sabato 28 febbraio 2015

Cosmo Color 18 - Colorado 1: Navajos

Che palle, un altro western. Questo, però, cerca di essere originale. Sembra anzi ostentare la sua originalità come se fosse un motivo sufficiente a decretarne la qualità e a giustificarne l’acquisto. In Colorado i protagonisti non sono i classici eroi del genere (non tutti, almeno) ma un giovane indiano navajo, un rapinatore messicano, un suonatore di colore, un ex-minatore cinese e la sua compagna irlandese. Tanto basti per il momento visto che la trama portante viene appena accennata: da una scena iniziale si evince che Uintah Mapaï (l’indiano) ha convocato gli altri sull’inaccessibile cresta del Colorado con la lusinga del recupero di un tesoro. Dalla quindicesima tavola parte un flashback che occupa praticamente tutto il resto del volume, in cui viene sviscerata la storia di Uintah Mapaï, in cerca di vendetta per lo sterminio della sua tribù, e viene introdotto il personaggio di Chaparro, il messicano.
Può darsi che, anticipando Lost, Jean-Yves Mitton abbia voluto impostare la saga dedicando ogni episodio alla storia di un singolo personaggio mentre porta avanti la vicenda principale.
È ancora presto per giudicare questa serie che dovrebbe durare cinque episodi, il mix di luoghi comuni e di elementi inediti non mi ha catturato (è pur sempre l’ennesimo western) ma un minimo di curiosità ha saputo sollevarla quindi non escludo di continuare a seguirla.
Ai disegni Georges Ramaïoli (altresì noto come Simon Rocca) si dimostra inizialmente un valido epigone di Jean Giraud come Christian Rossi e Michel Rouge ma stempera presto le sue velleità in uno stile meno curato ma comunque valido. Purtroppo i colori di Jocelyne Charrance affossano un po’ la qualità del tratto visto che sono stati realizzati al computer in un’epoca (questo primo volume risale al 2003) in cui le possibilità del mezzo non erano consolidate come oggi nè esisteva forse una familiarità generalizzata col mezzo. Come effetto collaterale della lavorazione al pc, la qualità di stampa risulta non ottimale.
In merito alle copertine non riprese da quelle originali ma affidate a Elia Bonetti: da quel poco che ho visto di suo, io adoro Bonetti ma “quel poco” è il mitico gioco di ruolo Sine Requie quindi sicuramente il mio giudizio sul suo lavoro non è imparziale. Detto questo, per quanto siano innegabili il suo talento e la sua perizia tecnica (in particolare nella copertina del prossimo volume che campeggia in quarta di copertina) mi sembra che i risultati siano un po’ freddi oltre che poco pertinenti al contenuto. D’altro canto un mio amico ha malignato sul fatto che forse la Cosmo ha affidato le copertine a lui perché quelle originali erano scadenti...

giovedì 26 febbraio 2015

Alette sì/alette no

Le bandelle, comunemente dette alette, sono quelle parti delle copertine dei libri sporgenti e ripiegate all’interno che contengono informazioni su trama e autori. Per i libri propriamente detti (romanzi, saggi) hanno una loro ragion d’essere, perché all’occorrenza possono fungere anche da segnalibro e in mancanza di altre possibilità di ricognizione del contenuto ne offrono un sunto, oltre occasionalmente ad altre informazioni tecniche (vedi il prezzo). Ma per un volume a fumetti, soprattutto se di dimensioni ridotte, hanno veramente un senso?
Me lo chiedevo già ai tempi dei 100% Marvel, con quelle bandelle gigantesche che mi rendevano difficoltoso maneggiare i volumi, e ci ho riflettuto nuovamente in occasione del nuovo/vecchio formato di Ristampa Dago.
Forse farà pure figo mettere le alette ai fumetti (anche se implicitamente è come dire che il prodotto è serio perché somiglia a un libro “vero”, altro che fumetti) ma non ci vedo tutta questa comodità, anzi. In fondo i contenuti grafici e anche testuali (a livello di argomenti trattati e di atmosfere) uno li desume semplicemente sfogliando un fumetto, e quelle robe rigide di plastica o cartoncino sono più un fastidio che una roba utile: nel caso di brossurati mi tocca alternativamente appiattire la bandella sulla copertina o aprirla del tutto per evitare che sporgendo mi rovini, piegandole, le prime e le ultime pagine. E anche i costosissimi volumi brossurati della Rizzoli Milano Libri, che certamente non erano piccoli, avevano lo stesso inconveniente.
Sono l’unico a pensarla così?

lunedì 23 febbraio 2015

S.O.S. Felicità

Non ci speravo più e invece è uscito. Questa versione di S.O.S. Felicità ad opera di RW Lineachiara è veramente un bellissimo volume, ben curato e ottimamente stampato, con degli illuminanti apparati redazionali raccolti (se ho ben capito) dalle varie edizioni e riedizioni che questo lavoro anomalo e poco conosciuto di Van Hamme ha avuto in Francia e in Belgio dopo la strepitosa affermazione dello sceneggiatore.
I tre volumi originali sono stati organizzati come capitoli di un unico romanzo, operazione agevolata dal fatto che i primi due erano costituiti da sei racconti brevi riciclati (e questo non lo sapevo) da un progetto televisivo di Van Hamme non andato in porto.
In Francia S.O.S. Bonheur è stato spesso accostato alle Légendes d’Aujourd’hui di Christin e in effetti a rileggere la serie mi sembra che ci sia più di un punto di contatto anche se nell’opera di Van Hamme la critica viene indirizzata sempre e solo alle storture di una società totalizzante che “impone” la felicità e il benessere ai suoi appertenenti.
Rispetto al suo primo passaggio su Skorpio dodici anni or sono ho trovato la storia molto più coinvolgente e a tratti anche toccante. Sarà che la pessima stampa dell’Eura rendeva meno leggibili le tavole creando così una certa distanza col lettore, ma più probabilmente l’effetto è dovuto alla sopravvenuta attualità di alcune di queste vicende, soprattutto della prima.
Fantastico il finale, che risolve le kafkiane vicende dei protagonisti con un po’ di surrealismo e tantissimo nichilismo.
I disegni dimostrano un grande impegno e gli esiti risultano eccezionali se pensiamo che si tratta praticamente dell’esordio realistico di Griffo dopo le effimere frequentazioni underground e la breve e traumatica esperienza umoristica su Modeste et Pompon, in cui la scelta di far vedere gli innamorati coricati insieme generò delle polemiche spropositate e per cui Griffo (non francofono) veniva redarguito dalla redazione di Tintin per la grafia non impeccabile del suo lettering. Per il resto, solo un fumetto scritto da Marcus e rifiutato dalla redazione di Spirou.
Si era nei primi anni ’80 ed Hermann aveva mostrato una nuova possibile strada per il fumetto: definire nitidamente i soggetti rappresentati e poi andarci giù di rapidograph per i dettagli. Anche Renaud (tanto per citare uno tra i tanti) avrebbe percorso questa via, ma nel caso di Griffo sono evidenti anche le influenze di Enki Bilal, tanto per restare in tema di Légendes d’Aujourd’hui, che caratterizzeranno anche il successivo Beatifica Blues realizzato con Dufaux. E infatti il terzo e ultimo volume di S.O.S. Felicità, realizzato qualche anno dopo i primi due, sarà invece già orientato verso il segno più grasso e le anatomie deformate che caratterizzeranno il lavoro di Griffo fino a oggi.
L’acquisto è consigliatissimo e il volume rientrerà senz’altro nel Meglio del 2015 con buona ipoteca delle primissime posizioni. Non solo il fumetto in sé è quella perla che è, ma anche la confezione è curatissima (e pazienza se alla RW non sanno come si va a capo con la s impura): in appendice vengono addirittura riportate le scansioni dei tre volumi originali in mancanza di materiali di stampa idonei. Che sia proprio la ricerca di questi materiali ad aver fatto ritardare il volume?

domenica 22 febbraio 2015

Multiversity 2 (ma a questo punto anche 3, 4, 5, ecc.)

...quindi in pratica in Multiversity la trama non viene sviluppata di albo in albo ma ogni singolo episodio prima del finale è lo stesso identico canovaccio trasportato nei vari mondi alternativi? E con gli stessi elementi-base (il comic book maledetto, il cubo transidimensionale, la minaccia incombente a tutto il multiverso, l'universo alternativo e la sua controparte) a dare uniformità al tutto?
Vabbè, almeno i disegni fino ad ora sono stati notevoli.

sabato 21 febbraio 2015

Un nuovo classico

Da Anteprima 282. Mi ha ricordato quest'altro caso. E' quello che succede da quando non ci sono più correttori di bozze ma ci si affida ai correttori automatici del computer.

mercoledì 18 febbraio 2015

Tex - L'Eroe e la Leggenda



E così finalmente è uscito e l’ho letto – già ieri, ho dovuto riorganizzare un po’ le idee prima di scriverne. È stato uno dei fumetti per cui ho nutrito più aspettative. Non è un capolavoro ma è comunque una piacevole lettura.
L’Eroe e la Leggenda è una storia che corre su due binari, da una parte c’è l’azione vera e propria (solida, classica, documentata) e dall’altra una cornice che serve a contestualizzare e a gettare una nuova luce sulla vicenda portante che ha Tex per protagonista. A seconda dell’umore, della predisposizione e della cultura fumettistica del lettore la storia può essere vista come una boutade, come un sentito omaggio o come un’operazione di decostruzione mitografica – non originalissima ma condotta con grande competenza e professionalità.
Nel 1913 un vecchio Kit Carson racconta a un giornalista il suo primo incontro con Tex Willer: nell’arco di una sola giornata Tex, già navajo onorario, è riuscito a sgominare una banda di trafficanti d’armi, a salvare la proverbiale Indiana Bianca e a devastare la tribù bellicosa dei comanche a cui le armi erano destinate, quest’ultima parte grazie un combattimento a singolar tenzone e in barba all’esercito che è intervenuto attirato a sua volta dall’esca che Tex aveva preparato per i comanche.
Da questo riassunto apparirà evidente come Eleuteri Serpieri abbia forse voluto introdurre un po’ d’ironia, e nel farlo si è appropriato dello stile del Tex mensile («non riconosco l’autorità di questo gambe gialle» dice Tex rivolto a un dragoon). Che sia voluta o no, questa esagerazione è funzionale al colpo di scena finale che riguarda la cornice del racconto, la parte che ho gradito di più.
Sulla parte grafica è superfluo soffermarsi: Eleuteri Serpieri è sempre Eleuteri Serpieri. Le tavole di fumetto sono però solamente 38 contro le 46 canoniche che era lecito aspettarsi da un volume che ricalca il formato franco-belga. Ma ben nove pagine sono state necessarie a Mauro Boselli e Ferruccio Giromini per dichiarare, ribadire e ripetere che questo è un elseworld (o what if) e quindi il lettore abituale non deve scandalizzarsi o preoccuparsi per la sorte del “suo” Tex, quello “vero”.
Fatto salvo il bel finale, per me qualche tavola in più avrebbe giovato al godimento della storia principale, che senza momenti di pausa mi è sembrata un po’ troppo frenetica. Tutto sommato, visto che le pagine sono poche più di 32 questa prova avrebbe anche potuto apparire in un Color Tex.
A 6,90€ il volume (cartonato e di gran formato) è ovviamente poco meno che regalato, ma purtroppo presenta due difettucci: il lettering è fatto col computer e la carta non è patinata, smorzando quindi la definizione e la vivacità dei disegni e dei colori di Eleuteri Serpieri. Anche per questo forse sarebbe stato meglio presentarlo su un Color Tex limitando eventualmente lo spazio a disposizione degli altri disegnatori. Tanto più che L’Eroe e la Leggenda è inserito nella collana semestrale dei Romanzi a Fumetti e quindi immagino si sia trattato di una pubblicazione una tantum data l’eccezionalità del disegnatore e il maggiore perimetro di vendite che può garantire.

lunedì 16 febbraio 2015

Chi li ferma più?!

Sull'ultima Anteprima ho visto i programmi per i prossimi mesi della Cosmo Editoriale. Mi è saltato agli occhi questo:
No, dico, addirittura l'Incal. E si tratta solo di una proposta tra le tante che dall'inizio della loro attività si sono moltiplicate a dismisura! Pubblicheranno anche Neve di Convard e Gine, purtroppo in formato bonelliano. Sul serio, chi li ferma più...

domenica 15 febbraio 2015

Almanacco Cosmo 6 - Viking 1: Un fuoco esteso e freddo



È decisamente particolare questa nuova proposta della Cosmo, la miniserie Viking di Brandon e Klein. La storia alterna ritmi frenetici a momenti lenti e riflessivi, così come il tono cambia repentinamente da commedia (o giù di lì) a dramma efferato. Accanto a una parvenza di realismo storico c’è poi la recitazione un po’ forzata di certi personaggi che esprimono concetti inadeguati all’epoca in cui sono calati. Inoltre certi dialoghi carichi di sottintesi contribuiscono a ingarbugliare la trama e a impedirne la piena comprensione, già messa a dura prova dal fatto che ricorra a flashback e che segua tre vicende principali in contemporanea.
Comunque: la vicenda ruota attorno a due fratelli vichinghi che sfidano con violenza l’autorità del re, forse per effettiva necessità (sono «uomini AFFAMATI [...] MOLTO affamati») ma con una tale irruente determinazione da risultare quasi i cattivi della storia. Dopo alcuni meticolosi massacri e le relative conseguenze, per nulla positive nemmeno per loro, vengono consigliati dallo strambo Orm e finiscono per rapire Anniki, la figlia del re, così da avere una moneta di scambio che possa garantire una speranza di riscatto agli occhi degli altri vichinghi e della loro famiglia caduta in disgrazia a causa della loro avventatezza. Ignorano però che la corte del re è percorsa da sentimenti di insoddisfazione e così, grazie al tradimento dell’ambizioso Aki, l’“ealdorman” ovvero sceriffo, si troveranno anche lo stesso re come ostaggio.
La risoluzione della trama mi è sembrata poco credibile e anche piuttosto affrettata, oltre al fatto che rimane il dubbio sulla sopravvivenza o meno di uno dei protagonisti, cosa sicuramente voluta per creare la giusta aspettativa per la seconda stagione.
Una piccola papera giustificata dal contesto...
Ai disegni Nic Klein sembra adeguarsi allo stile sincopato e frammentario della narrazione e si esibisce con tre tecniche diverse. Quando disegna al tratto mi ha ricordato un po’ certi risultati analoghi ottenuti da Dave McKean, con tratteggio fittissimo a dare forme e volumi, ma al contempo ha anche un’anima più morbida e colorata che compare inaspettatamente non solo nella sequenza dell’amoreggiamento tra Finn e Anniki ma anche in scene più crude come quella del rapporto consumato tra Aki e una prostituta. Klein affianca poi a questi due stili più canonici vari interventi pittorici – o presunti tali: anche l’apparente artigianalità delle nuvolette è frutto del computer: lo sfregio in alto a sinistra è sempre uguale!
Ho riposto questo numero dell’Almanacco Cosmo accanto a Fabian Gray (anche Viking è una produzione americana targata Image Comics) con una sensazione di perplessità. Non che sia stata una brutta lettura, ma mi ha lasciato appunto un po’ perplesso. Vedremo se e come andrà avanti.

venerdì 13 febbraio 2015

Secret Avengers: Salvare l'Impero (e altre missioni)



Ne avevo parlato proprio ieri sera e forse anche a seguito dell’autosuggestione stamattina ho trasgredito a una regola che mi ero imposto (MAI comprare le proposte “deluxe” da edicola della Marvel: sono albi assemblati male senza copertina in cartoncino e con carta pessima che ammazza i colori e quindi anche i disegni) e ho preso Secret Avengers: Salvare l’Impero (e altre missioni).
Ne è valsa la pena, tanto più che costa solo 4,50€. Le storie imbastite da Ales Kot sono originali e portate avanti con brio (in un paio di occasioni si ride di gusto), solo il primo distico mi è sembrato un po’ troppo sincopato per essere immediatamente comprensibile ma meglio così che una cosa piatta. Kot è riuscito a coinvolgermi con una formazione di personaggi di cui apprezzo praticamente solo la Donna Ragno, il che non è poco. Ammetto poi che uno strutturalista come me è rimasto affascinato e divertito dall’Artaud Derrida del terzo episodio. In fondo basta poco per comprarmi.
Ai disegni un Michael Walsh veramente molto bravo. Segue la linea un po’ grunge/espressionista di altri disegnatori alla moda, ma è un paio di gradini sopra agli altri visto che non rinuncia all’espressività, al dinamismo e soprattutto che è riuscito con quattro segni in croce a rendere differenti i volti della Vedova Nera della Donna Ragno. Un fenomeno rispetto a tanti altri scalzacani che operano nello steso mercato.
Unica nota per me negativa, le copertine di Tradd Moore. Ma ‘sta roba deformed piace veramente al pubblico o è solo una moda? Comunque è un fastidio molto relativo, come lamentarsi che la banconota da 10 euro trovata per strada è un po’ sporca di merda.
I semi piantati in questo primo volume sbocceranno nei prossimi volumi che sicuramente acquisterò.

PS: il libro scritto da Houllebecq (e con prefazione, postfazione o non so cosa scritta da Stephen King) citato da Giorgio Lavagna in quarta di copertina io ce l’ho e l’ho letto! In un quarto d’ora in treno… non ti sei perso molto, Giorgio.

giovedì 12 febbraio 2015

...

Adoro le collane come Marvel Universe, Marvel Mix, Marvel World, Marvel Qualsiasialtraroba. Per una manciata di euro permettono di leggere un bel po' di roba, almeno 4 comic book al colpo, occasionalmente su buona carta e stampati bene.
Poco importa se poi nei fatti il fumetto in sé è poca roba, l'impressione di aver fatto un affarone basta a farmi produrre endorfine. E' capitato con il recente Marvel Mega 90 che raccoglie i tre speciali estivi del 2014 di X-Men, Iron Man e Nova. Una storia evitabilissima e perfettamente coerente col titolo (Senza Fine), oltretutto disegnata in maniera discontinua come probabile banco di prova per disegnatori ancora acerbi, ma che mi ha offerto il destro per questo post-pinailleur:
il personaggio "nervosa" è Triage, un maschio
a Magik scompaiono e riappaiono le robe nere che ha in testa nell'arco della stessa pagina

martedì 10 febbraio 2015

Il Quinto Beatle



È stato uno dei volumi più spinti a livello pubblicitario ed editoriale del 2014, presentato (e ripresentato, e riripresentato, e ririripresentato...) con toni entusiastici su Anteprima, allegato a un mensile da edicola e proposto a un prezzo che per la costosa etichetta 9L è pura follia. La sovraesposizione mediatica può venire a noia ma un po’ di curiosità è venuta anche a me che l’altro giorno ne ho trovato una copia distribuita con nuovo codice a barre ed ho potuto leggerlo.
Il Quinto Beatle è una lettura piacevole e interessante ma non mi è sembrato quel capolavoro per cui è stato spacciato. Vi vengono narrati gli ultimi anni di vita del manager dei Beatles Brian Epstein, tormentato e represso ma assai facoltoso, dall’incontro con i Fab Four fino alla morte prematura. Come spesso succede quando una persona esterna al mondo del fumetto scrive una sceneggiatura la storia non procede molto fluida ma risulta a tratti frammentaria e si concede qualche divagazione larger than life (ehi, che diamine, dopotutto è un fumetto!). Lo scrupolo documentaristico e la passione per il soggetto trattato da Vivek J. Tiwary sono comunque evidenti.
Non ho invece ravvisato ne Il Quinto Beatle la tendenza a ricalcare la struttura degli script cinematografici, nonostante nella postfazione si dica chiaramente che si vorrebbe trarne anche un prodotto cinematografico (o forse lo si voleva sin dall’inizio e come per il Lovecraft illustrato da Enrique Breccia si è ripiegato su altri lidi): non c’è nessun ace in the hole, se non forse un incontro speciale che fa Epstein, ma nulla che sia un vero e proprio turning point.
Ai disegni Andrew C. Robinson fa un buon lavoro, anche se vedere delle immagini digitali inserite in un contesto così elegante e delicato mi ha lasciato perplesso. Mentre invece sono rimasto frustrato, come sempre in questi casi, dall’impossibilità di godere delle tavole doppie, pena lo smembramento del volume.
Se ho ben capito qual è stato l’intervento dello sbandierato Kyle Baker (7 paginette svogliate), credo che Il Quinto Beatle avrebbe beneficiato della sua assenza.
Per la cronaca, sotto l’etichette appiccicata con cui è stato ridistribuito speravo di trovare un prezzo ben più alto dei 6,40€ che l’ho pagato, invece costava così anche all’epoca del primo passaggio nelle edicole...

domenica 8 febbraio 2015

Jack Cross



Non so come mi sia sfuggito questo volume di Warren Ellis stampato già nel settembre 2013. Forse a suo tempo l’avrò ordinato ma la distribuzione avrà fatto cilecca, ma non è da escludersi che all’epoca abbia preferito risparmiare 14 euro dato il periodaccio. Comunque adesso l’ho recuperato.
Jack Cross è un thriller spionistico che a tratti mi ha ricordato la serie televisiva 24. L’anonimo John viene richiamato in servizio come “Jack Cross” per una missione che coinvolge una cellula impazzita di agenti della CIA, che dalla roccaforte di Saddam Hussein recuperò un’arma sperimentale, un DSN (dispositivo di squilibrio neurologico), per utilizzarlo guarda caso proprio durante una manifestazione pacifista a San Francisco organizzata dallo stesso John/Jack.
“Jack Cross” indaga con metodi brutali e autoritari mettendo in luce non tanto il marcio quanto la scarsa organizzazione dei servizi di sicurezza statunitensi, frammentati e in competizione tra di loro. Alcune azioni che compie sembrano quasi sovrumane e chissà che l’epiteto «geneticamente sporco» che gli affibbia un nemico non stia a indicare qualche origine fantascientifica del protagonista.
Lato disegni, Gary Erskine è un disegnatore di quelli che piacciono a me: realista, rigoroso, dettagliato. Purtroppo occasionalmente risulta un pochino legnoso e i suoi personaggi sembrano essersi messi in posa forzata. È straniante, poi, vedere che ha riciclato le stesse identiche inquadrature anche a distanza di una sola pagina. Ovviamente non è da escludere che siano scelte volute per dilatare il tempo percepito dai personaggi, come avviene in effetti anche con l’altro espediente di passare ai raggi x certe sequenze.
Jack Cross è una lettura piacevole, più a livello concettuale che spettacolare, che mi è sembrato non abbia esaurito in questi quattro episodi tutte le sue potenzialità: ci sarebbe da far luce sul passato e sui genitori di John/Jack, introdotti a malapena, così come sul suo rito autolesionista. E infatti apprendo da una rapida ricerca su internet che questa prima parte avrebbe dovuto essere l’introduzione di una serie che poi non è più partita. Peccato.

giovedì 5 febbraio 2015

Historica 28 - Bruce J. Hawker 1: Rotta su Gibilterra



Passata l’ubriacatura dell’entusiasmo per XIII William Vance mi si rivelò nella sua natura di miracolato, di fumettista che (fatte salve le sue eccellenti doti di illustratore) non avrebbe raggiunto le vette di popolarità e successo che ha ottenuto solo in virtù delle sue figure statiche, dei suoi volti inespressivi, delle sue 2 o 3 inquadrature buone per tutte le situazioni. Mi sono quindi accostato a questo Bruce J. Hawker con una certa riluttanza anche se in alcune interviste William Vance aveva dichiarato, o comunque aveva fatto capire, che il personaggio e l’ambientazione erano quelli a lui più congeniali.
In effetti questo integrale di Historica è stata una piacevolissima sorpresa, e secondo me si vede che Vance è appassionato della materia, tanto più che ha anche scritto i testi – comprensivi di spiegazioni dettagliate sull’uso dei cannoni, sui metodi di arruolamento, ecc. I disegni dei primi due episodi sono spettacolari, molto più sporchi e vivaci di quanto visto su XIII e Marshal Blueberry, e anche i colori di Petra contribuiscono alla suggestione dell’insieme – cosa ancora più lodevole se pensiamo agli anni in cui è stato realizzato il primo episodio, metà dei ’70.

Il protagonista è un giovanissimo (ma già canuto… un po’ un marchio di fabbrica degli eroi di Vance e della bédé in generale) capitano di Marina che nel 1800 si trova invischiato in un complotto che ne rovinerà la carriera. Arrembaggi, azione, vendetta, personaggi tagliati con l’accetta (ma con un certo margine di originalità), scrupolo documentaristico e illustrazioni mozzafiato sono gli ingredienti di questo appetitoso Bruce J. Hawker, e francamente chi se ne importa se c’è poco di storico e tutto di avventuroso in questa serie forse più adatta ad altri lidi piuttosto che alla rigorosa Historica.
I tre episodi qui raccolti sono stati realizzati nell’arco di quasi dieci anni e questo volume offre quindi l’occasione per ammirare l’evoluzione di Vance e per estensione anche dell’editoria a fumetti franco-belga, con ritmi e stili differenti a seconda delle mode e delle esigenze editoriali.
"I lettori non se ne accorgeranno mai!"
Rotta su Gibilterra è denso, lento, didascalico e occasionalmente ripetitivo: serializzato come striscia su una rivista femminile doveva chiarire ogni passaggio e occasionalmente riallacciare i fili del discorso. Integrato dalle tavole e mezze tavole della versione in volume è una lettura solida e spettacolare.
Per motivi che ignoro la Mondadori ha avuto un attacco di “eurismo” nel pubblicare Rotta su Gibilterra: la data di realizzazione è stata cancellata dalle tavole.
(en passant, nella biografia di Vance viene ricordato anche il misconosciuto XHG C3, unica incursione del disegnatore nel genere fantascientifico, pubblicato anch’esso su Femmes d’aujourd’hui, che molti tra cui lo stesso Vance ritengono la sua opera migliore perché realizzata in tempi strettissimi e quindi più espressiva e dinamica del solito – mi ha sempre incuriosito questo fumetto ma è improbabile che lo vedremo vista anche la sua durata ridotta).
L’Orgia dei Dannati venne serializzato su una rivista per ragazzi e Vance, libero di gestirsi il formato della tavole come meglio credeva, optò per una struttura di massimo tre strisce con frequenti splash pages. Me lo sono divorato nei 15 minuti di tragitto in autobus per andare al lavoro.

Con Reclutamento forzato entriamo nella fase della piena maturità di Vance, quando in contemporanea stava disegnando il primo episodio di XIII. Ormai il fumetto era stato abbondantemente sdoganato come letteratura tout-court e passatempo adulto, e anche in Bruce J. Hawker le situazioni diventano appunto più adulte e drammatiche. Stilisticamente si nota un netto stacco tra le tavole del 1983/84 e quelle riciclate dalle storie brevi di qualche anno prima. Per fortuna i dettagli delle divise e dei décors riescono a ravvivare queste tavole.
Reclutamento forzato è anche l’episodio stampato meglio visto che i primi due, sicuramente a causa dei materiali originali di stampa, soffrono di qualche problema di resa.
A integrazione del fumetto vero e proprio vengono proposti alcuni scritti e storie brevi che arricchivano le edizioni originali.

APPENDICE: “AMARE” NEL SENSO DI COSE NON DOLCI, NON DEL VERBO

Non per fare lo stronzo, ma Sergio Brancato sembra aver voluto lanciare una provocazione con alcune sue considerazioni all’inizio dell’introduzione. Se così non fosse, è per me un piacere prendere in castagna uno studioso della sua levatura, così come Guccini si compiacque di poter fare le pulci a Umberto Eco (per cui Guccini era il cantautore che aveva fatto rimare “amare” con “Schopenhauer”, fraintendendo però il significato di “amare”).
Dunque: non essendoci poi molto da dire sull’ambientazione storica, visto che lo stesso fumetto di Vance non la approfondisce, Brancato prende tempo e parla di come venivano presentati i fumetti su rivista dagli anni ’60 fino ai primi ’80: «i fumetti di successo nascevano sulle volatili pagine dei quotidiani, delle riviste popolari o dei rotocalchi, apparendo a puntate composte da poche tavole, magari confuse tra un articolo e una réclame [...] tutti nati senza particolare clamori su riviste che li proponevano nello spazio di poche pagine»
Il punto è che fa gli esempi peggiori per suffragare questa sua tesi: Corto Maltese, Petra Chérie, Max Fridman.
Corto Maltese veniva pubblicato su Sgt. Kirk, con pochi articoli e nessuna pubblicità a inframmezzare le almeno dieci tavole che venivano pubblicate di volta in volta (ok, con un salto di due numeri), e anche pensando alla sua di poco successiva pubblicazione sul Corriere dei Piccoli la situazione non cambia affatto.
Petra Chérie, il cui fascino devo peraltro ancora capire, forse veniva pubblicata «tra un articolo e una réclame», ma comunque si trattava di episodi completi e conclusi, senza alcuna frammentazione.
Max Fridman, poi, fu pubblicato in soli 4 numeri di Orient Express a blocchi di 20 (venti) tavole al colpo, per l’epoca una manna tanto che in una delle prime interviste a Giardino di Fumo di China si avanzava ironicamente l’ipotesi che Luigi Bernardi avesse varato la rivista proprio per pubblicare Rapsodia Ungherese. La situazione non cambia poi molto se Brancato si fosse confuso e avesse voluto scrivere Sam Pezzo invece che Max Fridman: varrebbe lo stesso discorso fatto per Petra Chérie, con ancora meno pubblicità in mezzo a Il Mago.

martedì 3 febbraio 2015

Tortas fritas de Polenta



Odio i fumetti che sono il resoconto di vicende personali.
Odio i fumetti che a causa dell’assunto di cui sopra si limitano a illustrare un testo fatto solo di didascalie.
Odio i fumetti che in virtù dei due assunti di cui sopra lasciano l’aspetto grafico in secondo piano.
Eppure Tortas fritas de Polenta mi è piaciuto.
Pubblicato originariamente sulla nuova Fierro e riprosto oggi in volume da LaDuendes, nasce come raccolta dei ricordi di guerra (la “guerra sporca”, quella delle Malvinas/Falklands) di Ariel Martinelli, illustrati da Adolfo Bayúgar.

La vicenda prende inizio dal 1981 dopo una breve scena ambientata cinque anni prima. La dittatura di Videla non è mai stata così salda al potere ma il giovane Ariel sembra vivere quel periodo con la spensieratezza dei vent’anni e dopotutto da quando ha raggiunto l’età della ragione non ha conosciuto altro. Non mancano improvvisate dei militari nell’Istituto Tecnico dove studia, ma anche il momento della leva obbligatoria viene ricordato con levità, anzi decisamente con piacere.
Poi scoppia la guerra delle Malvinas.
Significativamente, il capitolo con cui comincia la vicenda bellica si intitola La Fiesta. Ma dura solo cinque pagine per lasciare spazio alla cruda realtà della guerra in cui si risvegliano i giovani soldati il 1 maggio del 1982 con un bombardamento aereo inglese.
Il rigore documentaristico con cui vengono raccontate le condizioni della vita nei “pozos” scavati in quella terra inospitale e brulla è sempre accompagnato da una carica emotiva coinvolgente che riesce a non diventare mai patetica. Il freddo e la fame vengono evocati con un’efficacia notevole e non risulta affatto incredibile che nel resoconto di Martinelli una battaglia durata (dati alla mano) 3 giorni si dilati nel ricordo come se ne fosse durata 20.
Ai disegni Bayúgar sfodera uno stile dalle campiture bianche e nere nettissime, in cui mi sembra evidente l’ispirazione ad Alberto Breccia. Paradossalmente la qualità di stampa (su bella carta patinata) finisce per penalizzare un po’ la resa del fumetto visto che la divisione tra bianchi e neri non è sempre nettissima ma si colgono le sfumature della tempera bianca usata per tirare fuori i fumi delle esplosioni, le nuvole e altri dettagli.

Ah, comunque all’inizio ho esagerato: in Tortas fritas de Polenta non è che ci siano solo didascalie ma anche molti bei dialoghi. E la struggente scena finale dell’epilogo è interamente muta.