Sotto il titolo legittimamente paraculo (visto il centenario) di La Grande Guerra il nuovo numero della
collana Historica presenta la serie
francese in tre volumi Le Temps du Rêve.
È una storia di guerra, ma con molti margini di originalità. Al fronte di Gallipoli,
e poi sempre più in profondità nell’Europa continentale, si ritrova lo spaesato
Thomas Freeman, uno di quei giovani aborigeni che agli inizi del XX secolo
vennero strappati alle loro famiglie per essere “civilizzati” dai coloni
inglesi (illuminante in tal senso la puntualissima introduzione di Sergio
Brancato, ma se vi interessa l’argomento guardatevi anche il film La Generazione Rubata di Phillip Noyce).
Freeman riesce a sopravvivere alle brutture della guerra grazie al suo
contatto con il Tempo del Sogno, il “vero mondo” che secondo gli aborigeni
(almeno, quelli della tribù Aranda di cui fa parte) genera il nostro. E
sopravvive non solo perché con la valvola di sfogo dello straniamento
dall’orrore bellico riesce a non farsene influenzare, ma anche perché i
consigli che le sue visioni gli mandano gli salvano la vita in più di
un’occasione.
Grazie al suo carisma e al suo valore riuscirà addirittura a convertire ai
riti aborigeni gli altri commilitoni sempre più precipitati nella disperazione
e nella barbarie.
Come è giusto che sia, e nonostante il canovaccio riportato qui sopra, in La Grande Guerra sono presenti gli
inevitabili stereotipi del genere (l’ufficiale incompetente e stronzo, quello
anacronisticamente “illuminato”, ecc.) ma viene dato spazio anche allo sviluppo
di personaggi secondari che risaltano per la loro complessità e per il percorso
di maturazione che compiono. Penso ad esempio al tenente Upfield, ma non solo. Molto
buona la parte conclusiva, quando la guerra è ormai finita e i personaggi si
trascinano a cercare un loro posto nel mondo: il cinismo e la disperazione,
ancora una volta calati in un contesto documentatissimo rievocato alla
perfezione, riscattano tutta la sequenza consolatoria new age del finale.
In sostanza si tratta di un trittico appassionante, originale e
documentatissimo. Purtroppo l’aspetto grafico non è alla stessa altezza di
quello testuale. Olivier Ormière avrebbe (suppongo) anche un tratto piacevole e
un buon senso della composizione della tavola, ma le sue doti si intravedono
appena sotterrate dall’uso smodato del computer. Imbalsamati in quella resa
asettica anche i volti più espressivi sembrano rigidi, così come le scene più
movimentate sembrano fermi-immagine. Quando poi un personaggio risulta essere
palesemente ricalcato sulle fattezze di Michael Douglas allora mi cadono
proprio le braccia. Per non parlare delle scene di massa risolte copiaincollando
due o tre figure fino a ottenere una folla legnosa e poco credibile.
Disgustoso. I colori dati con l’accetta da Virginie Blancher non aiutano. Per
fortuna la nuova grafica scelta dalla Mondadori ci ha offerto una copertina
molto più interessante di quelle glaciali pseudo-iperrealiste dei volumi
originali.
In definitiva un fumetto quantomeno interessante, con più di uno spunto
originale e coinvolgente ma purtroppo penalizzato secondo me da un comparto
grafico non all’altezza.
PS: niente marchio di fabbrica della collana Historica, stavolta, ovvero niente balloon invertiti. In compenso a
pagina 121 si sono dimenticati il testo di una nuvoletta. Poco male, dallo
spazio ridotto si capisce che non c’era molto testo.
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