lunedì 10 novembre 2025

La mano verde e altri racconti

Con questo volume Eris rende omaggio a una disegnatrice misconosciuta in Italia che d’altra parte si dedicò ben poco al fumetto anche in patria. O così credevo: in realtà nell’introduzione si ricorda che per la rivista Okapi scrisse e disegnò una serie, Grabote, che durò ben otto anni, mentre la successiva Cactus Acide et Beurre Fondu ne durerà addirittura dieci! Ma si trattava di materiale per l’infanzia, settore a cui si dedicò con maggiore costanza, e nemmeno in patria Nicole Claveloux è più famosa come fumettista che come illustratrice.

Il mio primo impatto con lei non fu proprio piacevole, le tavole che transitarono su Totem e Metal Hurlant (alcune, almeno) mi sembravano rozze e dal tratto innaturalmente grosso: pareva che le avesse disegnate proprio nel formato di stampa. Il motivo di questo fenomeno è spiegato da Paolo Interdonato nella sua analisi dell’autrice in appendice: Nicole Claveloux disegnava effettivamente nel formato di stampa delle riviste. Non sempre, per fortuna, e in alcuni casi riprodotti anche qui si affidava a un lavoro di fittissimo tratteggio che evidentemente le consentivano dei fogli ben più grandi.

La rassegna comincia con il fumetto che dà il titolo al volume, scritto da Édith Zha, unica opera lunga presente. Ma «lunga» lo è relativamente, giacché seppur per poco non tocca le proverbiali 44 o 46 tavole di un albo alla francese classico. Quando ne lessi alcuni episodi sul Metal Hurlant francese non avevo nemmeno capito che si trattava di un’unica storia visto che ogni capitolo de La main verte ha un titolo indipendente con un colore specifico. Ottima occasione quindi per unire i puntini e farsi il quadro completo della situazione. O almeno provarci. L’introduzione ci ricorda infatti che mai si era vista un’opera del genere nemmeno su quelle gloriose pagine di sperimentazione libera e sfrenata. E non è la classica boutade per irretire i lettori: La mano verde costituisce veramente un’esperienza di lettura molto peculiare.

Una donna vive con un uccellaccio sin troppo umano, più depresso che cattivo, che le uccide la pianta che lei ha appena comprato per avere un po’ di compagnia. Inghiottita dalle mura del suo appartamento, la donna finisce per compiere un viaggio che sarebbe riduttivo definire surreale od onirico o psicanalitico, ma in cui comunque deve affrontare i suoi desideri, le sue paure e i suoi tabù. Nel mentre l’uccellaccio affronta il nuovo dirimpettaio che si rivela ben altro che un vampiro, struggendosi nella malinconia per la donna che è partita. Quando lei ritorna, lui riuscirà a ricostruire la loro relazione attraverso dei baracconi in cui si insegna a percepire oltre i limiti (borghesi?) dei propri sensi. La fascinazione de La mano verde non è nemmeno lontanamente intuibile da questo riassunto: bisogna leggerla e farsi trasportare dal flusso dei pensieri della Zha reinterpretati dalla Claveloux anche con il supporto dell’aerografo che, pur su carta non patinata, rendono brillanti e ipnotiche le tavole, quasi palpitanti.

Il resto del volume è occupato quasi esclusivamente da storie brevi transitate su Ah!Nana, da Metal Hurlant ci sono in totale solo cinque pagine (niente versione originale di Senza Famiglia!, quindi) e il registro dominante è quello della spassosa e irriverente parodia delle fiabe – pur con la nota finale un po’ amara di Chiacchierate sotterranee, in cui si palesano incomunicabilità e oppressione urbana. In questa seconda parte la Claveloux è autrice completa e sembra divertirsi un mondo a ribaltare le situazioni tipiche dei racconti per bambini filtrandole attraverso la sensibilità femminista e anticonsumistica dell’epoca che si rivela ancora oggi attuale e soprattutto divertente (anche la sessualità viene rappresentata con un’innocenza disarmante). Panka Nebe, in particolare, è esilarante.

Dalle immagini promozionali di questo volume sembrava che i tratti della copertina (quella che ho messo qui sopra) fossero smangiucchiati come se fossero stati stampati a partire da pellicole rovinate. Se già la copertina era così, come sarebbe stato l’interno? Dopotutto, chissà dove erano finite le tavole originali. Falso allarme: non solo la maggior parte delle pagine è stata riprodotta dagli originali, ma anche quelle che non è stato possibile recuperare sono state riprodotte molto bene, anche meglio di quanto fece la Nuova Frontiera negli anni ’80 (peraltro, non ricordo nessuna altra casa editrice che abbia mai indicato come fa Eris pagina per pagina quale tavola sia stata riprodotta dall’originale e quale no).

Prima dell’appendice di Interdonato ce n’è un’altra di Boris Battaglia in cui vengono spiegate le scelte di traduzione, visto che le autrici ricorrevano spesso e volentieri a giochi di parole non facilmente traducibili in italiano (non spiega però perché l’espressione francese «prince charmant» apparentabile all’inglese prince charming non sia stata tradotta con il classico «principe azzurro»). Incuriosito dalla complessità di certe scelte linguistiche per nulla banali della Claveloux sono andato a vedere come le tradusse all’epoca la Nuova Frontiera e ho fatto una scoperta incredibile. Se Conasse divenne un’incongrua «Tommasina», la storia di Biondina/Biancafiore/Blondasse, al di là di certe pigre semplificazioni nei nomi, si riempì in Totem di riferimenti che non c’erano assolutamente nella versione originale. Il re padre non era sposato con… la Cocaina (!), l’incantesimo che mutò la madre del Gatto non fu lanciato da una fata di estrema destra (!), né loro erano «una spudorata e un ruffiano» (!) e una volta riacquisita la sua forma originale questa non proclamava ai quattro venti di voler darsi a orgie [sic] e festini…

Ma tornando a La mano verde e altri racconti, si tratta di un volume consigliatissimo sia per i contenuti che per la cura editoriale con storie che, a differenza di quelle di altri “Umanoidi”, sono invecchiate molto bene, anzi non sono quasi invecchiate affatto. Il problema però è che adesso mi è venuta voglia di leggere altre cose della Claveloux e magari rileggere in una versione più fedele qualche altra storia transitata in Italia per vedere come diavolo la tradussero all’epoca.

3 commenti:

  1. Va beh, la Nuova Frontiera era quella che traduceva Blueberry riempiendolo di parolacce... Non mi stupisco

    RispondiElimina
    Risposte
    1. PS L'indicazione di quali pagine sono state scansionate dagli originali si trova già nell'edizione Cornélius che Eris ha tradotto, non è certo una trovata del nostro editore...

      Elimina