Il mangione si inserisce nel filone nato parecchi anni fa in
Francia del connubio tra uno scrittore di successo e un disegnatore di fumetti
altrettanto importante nel suo ambito. Da quello che ho letto finora, mi pare
che Tonino Benacquista sia quello che meglio di altri ha saputo adattarsi alla
transizione da un linguaggio all’altro. Di solito (Pennac con Tardi, Charyn con
Frezzato e all’inizio con Boucq, Klotz/Cauvin con Cabanes) lo scrittore si
abbandona a situazioni eccessive e a personaggi sopra le righe (“ehi, è un
fumetto!”) oppure (Charyn con Loustal) non capisce che si tratta di un fumetto
e realizza un racconto illustrato. In tutti gli esempi riportati la mira
sarebbe stata corretta nei lavori successivi (Pennac con la Cestac, le ultime
ottime produzioni Charyn-Boucq) ma Benacquista azzecca lo spirito giusto al
primo colpo, sin dall’inizio della storia. Le tavole 3 e 4 da Il mangione, ad esempio, sono
interamente mute.
Il protagonista di questo fumetto
è un ispettore di polizia obeso con un discreto caratteraccio, a cui il medico
ha predetto un anno o al massimo due di vita se non si deciderà a moderarsi nel
mangiare. Richard Selena è però estremamente competente e il ritrovamento di un
indizio del tutto sfuggito ai suoi sottoposti gli permette di trovare una plausibile
pista da percorrere in un intricato caso di omicidio. Ma Selena non usa la sua
intuizione per risolvere il caso quanto per costringere la sospettata a cenare
con lui ogni sera dalle 21 alle 23. Un rito apparentemente insensato che funge
da percorso di guarigione, anzi di redenzione, per l’ispettore. Rivelare di più
sarebbe criminale, e forse ho già detto troppo. Certo, la soluzione del filone
principale d’indagine si risolve molto presto, ma il vero snodo della vicenda
(umana) è un altro. Un noir coinvolgente
con risvolti psicologici originali e molto ben strutturato, in cui tout se tient, anche se il lettore dovrà
fare un po’ di attenzione ad alcune sequenze, che per quanto apparentemente
satellitari non sono affatto messe lì a caso.
Le tavole sono state ridotte[1] per
adattarle al formato standard Q Press e sono state stampate in bianco e nero. E
nemmeno stampate benissimo, ma chi se ne frega: ai disegni c’è Jacques
Ferrandez. Ottimo acquarellista, egli stesso si rende conto della povertà delle
sue tavole a fumetti e in almeno un’intervista (così a memoria BoDoï 42) ha dichiarato di voler cercare
un metodo per renderle più accattivanti. In effetti non mi capacito del
successo che evidentemente ha avuto in Francia e Belgio con il suo tratto
scarno e monocorde, le sue fisionomie che ogni tanto cambiano di vignetta in
vignetta, le sue inquadrature fisse e poco fantasiose e una tecnica di
colorazione dei volti che si limita a due standard senza variazioni di nota.
Ma qui almeno abbiamo un’ottima
storia, avvincente e originale e narrata con un ritmo perfetto.
[1] Una
scuola di pensiero sostiene che ogni tavola stampata sia una riduzione
dell’originale, ma è chiaro che i fumettisti lavorano pensando al formato di
stampa in cui comparirà il loro lavoro.
Dai, *Gli esuberati* di Tardi/Pennac è un gioiellino. Certo che è sopra le righe, ma è altresì evidente l'intento satirico per niente celato, e dunque non vedo perché rimproverargli di essere ciò che è :D
RispondiEliminaQuanto a Loustal, pure i suoi fumetti con Paringaux (ergo quelli per cui è diventato famoso...) sono de facto racconti illustrati, quindi di nuovo non vedo perché rimproverare a Charyn di aver fatto la stessa cosa: si è semplicemente adattato allo stile a lui più congeniale. E anche così, se *I fratelli Adamov* è certamente un racconto illustrato (come lo era *La notte dell'alligatore* di Paringaux!), *White Sonya* - che pure non ho apprezzato - mi sembra che utilizzi, a memoria, tutte le tecniche proprie del medium fumetto.
Ma secondo me nella Notte dell'Alligatore e in molte altre storie di Loustal c'è un dialogo più diretto tra testi e immagini. Nei Fratelli Adamov proprio no.
EliminaPoi però Charyn avrebbe corretto il tiro. Più che altro su Margot in Badtown sono stato forse eccessivamente severo.
Quanto a Ferrandez, non riesco proprio a volergli male. I suoi Carnets d'Orient (di cui ho scoperto che uscirà a breve un nuovo ciclo) mi piacciono troppo...
RispondiEliminaNe ho letto al massimo due volumi secoli fa su Comic Art. Pesaaaaaaaanti. E i disegni sono quello che sono. E' chiaro però che sono indirizzati a un pubblico che è interessato all'argomento, al quale sicuramente offrirà un buon approfondimento di prima mano o quasi.
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