giovedì 14 novembre 2019

Il mangione

Il mangione si inserisce nel filone nato parecchi anni fa in Francia del connubio tra uno scrittore di successo e un disegnatore di fumetti altrettanto importante nel suo ambito. Da quello che ho letto finora, mi pare che Tonino Benacquista sia quello che meglio di altri ha saputo adattarsi alla transizione da un linguaggio all’altro. Di solito (Pennac con Tardi, Charyn con Frezzato e all’inizio con Boucq, Klotz/Cauvin con Cabanes) lo scrittore si abbandona a situazioni eccessive e a personaggi sopra le righe (“ehi, è un fumetto!”) oppure (Charyn con Loustal) non capisce che si tratta di un fumetto e realizza un racconto illustrato. In tutti gli esempi riportati la mira sarebbe stata corretta nei lavori successivi (Pennac con la Cestac, le ultime ottime produzioni Charyn-Boucq) ma Benacquista azzecca lo spirito giusto al primo colpo, sin dall’inizio della storia. Le tavole 3 e 4 da Il mangione, ad esempio, sono interamente mute.
Il protagonista di questo fumetto è un ispettore di polizia obeso con un discreto caratteraccio, a cui il medico ha predetto un anno o al massimo due di vita se non si deciderà a moderarsi nel mangiare. Richard Selena è però estremamente competente e il ritrovamento di un indizio del tutto sfuggito ai suoi sottoposti gli permette di trovare una plausibile pista da percorrere in un intricato caso di omicidio. Ma Selena non usa la sua intuizione per risolvere il caso quanto per costringere la sospettata a cenare con lui ogni sera dalle 21 alle 23. Un rito apparentemente insensato che funge da percorso di guarigione, anzi di redenzione, per l’ispettore. Rivelare di più sarebbe criminale, e forse ho già detto troppo. Certo, la soluzione del filone principale d’indagine si risolve molto presto, ma il vero snodo della vicenda (umana) è un altro. Un noir coinvolgente con risvolti psicologici originali e molto ben strutturato, in cui tout se tient, anche se il lettore dovrà fare un po’ di attenzione ad alcune sequenze, che per quanto apparentemente satellitari non sono affatto messe lì a caso.
Le tavole sono state ridotte[1] per adattarle al formato standard Q Press e sono state stampate in bianco e nero. E nemmeno stampate benissimo, ma chi se ne frega: ai disegni c’è Jacques Ferrandez. Ottimo acquarellista, egli stesso si rende conto della povertà delle sue tavole a fumetti e in almeno un’intervista (così a memoria BoDoï 42) ha dichiarato di voler cercare un metodo per renderle più accattivanti. In effetti non mi capacito del successo che evidentemente ha avuto in Francia e Belgio con il suo tratto scarno e monocorde, le sue fisionomie che ogni tanto cambiano di vignetta in vignetta, le sue inquadrature fisse e poco fantasiose e una tecnica di colorazione dei volti che si limita a due standard senza variazioni di nota.
Ma qui almeno abbiamo un’ottima storia, avvincente e originale e narrata con un ritmo perfetto.


[1] Una scuola di pensiero sostiene che ogni tavola stampata sia una riduzione dell’originale, ma è chiaro che i fumettisti lavorano pensando al formato di stampa in cui comparirà il loro lavoro.

4 commenti:

  1. Dai, *Gli esuberati* di Tardi/Pennac è un gioiellino. Certo che è sopra le righe, ma è altresì evidente l'intento satirico per niente celato, e dunque non vedo perché rimproverargli di essere ciò che è :D

    Quanto a Loustal, pure i suoi fumetti con Paringaux (ergo quelli per cui è diventato famoso...) sono de facto racconti illustrati, quindi di nuovo non vedo perché rimproverare a Charyn di aver fatto la stessa cosa: si è semplicemente adattato allo stile a lui più congeniale. E anche così, se *I fratelli Adamov* è certamente un racconto illustrato (come lo era *La notte dell'alligatore* di Paringaux!), *White Sonya* - che pure non ho apprezzato - mi sembra che utilizzi, a memoria, tutte le tecniche proprie del medium fumetto.

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    1. Ma secondo me nella Notte dell'Alligatore e in molte altre storie di Loustal c'è un dialogo più diretto tra testi e immagini. Nei Fratelli Adamov proprio no.
      Poi però Charyn avrebbe corretto il tiro. Più che altro su Margot in Badtown sono stato forse eccessivamente severo.

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  2. Quanto a Ferrandez, non riesco proprio a volergli male. I suoi Carnets d'Orient (di cui ho scoperto che uscirà a breve un nuovo ciclo) mi piacciono troppo...

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    1. Ne ho letto al massimo due volumi secoli fa su Comic Art. Pesaaaaaaaanti. E i disegni sono quello che sono. E' chiaro però che sono indirizzati a un pubblico che è interessato all'argomento, al quale sicuramente offrirà un buon approfondimento di prima mano o quasi.

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