari solo quando serve: vedi il virtuosismo di pagina 52) sono delle figure geometriche o loro parti o loro accessori. E a volte anche meno, come nel caso dei già visti TrattoAlto, TrattoMedio e TrattoBasso, semplici segmenti vincolati alla classe sociale determinata dalla loro posizione spaziale. Bastano la “luminosità” che cambia di vignetta in vignetta, un elemento in più o in meno dentro di loro, il posizionamento diverso dei personaggi e incredibilmente queste fulminanti sequenze acquistano dinamismo e i loro protagonisti, incredibile a dirsi, espressività. Se per MondoQuadro 1 mi era venuto spontaneo il parallelo con Bruno Munari, non escludo che Peruzzo conosca anche il lavoro di Gaetano Kanizsa.

In questo secondo volume si notano soprattutto IperCrito l’iper-critico e IperCrita l’iper-ipocrita, già intravisti a corredo della rubrica che Peruzzo teneva su Fumo di China. Non mancano anche stavolta riferimenti all’attualità, ma nel complesso l’ho trovato più divertente – che l’autore lo volesse o meno.

martedì 13 maggio 2025

I Cugini Meyer

Quest’ultima avventura di Max Fridman si riassume rapidamente: a seguito dell’Anschluß l’Austria è stata annessa alla Germania e anche lì cominciano le persecuzioni agli ebrei. Tra gli altri ci sono i Meyer: la figlia di mezzo è al sicuro perché impalmata a un nobile intoccabile, ma il patriarca medico Franz deve pensare a proteggere gli altri due figli e la moglie preda della demenza mentre la stretta delle leggi razziali si fa sempre più opprimente. Rassegnato infine ad abbandonare il Paese, Franz Meyer scopre quanto sia difficile andarsene: i nazisti fanno di tutto per complicare le procedure di espatrio e le altre nazioni non ne vogliono sapere di accogliere profughi. Il fumetto è strutturato in due parti distinte e così, dopo la prima in cui il protagonista non compare mai, Max Fridman si trova coinvolto in una missione personale per portare i Meyer, lontani cugini della madre, in Svizzera.

Una trama semplice, dicevo, ma incredibilmente appassionante. Nella parte in cui sono di scena i Meyer si assiste ovviamente alla fisiologica sistemazione dei pezzi sulla scacchiera ma soprattutto viene reso con grande efficacia il progressivo deterioramento delle condizioni degli ebrei austriaci, in una spirale di soprusi e vessazioni che tiene incollati alle pagine in attesa della mossa risolutiva che dia il la all’entrata in scena del protagonista.

La seconda parte è più lunga ed è un drammatico e avvincente conto alla rovescia per vedere se Fridman riuscirà veramente a procurare i documenti e il passaggio necessario alla famiglia per abbandonare l’Austria. Non mancano quelle che più che sottotrame sono delle situazioni satellitari: l’oberführer Von Trudhof corteggia la figlia nubile di Meyer, il paranoico responsabile del controspionaggio Schminck (chi si rivede!) crede che Fridman sia in missione per la Ditta, Max Fridman riassapora il contatto con la vecchia fidanzata Myriam Meyer. Ma il vero nocciolo della questione è un altro: riuscirà Fridman a salvare i Meyer? Qualcuno lo tradirà? I Meyer riusciranno a sopravvivere tutti?

Al di là di questo, è come se venissero sciolti dei nodi allacciati sin dalla Rapsodia Ungherese di oltre quarant’anni fa. I Cugini Meyer è anche una sfilata di vecchi personaggi e di rimandi ad altre storie. Non è difficile cogliere i riferimenti, visti i soli cinque volumi di Max Fridman. Ho avuto un momento di defaillance con la figura di Myriam di cui si intuisce un importante trascorso ma di cui non ho trovato traccia nemmeno ne L’Avventuriero prudente. Ma è normale: sarà un flashback a spiegarci il suo ruolo e le sue origini.

Oltretutto Giardino reinterpreta qui il famoso aneddoto di quando, ingegnere in missione nell’Est Europa (non ricordo se in Polonia o in Ungheria), sudò freddo quando dei gendarmi lo fermarono. Per segnalargli che aveva una ruota sgonfia che lo aiutarono a cambiare…

Nonostante il contesto molto teso (o forse proprio a causa di questo, che per reazione spinge a sdrammatizzare) non manca qualche rara spruzzata di cinico umorismo, ma forse sono io che l’ho voluto cogliere.

Sui disegni c’è poco da dire: gli anni non hanno compromesso né le qualità estetiche né le capacità espressive di Giardino. Al massimo si può rimanere un po’ spiazzati dalla costruzione delle tavole che a volte presentano un senso di lettura non immediato, con vignette centrali a destra più alte di quella di sinistra che vanno lette prima. Ma ci saranno due o tre casi in tutto il volume. Di certo lo sfoggio della documentazione (poster, scorci, vestiti, interni ma anche libri e persino nozioni di Diritto) è un ulteriore motivo di fascino del volume.

Lo scanner continua imperterrito a rivelare le asperità della carta per acquerello e forse la stampa avrebbe potuto essere più nitida. Ma tanto ormai nessuno sa più stampare come una volta ed è già un miracolo che si pubblichi ancora un bel fumetto come non se ne fanno più.

La prima parte dura 78 pagine, più di un volume di quelli belli che si facevano una volta, e con la seconda fanno un totale di 164 pagine a fumetti. A queste si aggiungono una breve introduzione dell’autore, un suo intervento sul Convegno di Evian e una generosissima sezione di schizzi di una ventina di tavole. Anche prima di conoscere queste caratteristiche pensavo che il prezzo dichiarato di 20 euro fosse un errore perché troppo basso, ma vedo che la copia che ho preso io è già la seconda edizione quindi la strategia della Rizzoli Lizard si è rivelata vincente.

domenica 11 maggio 2025

Dylan Dog Color Fest 53: A prova di morte

Sulle prime pensavo che Barbara Baraldi avesse fatto un autogol sciorinando nella presentazione tutte le influenze cinematografiche di questa storia (A spasso con Daisy è uno scherzo, vero?) ma ripensandoci è probabile che sia una strategia cautelativa come quella della presentazione di Bab-el-Mandeb di Micheluzzi: è inutile che mi accusiate di aver copiato Wilbur Smith, sono io il primo ad ammetterlo.

La storia vede Dylan Dog fare un incidente con una piratessa della strada che si rivela essere una meccanica eccezionale e si offre di rimettergli in sesto il maggiolone. La realtà è più complicata e Jane Ballard (tanto per chiarire anche col nome una delle ispirazioni principali) è un’esorcista di automobili che aveva volontariamente causato l’incidente proprio per terminare un “lavoro”.

La vicenda procede lineare verso un finale meno tragico del preventivato accompagnato dal classico sottofinale che rimette in discussione quanto letto poco prima, stavolta nobilitato un pochino dal ritratto sarcastico che viene fatto di un hipster. La trovata alla base di A prova di morte è molto carina ma con quella pletora di riferimenti dichiarati viene il sospetto che sia stata presa in prestito da qualche altra fonte – dubito A spasso con Daisy.

Sergio Algozzino disegna e colora con dignitosa professionalità, alcuni volti e alcune inquadrature sono molto azzeccati mentre altri di meno. Due pagine in appendice presentano suoi sketch a matita e acquerello.

venerdì 9 maggio 2025

Flavor Girls

Non sempre le curiosità che adocchio su CaseMate si rivelano interessanti come apparivano, o forse sono io che fraintendo le recensioni. Flavor Girls non è una parodia demenziale dei manga, ma se ho ben capito vorrebbe proprio rientrare nella categoria. Il formato è quello di un comic book ma l’autore Loïc Locatelli-Kournwsky dovrebbe operare sul mercato francofono.

Dodici anni dopo l’invasione spaziale annunciata da un’enorme testa (!) la Terra è difesa dalla Flavor Girls, supereroine coi poteri… dei frutti (anche il carciofo è un frutto?). Dopo una breve introduzione sulla situazione la storia si apre con la studentessa Sara che viene scelta sua malgrado per ottenere il potere… dell’ananas.

Il retroscena è che gli invasori, gli Agarthiani, vogliono impossessarsi dell’albero sacro che dona i poteri alle ragazze tramite degli scettri, e per individuarlo devono prima rinvenire delle reliquie che lo indeboliscono. Addestramento della neofita, mazzate, scenette strappalacrime, umorismo a buon mercato e tutti gli stereotipi del genere – con tanto di schede delle protagoniste. Non si tratta insomma di una presa in giro del materiale di riferimento, o se lo è non è affatto chiaro. Beninteso, c’è dell’umorismo ma è un umorismo interno alla narrazione (alla quale viene quindi data dignità) e non un’autoironia che sottolinei quanto le situazioni e i personaggi siano ridicoli. Sì, le stesse Flavor Girls si lamentano del nomignolo con cui vengono chiamate, ma la cosa finisce lì.

Poi di mezzo c’è anche un’umana vista all’inizio che ha fatto un qualche patto con gli invasori e c’è anche la sottotrama dell’Alleanza degli Stati Sovrani che vorrebbe controllare le Flavor Girls, ma sono solo scossette effimere in un encefalogramma desolatamente piatto. Non capisco poi che senso abbia mettere a metà della vicenda, quando comincia l’evento-clou, quel corpo estraneo che è l’adattamento di un film horror del 1977 reinterpretato dalle eroine. Oltretutto non so quanto il fumetto possa interessare ai patiti di questo tipo di manga perché le scene d’azione occuperanno al massimo metà della storia.

I disegni sono scarni e schematici sin dall’inizio, in compenso il tratto si impoverisce ulteriormente con il proseguire della storia. Eros de Santiago ha fornito assistenza ai colori.

Potrei essermelo solo immaginato, ma mi pare che su una delle ultime Anteprima qualche editore ha annunciato la versione italiana di Flavor Girls. Se a qualcuno piace il genere…

mercoledì 7 maggio 2025

Army of Darkness vs. Hack/Slash

La versione che ne aveva dato Zoe Thorogood non mi era dispiaciuta e approfondendo la cronologia della serie ho scoperto che di Hack/Slash esiste pure un crossover con L’Armata delle Tenebre, che è un po’ un mio film di culto. E quindi eccoci qui.

La situazione di partenza è diversa da come la immaginavo ma nel corso degli anni evidentemente la serie si è evoluta. Adesso Cassie Hack è senza più Slash (infatti il titolo sulla copertina presenta uno sfregio sul suo nome come a cancellarlo), è sposata con una ragazza e ha una figlia. Proprio mentre tornano a casa dopo una cena di anniversario scoprono che la loro magione è stata invasa da qualcuno, che si rivela essere l’Ash dell’Armata delle Tenebre (e delle prime due Case di Raimi, ovviamente). In questo universo Ash è piuttosto celebre e infatti viene riconosciuto dalla protagonista. Sembra che ci sia del pregresso che viene accennato timidamente nei dialoghi e in alcune splash page, oltre che nei personaggi che compariranno più avanti, ma ne sono totalmente all’oscuro.

La storia vede Ash sulle tracce di qualcuno che ha messo le mani sul Necronomicon e adesso ne sta vendendo le pagine: l’indagine lo ha portato proprio a casa di Hack e consorte, dove la babysitter è stata contagiata dal contatto con il libro maledetto. Cassie e Ash si imbarcano quindi in un viaggio in giro per gli States e oltre (anche nel tempo) per recuperare le pagine coi relativi incantesimi.

Lo stile di Tim Seeley mi pare assecondare quasi alla perfezione l’impronta che Sam Raimi aveva dato alla sua creatura: splatter ma con tanta commedia, anche se non ricordavo Ash così puttaniere e forse i film erano un pochino più raffinati. Ciò detto, alcune delle trovate che si è inventato sono simpatiche e originali (e oltretutto non vive di rendita ma ne inventa parecchie), anche se l’umorismo è sempre terra-terra.

Oggettivamente il disegnatore Daniel Leister non è granché, anzi è poco più che un dilettante. Ci si mette d’impegno, ma il suo tratto è rozzo e impreciso e le sue anatomie seguono regole tutte loro. La resa delle fattezze dell’attore Bruce Campbell non è proprio disprezzabile, comunque. I colori accesissimi di Carlos Badilla aggiungono una patina di pacchiano che forse era proprio l’obiettivo che voleva raggiungere oltre a dissimulare le magagne di Leister.

Ignoro se esiste una versione italiana di questa miniserie, da una rapida ricerca non mi sembra, e d’altro canto si tratta di materiale un po’ di nicchia.

domenica 4 maggio 2025

Babbo, dove sei?

Non una storia a fumetti ma una raccolta di ricordi e aneddoti sul padre scultore, Quinto Ghermandi. Praticamente la mia kryptonite, ma con un lavoro vagamente simile di Silvia Ziche mi era andata bene, no? E una chance alla brava Francesca Ghermandi la do volentieri. Alla fine questo volume mi ha convinto a metà, ma non per i motivi che avrei immaginato.

La “storia” è programmaticamente frammentaria e i ricordi (numerati) si susseguono saltando di palo in frasca. È una frammentarietà frenetica e gioiosa, con personaggi e tormentoni che riaffiorano di tanto in tanto nella vita dell’“Elefante”, uno dei soprannomi del padre, che dopo l’infarto (o ictus) verrà disegnato in maniera asimmetrica per rappresentarne la paralisi parziale. La Ghermandi mette però su carta anche i drammi che ha vissuto, principalmente la morte della sorella. Al di là di questo le situazioni imbarazzanti o dolenti che ha vissuto coi suoi familiari o per loro tramite non mi sembra che facciano trasparire del risentimento quanto un distacco che filtrato attraverso gli occhi della maturità produce anche una gustosa ironia. Babbo, dove sei? offre anche uno spaccato sull’evoluzione della società italiana e qualche sguardo inedito su alcuni importanti artisti e critici del secondo ’900 (il Museo Civico di Trieste è però il Revoltella, non «Revolterra»). E l’aneddoto di come i Ghermandi fecero fortuna nell’800 meriterebbe di diventare a sua volta un fumetto. Per gli appassionati le rare comparsate di altri fumettisti sono poi una goduria. Nelle ultime pagine viene presentata una selezione di opere del Ghermandi ridisegnate dalla figlia per rendere giustizia alla sua arte su cui l’autrice sostiene di non si essersi soffermata a sufficienza prima, mentre un «indice cronologico» in appendice ripercorre le tappe più importanti della sua vita di uomo e artista, puntellate da disegni e fumetti presi ad hoc dal resto del volume. Insomma, come testi il volume coinvolge e appassiona.

Purtroppo la parte grafica è distante dalle ottime prove per cui ricordavo la Ghermandi, quella sua morbidezza modulata che però aveva nei suoi personaggi graziosamente deformi qualcosa di perturbante. Ogni tanto fa ancora capolino (vedi la copertina e la prima tavola) ma lo stile dominante è lo schizzo rapido quanto più impreciso possibile, talvolta ottenuto ricalcando vecchie foto o anche fonti scritte. Una scelta che forse vuole trasmettere l’impressione di una immediatezza senza filtri, ma che finisce per risultare affrettata e appunto imprecisa, pur se un po’ di dinamismo e una certa espressività ci sono ancora.

Data la situazione internazionale del fumetto non avrei certo preteso un altro Joe Indiana e capisco che 200 tavole non sono uno scherzo da disegnare, ma anche Cronache dalla Palude era bello lungo eppure portava ancora l’impronta dell’autrice. Poco male, comunque: immagino che anche questo volume avrà il suo pubblico tra quelli che amano “emozionarsi” spiando la vita degli altri.

giovedì 1 maggio 2025

What If...? Topolino e i suoi amici diventano i Fantastici Quattro

Rilettura del primo episodio dei Fantastici Quattro in cui Steve Behling ha adottato un piglio filologico anche se tutto è voltato in chiave felicemente umoristica: il viaggio con la navicella si fa, ma solo con la giostra a tema di un luna park che incappa nei raggi cosmici che Archimede sta raccogliendo proprio lì vicino per creare dei cavoli al gusto di fragola.

Ora, confesso che non sono andato a rileggermi il lavoro seminale di Lee e Kirby, ma mi pare che i punti-cardine siano stati rispettati con rigore quasi pedissequo (la sceneggiatura è di Riccardo Secchi) trovando delle soluzioni esilaranti per smussare qualche angolo troppo “maturo” o per calare meglio la vicenda nell’universo Disney. I Fantastici Quattro vengono riuniti da Topolino/Reed Richards per indagare sulle misteriose voragini che si aprono in giro: la colpa è ovviamente dell’Uomo Talpa interpretato da Gambadilegno che mi pare azzeccato per la parte.

Molto buoni i disegni di Lorenzo Pastrovicchio integrati dai colori di Lucio Ruvidotti che forse ogni tanto si lascia prendere la mano dagli effetti digitali. Il suo stile dinamico ed espressivo è perfetto per questa storia di supereroi, anche se forse si è preso qualche libertà nella resa di Archimede (ma è più probabile che sia io a ricordarmelo un po’ diverso).

Tra i vari What if…? Disney-Marvel visti finora questo potrebbe candidarsi a essere il migliore.